ERMIONE C'E' MA PIRRO E GLI ALTRI NO... O QUASI
Nel catalogo rossiniano Ermione va a prendersi uno
spazio tutto particolare. Questa è un’opera tutt’altro che classica come
concezione, ed anzi il pubblico napoletano del lontano 1819 non la capì e la
fischiò sonoramente. Infatti tante sono le soluzioni che Rossini adotta in quest’opera,
e tutte vanno in maniera opposta rispetto a quelle che erano le prassi
consolidate del teatro musicale di quegli anni.
Bene ha fatto, nel ricordo di quella prima rappresentazione,
il San Carlo a metterla in scena anche se tante lacune si sono notate.
La parte drammaturgica è affidata al regista Jacopo Spirei
che ambienta lo svolgimento dell’opera in un Novecento immaginario, all’interno
di un palazzo che si presume sia la residenza di Pirro, con ancelle abbigliate
alla greca e una manciata di soldati che fanno da guardie del corpo a re,
vestito in doppiopetto. Oltre a questo aspetto visivo però non succede nulla in
scena. I cantanti, così come il coro, sono praticamente fermi come delle belle
statuine e l’azione scorre lenta fino alla fine. Pare non ci sia una vera idea
di fondo, forse volendo in parte lasciare l’attenzione dello spettatore
soprattutto all’aspetto vocale e musicale.
E purtroppo anche su questi aspetti le cose non vanno
benissimo.
A dire il vero lo spettacolo sulla carta era parecchio
interessante per la presenza sul podio di Alessandro De Marchi, il quale però
non ha ottenuto dei grandissimi suoni dall’orchestra stabile del teatro,
peraltro molto al di sotto dei livelli di sufficienza (soprattutto nel reparto
degli ottoni e con qualche sfasatura evidente anche nei legni), così come non è
stato particolarmente aiutato dal coro (in molte occasioni in ritardo rispetto
all’orchestra). La cifra complessiva della sua concertazione si può riassumere
in due aspetti, uno positivo e uno meno: interessanti i momenti lirici ma
carenti i momenti di pathos, concitazione, accensione degli animi (tutti questi
molto presenti nella partitura rossiniana).
Dal punto di vista vocale sicuramente la punta di eccellenza
va ad Angela Meade, soprano americano dalla possenza (anche fisica) debordante.
A parte qualche piccolo peccato veniale (in alcuni momenti l’italiano lascia un
po’ a desiderare) è una Ermione sontuosa, capace di una voce scura ma nello
stesso tempo squillante che lascia agli spettatori una scena del secondo atto
veramente d’antologia.
Per una Ermione così “importante” fa da contraltare un Pirro
inesistente. John Irvin ha infatti una interessante voce che tende al
baritonale ma, problema fondamentale, che non si sente… piccola piccola e in
alcuni casi anche in evidente difficoltà con le agilità richieste da Rossini.
Sicuramente una scelta azzardata per un ruolo che attualmente è al di fuori
delle sue possibilità.
Interessante l’altra voce femminile principale, l’Andromaca
di Teresa Iervolino, che pur con qualche lacuna (soprattutto in qualche acuto)
ha un bellissimo registro centrale che ben si addice alla parte.
Antonino Siragusa, nel ruolo di Oreste, mostra in scena tutto
il suo carisma e il suo mestiere. Certamente non era nel massimo delle sue
possibilità ma ha portato bene a termine una serata nella quale non ha lesinato
nessuna delle note scritte da Rossini (e quello di Oreste è un ruolo “monstre”
da questo punto di vista) anche se alcuni acuti risultavano presi così di
sfuggita.
Negli altri ruoli da ricordare positivamente Gaia Petrone,
Chiara Tirotta e Cristiano Olivieri mentre sufficienti sono risultati Filippo
Adami e Ugo Gagliardo.
Peccato per la scarsa resa della ripresa audio-televisiva…
molto al di sotto delle normali dirette curate da Operavision in giro per l’Europa.
Ecco il link per vedere lo spettacolo:
https://www.youtube.com/watch?v=QmRSnrkIqoA
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