A ROVIGO... PER LA TRAVIATA INAUGURALE DELLA STAGIONE N. 206

Venerdì sera il Teatro Sociale di Rovigo era tirato a lucido per la “prima” della sua stagione lirica n° 206. Pubblico delle grandi occasioni per La traviata di Giuseppe Verdi proposta nel nuovo allestimento curato da Ivan Stefanutti e con la direzione orchestrale di Francesco Rosa.

Ufficialità e sacralità della serata sono combaciate nell’esecuzione, a luci piene in sala, dell’Inno di Mameli, vista la presenza del Prefetto e delle massime autorità cittadine.

Allo spegnimento delle luci, sulle note del celeberrimo preludio, il sipario si apre su una scena abbastanza sgombra con delle vetrate sul fondo che ci porta in un attico di un grattacielo di New York, negli anni ’30.

Da qui prendo spunto per parlare delle scelte registiche di Ivan Stefanutti.

Il regista, come già si sapeva dalle anticipazioni, ambienta l’opera nei primi anni ’30 del Novecento e scena principale è un grande spazio, simile ad un attico, che guarda sui grattacieli di quella che potrebbe benissimo essere New York. Sullo sfondo sono proiettati appunto questi grattacieli che ci riportano un po’ ai fumetti (in parte mi ricordano un po’ anche Tim Burton) e delle vetrate dividono una sorta di grande terrazzo rispetto all’appartamento di Violetta che arriva fino al proscenio. Il coro, in costumi abbastanza interessanti si muove molto poco (causa misure anti-covid presumo) così come i protagonisti sono sempre molto distanziati e percorrono il palcoscenico quasi sempre in maniera circolare. Due ballerini (peraltro bravissimi) occupano quasi totalmente il palcoscenico durante il brindisi e finalmente, quando Violetta e Alfredo rimangono soli, i due personaggi si avvicinano e comincia a vedersi una parvenza di drammaturgia. Il secondo atto si apre nello stesso spazio (con la differenza di un tavolino e un paio di sedie) e dalle proiezioni sul fondo pare quasi di fare un salto a Central Park: in questo ambiente si muovono i personaggi che praticamente sempre si sfiorano. Ritorniamo ad un attico di un grattacielo durante la festa di Flora e qui, nella scena delle zingarelle e dei mattatori, alcuni ballerini e ballerine danzano con in mano delle grandi bambole raffiguranti proprio zingarelle e mattatori, trovata anche questa che può piacere ma non porta via un gran che alla drammaturgia. La scena del terzo atto è quasi totalmente occupata da un grande letto con lenzuola bianche sul quale Violetta canta il suo “Addio, del passato”. Al momento del coro “Largo al quadrupede” fa specie vedere sullo sfondo i fuochi d’artificio tra i grattacieli e sentir cantare “Parigini, date passo al trionfo del bue grasso”.


Mi fermo qui con i momenti salienti di quello che lo spettatore ha visto. Questo per dire che la regia, che doveva mostrarci una Traviata completamente nuova… alla fine non ha dato nulla in più rispetto a tutto quello che Verdi e Piave avevano già pensato nel 1853. Per carità non si sono visti né scempi né travisamenti del libretto ma, a mio parere, complessivamente “tanto fumo e poco arrosto”.

Il cast si è ben adattato alle richieste del regista e, nel complesso, dal punto di vista scenico si è mosso bene sul palcoscenico.


Claudia Pavone sta maturando sempre più questo splendido ma difficilissimo personaggio. Dotata non solo di ottimi mezzi vocali ma anche di una presenza scenica strabordante la Pavone ha il merito di portare in scena una Violetta credibilissima e che matura, nella voce, durante tutta la vicenda. La sua linea di canto è omogenea in ogni registro, cristallina al punto giusto (si destreggia benissimo in tutto il finale primo) e, seppur nella giovane età, riesce ad esprimere l’angoscia, la tristezza, la rabbia anche di questo personaggio che, forse, è uno dei più complessi dell’intero universo lirico. Ci sono alcuni momenti che voglio citare, perché sono stati quelli che più mi sono piaciuti, all’interno di una prestazione complessiva di altissimo livello che è stata ripagata dai tantissimi applausi del pubblico. Il primo è sicuramente il grande duetto con Germont padre nel quale, complice in positivo anche il collega, la Pavone emoziona e calda i cuori: il suo “Dite alla giovine” e di una languidezza pura; ottimo poi il suo approccio che porta al famosissimo “Amami Alfredo!”; doloroso e struggente il suo “Addio, del passato”. Apice poi lo straordinario momento del “Gran Dio!... morir sì giovine” cantato quasi con rabbia, ma quella giusta. Nel complesso una prova ottima della del soprano nata a Stoccarda ma vicentina da sempre.

Purtroppo molto abbondantemente al di sotto della Pavone è l’Alfredo di Raffaele Abete: le note ci sono tutte (si si toglie qualche lieve incertezza) ma il limite della sua prestazione è che fondamentalmente non scalda i cuori, non emoziona… alla fine in ogni occasione risulta freddino.


Sorpresa positivissima è invece quella di Leo An che impersona un Giorgio Germont, oserei dire, quasi da antologia: il suo ingresso in scena con le poche parole “Madamigella Valery” incollano lo spettatore alla poltrona. Voce dalla brillantezza quasi adamantina ma nello stesso tempo brunita il giusto, melodiosa (ottimo il suo “Di Provenza il mar, il suol”), dal buon fraseggio e dalla sicura carriera.

Gli interpreti secondari non sono tutti sullo stesso livello: se sono ben caratterizzati Francesco Toso (Marchese), Emanuele Giannino (Gastone), William Corrò (Barone Duphol) e Michele Zanchi (Dottor Grenvil) altrettanto non si può dire di Andreina Drago (Flora) e Michela Bregantin (Annina). Buoni gli altri cantanti dei ruoli minori.

Serata buona ma non stupefacente per il Coro Lirico Veneto diretto da Giuliano Fracasso.

Il maestro Francesco Rosa è una bella sorpresa perché riesce a dare una lettura della partitura di gusto e classe. La sua direzione è improntata principalmente sul rapporto musica/parola ed in questo lo si è notato bene come lui respirasse con i cantanti, forse talvolta assecondandoli anche un po’ troppo nelle loro esigenze. I colori sono giusti così come la scelta dei tempi, mai troppo veloci. Insomma direzione ispirata… seguita in maniera abbastanza appropriata dall’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta.




Recita del 12 novembre 2021 – 🌟🌟🌟🌟

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