IL FIDELIO... DELLA CADUTA DEL MURO
In concomitanza con la ricorrenza del trentennale della
caduta del Muro di Berlino il Teatro Comunale di Bologna mette in scena (in
attesa della chiusura di stagione affidata al dittico Cavalleria/Pagliacci) Fidelio,
capolavoro e unico lavoro teatrale compiuto di Ludwig van Beethoven. Forse, da
un certo punto di vista, non c’era occasione migliore da sfruttare… anche se
tutte le carte a disposizione del teatro bolognese non sono andate tutte a buon
fine.
Lo spettacolo di Georges Delnon (con le scene di Kaspar
Zwimpfer) risulta interessante ma non memorabile, anche se cerca di
attualizzare, proprio in quel periodo vicino alla caduta del muro, la vicenda…
che in verità ben si può prestare, in quanto oppressione e dittatura sono
purtroppo ben presenti ancora oggi come nel passato. La scena, fissa, è una ampia
stanza con ampie finestre su due lati che danno su un bosco, l’altro lato della
stanza è decorato con carta da parati a fiorellini. Questa ultima parete
contiene al suo interno tre spazi, che durante il corso dell’opera si svelano
al pubblico e diventano, a loro volta, la scena dell’azione: si vede dapprima
un archivio della polizia segreta, poi una prigione nascosta nella quale
vengono confinati i prigionieri politici. Questo ci fa ben capire come tutta l’azione
si svolga in un regime dittatoriale… e i riferimenti alla Repubblica
Democratica Tedesca sono molto evidenti. Lo spettacolo, da questo punto di
vista fila liscio senza grandi scossoni ma la regia, alla fine, è quasi
inesistente. Sulla scena non si vede nulla di particolare, a parte il tentativo
di stupro di Jaquino nei confronti di Marzeline.
L’aspetto musicale, così come quello visivo e drammaturgico,
non convince pienamente.
Asher Fisch dirige una attenta orchestra del Comunale con
buon piglio nel primo atto (interessante l’ouverture e i ritmi che ottiene
nelle marce, così come buona è la scena di Pizzarro) ma poi il tutto si
affloscia durante la seconda parte dello spettacolo che corre, abbastanza lenta
e senza piglio (complice a mio avviso anche la scelta condivisibile, visto lo
spettacolo, di non eseguire la Leonora III), così come resta lì a metà il grande
concertato finale. Emblema, quest’ultima resa, di come è andata tutta la
recita.
I cantanti non danno una grossa mano al direttore.
La Leonore di Magdalena Anna Hofmann non brilla né per
fraseggio né per bellezza della linea vocale. In alcuni frangenti è apparsa
palesemente in difficoltà tanto da meritarsi qualche sparuto “buh” al termine
della sua aria del primo atto.
Molto carente anche il Florestan di Daniel Frank che appare
subito in difficoltà nella sua grande aria di apertura del secondo atto. La
linea di canto è un po’ ballerina ma un po’ alla volta si riprende e ci lascia
un discrreeto duetto con Leonora e un interessante finale.
Lucio Gallo ha interpretato don Pizzarro con grande
maestria. Certo il suo mezzo vocale risulta un po’ logoro ma comunque sia il
peso scenico e l’ancora interessante linea di canto ne hanno fatto l’interprete
migliore del cast.
Interessante la Marzelline di Anna Maria Sarra mentre non
memorabile invece Sascha E. Kramer come Jaquino.
Petri Lindroos è un Rocco dalla voce cupa ma nello stesso
tempo un po’ opaca.
Buono il coro del Teatro Comunale.
Ecco il link per vedere lo spettacolo:
https://www.youtube.com/watch?v=XkiVIsp41Kc
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