MARIOTTI E IL SUO IDOMENEO... CHAPEAU


Con la mente ancora ferma allo splendido Idomeneo salisburghese di Currentzis ho ascoltato, purtroppo solo alla radio, il titolo mozartiano nell’esecuzione che ancora in questi giorni sta calcando le scene del Teatro dell’Opera di Roma. Le mie impressioni quindi sull’Idomeneo romano si riferiranno solamente alla parte musicale, consapevole che un regista importante come Robert Carsen avrà sicuramente dato una sua specifica impronta di pari passo con la esecuzione musicale.


Grande interesse era per la direzione di Michele Mariotti, forse la migliore bacchetta italiana della giovane generazione di direttori d’orchestra. Il direttore pesarese ad ogni ascolto riesce a convincermi sempre di più su quelle che sono le sue qualità e su come riesce a lavorare in sintonia e sinergia con masse orchestrali, corali e cantanti singoli. Questa esecuzione dell’Idomeneo ne è una riprova. Si sente in ogni nota suonata e cantata come sia certosino il lavoro di scavo e levigatura del direttore, inoltre è da apprezzare la volontà di ricerca di un suono particolare. E le masse artistiche capitoline rispondono appieno (splendida l’esecuzione corale affidata, come sempre, alle sapienti mani di Roberto Gabbiani). La partitura mozartiana, qui proposta nella versione viennese, risplende di luce con tempi sempre giusti e, al momento opportuno, taglienti ma sempre musicalissimi. Grande attenzione poi (cosa che non sempre succede) ai recitativi. Nel complesso direzione orchestrale e delle masse da standing ovation.


Mariotti è attorniato, nel complesso, da una buonissima compagnia di canto capitanata dal tenore statunitense Charles Workman (che io ricordo all’inizio di carriera nel Ferrando di Abbado a Ferrara e successivamente in vari ruoli rossiniani a Pesaro) che con il suo timbro molto particolare ci dona un Idomeneo di alto profilo, molto solido sia nei momenti drammatici che in quelli dove è richiesta agilità di emissione.


Il tenore Joel Prieto impersona un accurato e intenso Idamante (nella versione viennese il ruolo è sostenuto da un tenore e non da un castrato-mezzosoprano), avvalendosi di una voce chiara ma dal bello slancio giovanile.


Rosa Feola è una splendida Ilia che trova nell’aria “Padre, germani, addio” (a mio modesto avviso) forse il momento musicalmente più intenso ed emozionante della serata.
Interessante l’Elettra di Miah Persson che punta molto (e il personaggio lo richiede) sulla forza della sua voce accompagnata alle tante agilità. Forse però alla fine risulta di uno scalino più basso rispetto agli altri protagonisti.


Buonissimi i comprimari Alessandro Luciano (Arbace), Liver Johnston (Gran Sacerdote) e Andrii Ganchuck (Voce).

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