BUONE NOTIZIE DALLA TURANDOT FANTASCIENTIFICA DI BARCELLONA
Il Teatro del Liceu di Barcellona ha aperto la sua nuova
stagione con un allestimento “fantascientifico” di Turandot. Il
capolavoro di Puccini ben si può apprestare ad interpretazioni un po’ “fuori”
dai dettami del libretto scritto da Renato Simoni e Giuseppe Adami e tante sono
state le versioni sceniche, in anni passati e recenti, che he hanno preso il
largo pur rifacendosi alle prescrizioni in esso enunciate (una su tutte la
versione di Eminutas Nekrosius vista alla Scala nel 2015).
Certo chi è abituato alla “principessa di gelo” zeffirelliana
sicuramente sarà rimasto un po’ sconcertato dall’impianto scenico sul quale si sviluppa
la regia di Frank Aleu, tutta poggiata su delle bellissime videoproiezioni che
risultano in alcuni momenti dell’opera vere protagoniste della scena (veramente
impressionante il momento dell’inno alla luna così come l’ingresso dell’imperatore
Altoum nel secondo quadro del secondo atto). L’elemento scenografico principale
è una “specie” di piramide che un po’ ricorda Stargate, con all’estremità due
bracci meccanici che sembrano ricordare qualche carcere “stellare” sorvegliato
da robot. I personaggi in parte ricordano la saga di “Star Wars” così come
alcuni episodi di “Star Trek” e il popolo è perennemente adornato di occhiali per
la realtà virtuale, molto conosciuti al giorno d’oggi soprattutto dai giovani.
Quando Ping, Pong e Pang sognano le loro vecchie casette
nelle remote province cinesi questi emanano delle scie di luce che sembrano
portare la bontà/umanità fuori dai loro corpi facendo così capire come non ci
sia spazio per i sentimenti nel mondo di Turandot.
Quello rappresentato da Aleu in definitiva è un mondo
virtuale in tutto per tutto, nella quale sono le maschere che la fanno da
padrone e solo i veri sentimenti (l’amore puro insieme a quello paterno) non
hanno bisogno di maschere. Infatti per tutta l’opera ne sono privi solamente
Liù e Timur, mentre Calaf continua fino alla fine, anche dopo aver strappato il
copricapo di Turandot nel duetto finale, a colloquiare non con la
donna/principessa ormai spogliata della sua aurea ma con lo stesso copricapo.
Dicevamo che il vero amore, come ben definito dalla partitura, è quello di Liù
che infatti si immola per l’amato Calaf (non si ucciderà rubando una spada come
scritto nel libretto, ma uccisa da delle scariche di energia durante la
tortura/interrogatorio) e il suo corpo esamine rimarrà in scena fino alla fine
dell’opera, cullato da Turandot. E questo effetto finale forse è il coronamento
di una visione registica tutt’altro che insensata.
La parte musicale si è avvalsa della direzione molto
poderosa, in alcuni momenti molto pesante (in termini di quantità di suono
prodotto dalle masse orchestrali), di Josep Pons che riesce però anche a
trovare bellissimi colori quando accompagna la straordinaria Liù di Ermonela
Jaho. Il soprano albanese delizia il pubblico con una prova sublime, una spanna
sopra tutti gli altri interpreti.
La Turadot di Iréne Theorin canta con la dovuta potenza (si
sente la dimestichezza con il repertorio wagneriano) la parte della
principessa. Forse in alcuni momenti è un po’ sopra le righe ma ci lascia
soprattutto una bella interpretazione musicale e scenica del duetto finale.
Il Calaf di Jorge de Leòn è, a mio avviso, troppo basato sul
canto stentoreo. Le note certo non gli mancano ma durante tutta l’opera non si
sono sentite sfumature particolari e l’intera interpretazione (a parte un acuto
non preso benissimo nel secondo atto) rimane monocorde. Un peccato perché il
potenziale è enorme.
Molto buono il Timur di Alexander Vinogradov così come
interessanti sono le tre maschere interpretate da Toni Marsol, Francisco Vas e Mikeldi
Atxalandabaso.
Una menzione per il cammeo di Chris Merritt nel ruolo dell’imperatore
Altoum.
Ecco il link per vedere lo spettacolo:
https://www.arte.tv/en/videos/091009-000-A/turandot-by-puccini-at-the-gran-teatre-del-liceu/
Commenti
Posta un commento