INFANTICIDIO E AMORE... NELLO STILE DI JANACEK


Il Teatro Nazionale di Brno (Repubblica Ceca) ha inaugurato la sua stagione lirica con un nuovo allestimento di Jenufa, capolavoro giovanile di Leos Janacek, rappresentato per la prima volta nel 1904 proprio nella città morava.


Lo spettacolo di Martin Glaser con le scene di Pavel Boràk e i costumi di Markéta Slàdeckovà è nel solco della tradizione. Non va a stravolgere nulla rispetto alle prescrizioni del libretto e fa muovere abbastanza didascalicamente cantanti e masse corali. Nel complesso uno spettacolo scorrevole senza grandi pretese, che ci porta in un ambiente abbastanza stilizzato (spazi interni cubici che lasciano intravedere l’ambiente esterno), con un disegno luci di Martin Spetlìk non particolarmente accattivante. Credo che comunque nel disegno d’insieme elaborato dal regista ci sia la volontà di rappresentare l’opera, pur mantenendo gli aspetti tipici del folklore, in maniera molto realistica, cercando quindi di sottendere il più possibile all’aspetto musicale elaboratissimo di Janacek.


La parte musicale è abbastanza buona, con una direzione di Marko Ivanovic di routine che si avvale del discreto apporto dei complessi artistici locali di Brno. La musica di Jenufa è allo stesso tempo arcaica e moderna, folkloristica e autonoma, aggressiva e delicata... poco però di tutte queste dinamiche che sottendono la partitura si sono sentite, a mio modesto parere, nella concertazione.


Vera mattatrice della serata è Szilvia Ràlik che tratteggia una Kostelnicka veramente sublime sia dal punto di vista musicale che scenico. La matrigna di Jenufa viene presentata come una sorta di governante di un convitto per giovani donne (emblematica la scena del secondo atto con quattro piccole stanze tutte uguali provviste di piccolo tavolo, crocifisso e Madonna appesi ai muri e porta che conduce alla cameretta da letto) che, cercando di fare il meglio per Jenufa (così lei pensa) cerca di manovrare gli eventi non riuscendoci purtroppo. La disperazione che cogliamo poi nei suoi atteggiamenti del terzo atto, fino alla sua confessione, la tratteggiano come la vera protagonista dell’opera.


Nei panni di Jenufa Pavla Vykopalovà tratteggia un personaggio dai due volti: dopo un primo atto abbastanza problematico dal punto di vista musicale si riscatta con un secondo atto impostato soprattutto sul lato intimistico e quindi più adatto alle sue corde, oltre ad un bel duetto finale.
Jaroslav Brezina, nel ruolo di Laca, ha una linea di canto abbastanza interessante che nel primo atto, forse a causa di un inizio a freddo, però non riesce a mettere bene a fuoco con parecchi acuti presi non molto bene, al limite dell’urlato. Nella breve parte del secondo atto e poi nell’atto finale la resa è sicuramente migliore.


Poco a fuoco anche lo Steva di Tomas Juhàs che tende molto più alla declamazione piuttosto che al cantato (nel primo atto può anche starci perché deve fare la parte dell’ubriaco… poi basta).
Discreti i ruoli secondari.

Di seguito il link dove poter vedere l'opera:

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