A ROVIGO... PER ROBERTO DEVEREUX
Serata sfavillante quella di martedì al Teatro Sociale di Rovigo dove arriva direttamente da Bergamo, dove ha debuttato qualche giorno prima, il Roberto Devereux di Gaetano Donizetti.
Scelta sicuramente azzardata (titolo tra i meno rappresentati de compositore bergamasco ma di una bellezza assoluta) quella della direzione artistica del teatro rodigino che però è stata ripagata da una serata in cui un cast "stellare" e un pubblico non folto ma molto competente hanno formato un connubio ottimale, per prestazione e consensi.
Roberto Devereux è sicuramente, nell'immenso catalogo donizettiano, una delle punte più alte in termini di asciuttezza e condensazione drammaturgica. I numeri chiusi qui quasi non esistono in quanto il compositore fa un uso spasmodico e sempre articolato dei recitativi, che assumono una forza e vitalità tali da rendere un flusso continuo tutta l'opera.
Opera che si basa innanzitutto, al di là della drammaturgia e dell'aspetto scenico, sulla musica e sul canto... e per questo particolarmente difficile da mettere in scena in quanto abbisogna di cantanti non solo preparati ma soprattutto all'altezza della complessità dei ruoli che devono interpretare.
Proprio su questo fronte dobbiamo dire che i ruoli principali sono stati onorati come meglio non si poteva.
Se il titolo dell'opera è Roberto Devereux non possiamo non pensare come la protagonista assoluta, a livello drammaturgico, sia Elisabetta I. A vestirne i panni e la voce è Jessica Pratt, soprano italoaustraliano che rende della regina un'interpretazione sicuramente personale ed efficacissima. Per la prima volta la ascoltavo dal vivo e la sua voce adamantina correva in teatro come poche volte ho avuto modo di sentire. Mai sforzata, sempre ben appoggiata sulla parola (cosa fondamentale in questo repertorio), tagliente quanto basta e vellutata nei momenti melodiosi. Certo la zona grave non è corposissima ma anche le difficoltà, in questo registro, sono sempre ben affrontate. Un paragone mentale mi sento di farlo con una delle interpreti maggiori di questo ruolo degli ultimi 20/30 anni e cioè Mariella Devia: anch'essa non aveva il suo forte nel registro più grave ma riusciva a instillare in chi l'ascoltava una meraviglia, un appagamento nonché la certezza di essere di fronte ad una autentica fuoriclasse del belcanto. All'ascolto della Pratt queste considerazioni appena fatte le si possono ben calzare. Esempio su tutti la grande scena finale, risolta non solo con agilità e splendide note acute ma con una pregnanza dall'efficacia stupefacente.
Accanto ad una Elisabetta di tal calibro ben si delinea anche l'ottimo Roberto di John Osborn che inanella assieme ad un primo atto splendido, giocato in maniera stupefacente su un uso accurato e morbidissimo delle mezze voci, una scena del carcere da assoluto protagonista.
Autentica rivelazione positiva è stata la Sara di Raffaela Lupinacci: timbro prettamente mezzosopranile che però svetta senza problemi anche nel registro acuto. La sua è una Sara tormentata (fin dall'inizio) che però viene risolta sempre nel canto attraverso un registro nobile e vellutato.
Nobiltà di timbro non manca a Simone Piazzola che, pur indisposto, ha "portato a casa" la serata. Purtroppo non avendo la salute dalla sua ha potuto solo abbozzare quella che sicuramente era la sua linea interpretativa. Ammirevole comunque perché ha cantato tutta la parte e tutte le note, senza risparmiarsi anche se inevitabilmente ne ha risentito il volume della sua voce che nel corso dell'opera si è fatto sempre più flebile.
Ben delineati vocalmente anche i ruoli secondari: David Astorga (Cecil), Ignas Melnikas (Gualtiero) e Fulvio Valenti (Famigliare di Nottingham - Cavaliere).
Alberto Zanardi, direttore di palcoscenico al Donizetti Festival di Bergamo, dirige con piglio e gusto una buonissima Orchestra Donizetti Opera. Si sente che ha sicuramente seguito il tanto lavoro fatto a Bergamo per la preparazione dell'opera con direttore principale Riccardo Frizza. Il frutto è un buon rapporto buca/palcoscenico nonché un corretto supporto delle voci.
Appropriato anche l'apporto del Coro dell'Accademia del Teatro alla Scala, preparato da Salvo Sgrò.
Veniamo adesso ad alcune considerazioni sull'allestimento curato da Stephen Langridge per la regia, coadiuvato da Katie Davenport (scene e costumi) e Peter Mumford (disegno luci). La concezione del regista inglese ci riporta senza dubbio al "teatro elisabettiano" (le quinte mobili dove si staglia il coro) e unici elementi scenici colorati, di un rosso sgargiante, sono il letto di Sara e il trono di Elisabetta. Lo spettacolo si fa guardare, senza grandi stravolgimenti o trovate particolari, anche se poco capibili sono parse sia la scelta di proporre una Sara incinta così come di poco gusto è parsa la rappresentazione dell'impiccato durante la scena drammaticissima del carcere di Roberto. A parte questo però di è vista una buona cura sulle gestualità e sui movimenti delle masse.
Al termine grandi ovazioni per Pratt, Osborn e Lupinacci... e applausi convinti per tutti.
Recita del 19 novembre 2024 - 🌟🌟🌟🌟
Foto di Nicola Boschetti, tratte dal profilo FB del Teatro Sociale di Rovigo
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