IL PURO FOLLE A PALERMO... NELLA VISIONE VICK/WELLBER
Ho finalmente visto il Parsifal che ha inaugurato la
stagione 2020 del Teatro Massimo di Palermo. Il mio interesse riguardava
innanzitutto l’aspetto musicale, con il debutto di Omer Meir Wellber come
direttore musicale del teatro palermitano, senza dimenticare la regia affidata
a Graham Vick che, invece, ritornava a Palermo dopo la Tetralogia terminata tre
anni fa.
Parto dalla regia…
L’ambiente in cui Vick fa muovere la storia dell’opera è
l’intero palcoscenico del Massimo, completamente spoglio, quasi a ricordarci
antiche architetture dell’età romana ora in disuso o magari grandi ed altissimi
capannoni di un’era industriale passata. Sul palco c’è solo una enorme e lunga
pedana che lo sovrasta fino ad occupare proscenio e parte del golfo mistico.
Nient’altro, a parte qualche elemento (un albero spoglio, alcune tende che
dividono la scena e sulle quali riflettono le proiezioni, per esempio) che va a
caratterizzare il luogo e il tempo di svolgimento dell’azione. Per il resto è
tutto lasciato in mano al regista… e Vick lo sa fare, nel bene e nel male.
L’idea di fondo del regista inglese pare quella di “desacralizzare” la vicenda
del Graal portando la vicenda non in un tempo indefinito ma ai giorni nostri. I
Cavalieri del Graal sono dei militari, schierati per una missione di pace in un
paese del Medio Oriente, ma sfiduciati rispetto a quello che era o dovrebbe
essere il loro compito principale. Amfortas è la figura vivente del Cristo
prossimo alla crocifissione con tanto di corona di spine e mantello rosso il
quale con un pugnale si trafigge il costato ed il sangue che ne esce (sangue
avvelenato dal suo peccato) lo offre da bere in una tazza di latta ai cavalieri.
Queste azioni non servono a cambiare il corso delle cose, perché il mondo
rappresentato da Vick è pienamente immerso nel peccato (donne umiliate e
violentate, bambini uccisi) finché non si palesa la figura di Parsifal, il “Puro
Folle”. La sua entrata è tradizionalissima (qui troviamo arco e cigno morto) e
con la sua ingenuità riuscirà a superare le tentazioni delle fanciulle-fiore e
dello stesso Klingsor. Alla fine Parsifal riesce, con la sua opera, a redimere il
mondo facendo resuscitare i tanti bambini uccisi dalla guerra, facendo di essi
il nuovo Graal, mentre i militari si accasciano tutti al suolo privi di vita. La
regia di Vick si chiude quindi con il più bel messaggio che al giorno d’oggi ci
possa essere.
Certo non è entusiasmante, a mio parere, la sua concezione
registica (non è sicuramente al livello della Boheme bolognese) ma ci sono
tante idee interessanti che non vanno a snaturare l’opera. I momenti più belli
a mio avviso sono i siparietti con le proiezioni e il finale, i peggiori alcune
scene soprattutto del secondo atto.
Di paro passo con la regia si muove la concertazione di Omer
Meir Wellber. Il suo Parsifal è senza fronzoli, secco, pregnante allo stesso
tempo, ma molto morbido nel suono. L’orchestra, che negli ultimi anni ha eseguito
spesso Wagner, lo segue al meglio delle sue possibilità anche se non eccelse.
Ne risulta un Wagner italianizzato nei colori e nelle atmosfere, sicuramente
diverso da quello dei grandi direttori di scuola tedesca (e Wellber viene da
quella scuola) ma impregnato di sacralità. Una bella prova…
Anche il cast vocale è di buon livello, certamente non con
punte eccelse ma ben amalgamato e funzionale alla resa finale.
Julian Hubbard ci porta un Parsifal dalla voce di tenore
lirico e quasi adolescenziale, che ben si va a innestare nell’idea registica di
Vick e ben viene supportato da Wellber.
Catherine Hunold canta e recita benissimo nel ruolo di
Kundry. Il suo è un personaggio molto particolare nell’universo wagneriano e io
l’ho apprezzata soprattutto nei momenti più lirici.
John Relyea, nel ruolo di Gurnemanz, è forse il migliore
della serata ma non sfigura l’Amfortas di Tómas Tómasson. Buoni anche gli interpreti
degli altri ruoli, a partire dal Klingsor di Thomas Gazheli e il Titurel di
Alexei Tanovitski.
Bene il coro del teatro palermitano, così come le voci
bianche.
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