Le opere dimenticate... "I CAPRICCI DI CALLOT" di G. F. Malipiero


Nell’attesa, che credo sarà ancora lunga…, di parlare di musica “dal vivo” voglio fare alcune riflessioni su un compositore molto importante del ‘900: Gian Francesco Malipiero.
La sua produzione operistica è molto ampia, nello specifico ben 20 titoli, e va da Orfeide del 1925 a Uno dei dieci del 1971.


Il lavoro di Malipiero che voglio prendere in considerazione è I capricci di Callot, opera in tre atti, prologo e cinque quadri su libretto del compositore stesso e andato in scena per la prima volta al Teatro dell’Opera di Roma il 24 ottobre 1942.


Quest’opera credo che si possa considerare come un momento determinante nell’evoluzione artistica di Malipiero, una nuova svolta, dopo quella che lo aveva temporaneamente allontanato dai prediletti temi fantastici (pensiamo a Torneo notturno) per accostarsi a soggetti storici di alta derivazione tragica. Con I capricci di Callot Malipiero volta le spalle alle tentazioni shakespeariane o classiche, esplicitate in Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra, e ritorna al suo mondo allucinato ed ironico, ai limiti del sogno, popolato di labili creature in balìa del caso. Nei Capricci l'indirizzo drammatico del primo Malipiero assume contorni ancor più surreali, dal momento che l'opera si sottrae ai risvolti simbolici sempre presenti nei lavori degli anni Venti. Il racconto imbastito da Hoffmann (dal quale prende spunto) sulle figure dei Balli di Sfessania per Malipiero altro non è che una storia di “esseri senza scheletro”, di “vestiti gonfi d'aria”. Le vicende insensate e stravaganti dei Capricci lasciano perciò ampio spazio alla musica, i cui ritmi, nella proliferazione di incisi e di episodi, commentano e nello stesso tempo creano il canovaccio della rappresentazione, la quale si basa su una trama praticamente inesistente, che somma con evidente anarchia drammatica le avventure dei due protagonisti, Giacinta e l'attore Giglio.
In un primo tempo Malipiero aveva pensato di realizzare i Capricci in forma di balletto, e tracce consistenti di azione danzata rimangono anche nella versione definitiva dell'opera come, per esempio, l’ingresso delle maschere nel prologo. Ma in tutti e tre gli atti molta è la musica strumentale votata alla danza. Ne consegue che l’insieme degli episodi strumentali hanno il sopravvento su quelli vocali. A dire il vero anche le parti vocali non hanno nulla di “minore” rispetto alle parti strumentali, pensiamo in primis alla scena della pazzia di Giacinta del terzo atto.


I confronti e parallelismi che sorgono spontanei tra i Capricci e i lavori della prima stagione teatrale malipieriana ne sottolineano, oltre che un indubbio filo conseguenziale, anche una sostanziale distanza concettuale. Rispetto ai personaggi del primo teatro di Malipiero, che trascendono sempre la natura di maschere per rappresentare per via allegorica qualcosa che va oltre la finzione scenica, i Capricci risultano infatti una mascherata di maschere vere, dietro le quali non rimane altro che il nulla, quasi che si veda in questo il passaggio dai “giovani” pensieri a una maturità più consapevole. E proprio per lo svanire delle illusioni giovanili, ma non della sostanza drammatica e musicale che le aveva espresse, I capricci di Callot credo possano essere considerati come l'atto di fondazione di una nuova e ricca stagione teatrale malipieriana.

Qui di seguito il link con l'opera:

Qui invece il link con il libretto:

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