A ROVIGO... PER LA TOSCA CHE INAUGURA LA STAGIONE 23/24

La Stagione lirica n. 208 del  Teatro Sociale di Rovigo si è aperta, venerdì scorso, con la rappresentazione di uno dei capolavori assoluti del teatro musicale: Tosca di Giacomo Puccini.

La rappresentazione di venerdì sera, in un teatro praticamente esaurito e molto istituzionale (presenti le massime autorità civili della provincia, a partire dal Prefetto) si è aperta con l'esecuzione dell'Inno di Mameli, cantato da tutti gli spettatori rigorosamente in piedi al quale è seguito, senza soluzione di continuità, l'attacco degli ottoni con cui inizia l'opera pucciniana.

Vorrei partire innanzitutto dall'aspetto musicale che come sempre, a mio parere, riveste sempre l'aspetto maggioritario in merito alla riuscita o no della rappresentazione.

Il cast del capolavoro pucciniano comprendeva alcuni validissimi e affermati interpreti assieme ad una schiera di comprimari di ottima fattura.

Tosca è interpretata dalla brava Francesca Tiburzi: la sua è una voce abbastanza bruna che però non ha problemi apparenti a svettare verso l'alto. La sua è una Floria molto ben calibrata, forse un po' trattenuta nel primo atto, ma che nel secondo e terzo atto ha dato prova di un'ottima tecnica, una buona tenuta e una ricerca di sfumature che sicuramente è da apprezzare. A mio parere punto culminante di tutta la sua prova è la grande scena del secondo atto assieme a Scarpia che culmina, musicalmente, con "Vissi d'arte".

Fabio Sartori, artista di fama internazionale, è un acclamatissimo Cavaradossi. Ho ascoltato in streaming, a Treviso in epoca covid, il suo debutto nel suolo del pittore e devo dire che l'impressione dal vivo è stata stravolta in maniera positiva. La sua voce, con l'andare degli anni, si sta "ingrossando" (non a caso è reduce dall'interpretazione di Otello con Zubin Mehta e l'orchestra del Maggio Musicale Fiorentino) ma rimangono la corposità e la freschezza di un registro medio-alto veramente apprezzabile. In un teatro non enorme e, per di più, con un'acustica ottima sorprende positivamente per la corposità della sua voce e per la linea di canto sempre ben focalizzata. Il pubblico non lesina applausi e chiede, ottenendolo, il bis di "E lucevan le stelle". Per me Sartori continua ad essere un tenore che dà il meglio di sé nel repertorio verdiano (splendido Foresto in Attila, come altrettanto ottimo Carlo ne I masnadieri, solo per citare alcuni titoli) ma qui assolutamente non sfigura e, anzi, ci fa apprezzare ancora di più quanto quest'opera sia straordinaria. Se un piccolo appunto si può fare al tenore trevigiano possiamo dire che non ci sia stata una vera e propria caratterizzazione del personaggio così come maggiori colori e sfumature potevano essere cercate... ma sono minuzie ripensando alla sua prova veramente soddisfacente.

Sebastian Catana è un buonissimo Scarpia, rude il giusto e ben calato nella parte. La sua voce forse non ha un registro basso corposissimo (penso, solo per restare agli ultimi 20 anni, al grandissimo Ruggero Raimondi) ma gli accenti sono quelli giusti e la linea melodica è apprezzabile. Ottimo il suo secondo atto, in cui risalta bene anche la vena lirica nell'aria "Ha più forte sapore". Riuscitissimi i sue due duetti con Tosca così come ben cantato è stato anche il finale primo con il "Te Deum".

Tutti apprezzabili, con qualche punta più su e qualcuna un po' più in giù, i comprimari: Lorenzo Cescotti (un buon Angelotti), Alex Martini (un discreto Sacerdote che all'inizio, forse per l'emozione, si è un po' perso), Giovanni Maria Palmia (un buon Spoletta), Francesco Toso (un buon Sciarrone) e Fabio Zoldan (un ottimo Carceriere).

Bruno Nicoli ha diretto con piglio la buona Orchestra Regionale Filarmonia Veneta (non ottima per via di alcune imprecisioni sia nella sezione degli archi così come in quella degli ottoni). La sua è stata una concertazione basata sicuramente sul ritmo ma anche sulla ricerca di colori specifici rispetto all'accompagnamento dei vari personaggi, quasi cercando di arrivare a sottolineare i vari richiami ad essi avvicinandosi ai leimotiv. Della sua direzione è da apprezzare anche la sapienza con cui ha trattato l'orchestra, che non ha quasi mai sovrastato le voci.

Buono l'apporto del Coro Lirico Veneto, diretto da Giuliano Fracasso, e del Coro di voci bianche e giovanile dell'Associazione Musicale F. Manzato, preparato da Livia Rado.

L'allestimento dell'opera è stato affidato in toto (regia, scene e costumi) a Ivan Stefanutti, sicuramente di casa a Rovigo e del quale, proprio in questo teatro, ricordo ottimi allestimenti (Aida e Un ballo in maschera per citarne alcuni). La sua visione, aiutata da una scenografia essenziale e votata ad un colore scuro, è quella di una vicenda in cui il buio e il nero (sinonimi di tragedia) la fanno da padrone. Se gli elementi scenici (colonne e ampia scalinata che rimangono perennemente dall'inizio alla fine) sono di un grigio tendente al nero nota di colore sono le immagini sullo sfondo del palcoscenico. Anche queste però, pur nella loro luminosità (principalmente nel primo e secondo atto) anche un che di opprimente. I personaggi sono abbastanza caratterizzati e quasi sempre si muovono in proscenio e ben preparata è anche la scena del Te Deum, sicuramente il momento di più effetto. La sua è una regia tradizionalissima che, con qualche dettaglio ben visibile (soprattutto gli sgherri di Scarpia che compiono la loro opera, tante volte, alla vista del pubblico), si lascia guardare senza patemi d'animo.

Nel complesso una rappresentazione sicuramente di livello come da un po' di tempo non si vedeva a Rovigo. Speriamo questa sia un buon viatico per una stagione che, sulla carta, è sicuramente molto interessante.


Recita del 13 ottobre 2023 - 🌟🌟🌟🌟

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