A MILANO (in tv) PER IL SANT'AMBROGIO DELLA RINASCITA

Tanta era la pressione mediatica sulla "prima" del Teatro alla Scala dopo un anno e mezzo di attività quasi azzerata a causa della pandemia da Covid-19... per questo è un piacere enorme vedere il teatro pieno, con le composizioni floreali donate da Giorgio Armani e un parterre di stelle più o meno brillanti in platea e nei palchi.

L'opera scelta per questa inaugurazione è Macbeth, uno dei massimi capolavori di Giuseppe Verdi, che va a chiudere idealmente il percorso nel "primo Verdi" di Riccardo Chailly (il tutto si è sempre svolto nei 7 dicembre) che ha toccato prima Giovanna d'Arco e poi Attila.

Lasciando stare aspetti mondani e altri fronzoli che naturalmente innervano la sera dell'apertura della stagione scaligera andiamo allo spettacolo.

Torna di nuovo per l'apertura della stagione scaligera Davide Livermore che con il suo collaudato team (Giò Forma per le scene, Gianluca Falaschi per i costumi e D-Wok per la parte video) ambienta tutta la vicenda in una città, così la definisce il regista nel libretto di sala, "distopica" e cioè in un ambiente in cui a farla da padrona è l'incubo: l'incubo di chi deve combattere o soccombere per il potere e l'innalzamento sociale; l'incubo di una società in cui la ricchezza fine a sé stessa la fa da padrona; l'incubo della povera gente costretta in ambienti chiusi da muri e fili spinati. In questo ambiente cittadino (tra la Gotham City di Batman passando per i fumetti e i videogiochi) si intrecciano le vicende della lotta per il potere di Macbeth che cerca, riuscendoci fino alla morte finale, a scalare le posizioni sociali e non solo prima con l'aiuto di Banco e poi, per la paura di vedere tutto svanito, facendo uccidere lo stesso compagno ma rimanendone poi segnato in maniera indelebile.

L'aspetto scenico è sicuramente impattante in positivo (la grande e complessa macchina scenica della Scala qui è sfruttata in ogni sua componente) ma alla fine, facendo i conti "della serva", sembra che l'idea registica non decolli. La cifra di Livermore si vede tutta (e i rimandi ad altri spettacoli del regista torinese sono evidenti perché un po' ti viene in mente Attila, Don Pasquale, Ciro in Babilonia solo per citarne alcuni) ma pare che la parte descrittiva sovrasti abbondantemente quella registica che si ferma ai movimenti delle masse e alla flebile recitazione dei protagonisti.

In Macbeth sono preponderanti, oltre ai personaggi molto caratterizzati, le streghe (vero quinto protagonista dell'opera insieme ai personaggi principali), le profezie del terzo atto (che qui sembrano più una seduta spiritica), la sete di potere di Macbeth oltre alla perfidia malsana di Lady Macbeth che portano ad una scia di sangue e di morte... poco si vede o si capisce nella regia di Livermore. Forse è una regia che guarda ai profani più che a coloro che quest'opera conoscono bene e amano.

Ripeto... spettacolo bello sicuramente da vedere ma non proprio centratissimo.

L'aspetto visivo si basa moltissimo (vista la scelta televisiva di puntare molto su primi piani) sui cantanti che, bisogna ammetterlo, si sono spesi molto in scena.

Luca Salsi affronta uno dei ruoli che forse, per vocalità e temperamento, meglio gli si addicono nel folto panorama baritonale verdiano. La sua interpretazione è intensa, basata molto sul declamato (e quindi cercando sfumature e accenti che si avvicinino più al parlato che non al cantato espressivo), con momenti molto intensi come l'aria "Pietà, rispetto, amore". Forse la ricerca quasi a sporcare la sua voce, per rispettare il dettame verdiano, non riesce a farlo rendere al meglio. Altro neo che affligge soprattutto lui sono i microfoni che in qualche occasione non lo aiutano ed anzi tendono a renderlo, con fiati e ansimazioni, a rendere il personaggio anche un po' ridicolo. Nel complesso però, dopo aver sentito Salsi più volte in questo personaggio, una delle sue interpretazioni più riuscite in questo ruolo.

Anna Netrebko si dimostra nel complesso una buona Lady Macbeth anche se questo personaggio non è pienamente nelle sue corde. La sua entrata è particolarmente problematica (incomprensibile addirittura la scelta di non farle recitare la lettera di Macbeth) e il suo "Vieni t'affretta" risulta insufficiente perché le note gravi sono anche troppo roboanti mentre quando la voce cerca di aprirsi verso l'alto il risultato è flebile e stiracchiato. Agilità poco precise e note non sempre centratissime hanno provocato qualche contestazione durante il primo atto. Dal secondo atto in poi la cantante russa si riscatta lasciandoci una buona "La luce langue" e un ottimo brindisi (veramente ben caratterizzata, anche per merito di Chailly, la ripresa dello stesso). Momento topico è sicuramente la scena del sonnambulismo affrontato ottimamente (anche se sporcato da un re bemolle acuto finale non preso benissimo ma smorzato in un piano da brividi). Anche a lei non fanno bene i microfoni perché normalmente la sua voce, piena di armonici, non rende amplificata. Sicuramente ieri sera non era al meglio della condizione ma ha dato prova ancora una volta, pur nelle difficoltà, di essere una grande artista.

Ildar Abdrazakov (che voci danno come protagonista del prossimo 7 dicembre, con il Boris Godunov di Mussorgskij) sfoggia nel personaggio di Banco tutta la sua classe e la sua autorevolezza. Emblema di tutta la sua recita è senza dubbio l'ottima esecuzione di "Come dal ciel precipita".

Ottima la prova anche di Francesco Meli che imprime al personaggio di Macduff il suo bellissimo colore e timbro. Anche qui cifra saliente di tutta la sua recita è la bella interpretazione di "Ah! La paterna mano".

Uno spettacolo d'opera non è fatto solo dai protagonisti ma anche dai comprimari e qui lo stuolo di cantanti messo assieme dalla direzione artistica del teatro è veramente di prim'ordine.

Chiara Isotton è una bravissima Dama di Lady Macbeth che sopperisce nel finale primo all'acuto del concertato al quale avrebbe dovuto partecipare, con la stessa nota, anche la Netrebko. Un lusso in questo ruolo quello del soprano veneto.

Ottimi anche Leonardo Galeazzi (Domestico), Andrea Pellegrini (Medico), Guillermo Bussolini (Sicario) e Costantino Finucci (Araldo e prima apparizione). Menzione speciale per le due voci bianche (Bianca Casertano e Rebecca Luoni) che, ottimamente preparate da Bruno Casoni, hanno interpretato la seconda e la terza apparizione.

Complessivamente è molto buona anche la prova del coro del Teatro alla Scala che, a parte qualche piccolo problema all'inizio del terzo atto ha cantato con la solita autorevolezza lasciandoci un'ottima "Patria oppressa". Da ricordare che questo Macbeth è stato il debutto scaligero ufficiale di Alberto Malazzi, da qualche mese alla guida del coro dopo il ventennale regno incontrastato di Bruno Casoni. Se le premesse sono queste... credo che il coro continuerà ad essere una delle grandissime eccellenze non solo della Scala ma dell'intera Italia.

Da ricordare che nei ballabili del terzo atto ha creato la coreografia (guardabile ma nulla più) Daniel Ezralov.

Veniamo ora a Riccardo Chailly... che anche stavolta (forse ancora di più rispetto ad altre occasioni) si può ritenere il vero vincitore della serata. La sua concertazione è teatralissima, corposa quanto basta, non preponderante, ma che va a raccogliere l'intimo e l'infimo di ogni aspetto della partitura. La sua scelta dei tempi (per lo più mai troppo veloci) appare congrua con l'aspetto drammaturgico e il lavoro di supporto dei cantanti è quasi maniacale. Si sente il grande lavoro che c'è dietro a questa concertazione che ci fa scoprire sicuramente lati fino ad ora quasi sconosciuti. Chailly riesce a dare una tinta particolare allo scorrere del dramma con punte sublimi come i finali di ogni atto, la giusta caratterizzazione delle due strofe del brindisi del secondo atto, la maestosità del finale quarto. Giusta la scelta di inserire i ballabili del terzo atto (sinceramente mai sentiti suonati così bene... con un'orchestra superlativa) mentre passabile ma nulla più si può considerare invece la scelta di inserire la scena della morte di Macbeth dalla versione fiorentina del 1847. In questi pochi minuti di musica, che senza dubbio possono essere funzionali anche alla narrazione, si vede in maniera troppo lampante come siano passati vent'anni dalla prima versione dall'opera a quella che Verdi considerò definitiva. Complessivamente una delle migliori direzioni di Chailly da quando è direttore musicale del Teatro alla Scala.


Diretta televisiva del 7 dicembre 2021 - 🌟🌟🌟 


Qui di seguito il link per vedere lo spettacolo (RaiPlay - visibile per 10 giorni):

https://www.raiplay.it/video/2021/11/Macbeth---Serata-inaugurale-20b94159-a3ec-4d5e-bf11-6c1642a5cb92.html 


Qui invece il link per ascoltare la registrazione audio (Rai Radio3):

Commenti

Post popolari in questo blog

A MILANO (in tv)... PER IL DON CARLO INAUGURALE

A ROVIGO... PER LA "GELIDA MANINA" DELLA BOHEME PUCCINIANA

A VERONA (in tv)... PER IL GIARDINO ARENIANO DEDICATO AL BARBIERE