UN'OPERA POLACCA... IN SALSA ITALIANA
Stanislaw Moniuszko è sicuramente il maggior compositore polacco,
autore di tante composizioni sulle quali spicca l’opera Halka, della
quale è stato recentemente riproposto a Varsavia l’allestimento del Teatro di
Poznan.
L’opera quando fu scritta da Moniuszko nel 1847 fu rifiutata
proprio dal Teatro Wielki di Varsavia, in quanto il tema del conflitto di
classe veniva ritenuto inadatto per una rappresentazione scenica e inoltre
potenzialmente pericoloso perché poteva infiammare gli spettatori. Dopo una
revisione importante, durata anni, che contempla il nuovo duetto Jontek-Janusz,
l’aggiunta dei ballabili, del preludio al terzo atto, nonché l’importante
cambio di registro del personaggio di Janusz da tenore a baritono e la non
trascurabile trasformazione da due a quattro atti, l’opera va finalmente in
scena il giorno di Capodanno del 1858 e ottiene un enorme successo.
In breve la trama.
In casa del nobile Stolnik si sta celebrando il fidanzamento
di sua figlia Zofia con il giovane Janusz, anche lui di nobile famiglia. La
festa è turbata dal canto lamentoso di Halka, una giovane montanara, sedotta e
poi abbandonata da Janusz, che piange il suo amore perduto. Il giovane nobile,
spinto anche dalla fidanzata, promette di spiegarsi con la fanciulla. Mentre
Halka aspetta l’amato si imbatte in Jontek, un giovane montanaro di lei
innamorato, che la mette in guardia sulla falsità di Janusz. Nell’incontro
successivo tra Halka e Janusz la giovane afferma di essere incinta e che il
padre del futuro bambino è proprio Janusz. Questi la caccia e davanti alla folla
sostiene che questa è in preda a follia. Nel villaggio montano di Halka c’è una
festa e a questa arrivano Jontek e una Halka disperata per il rifiuto dell’amato.
In quel luogo arriva anche il corte nuziale per le nozze di Janusz e Zofia e
mentre la cerimonia è in corso Halka, che nel frattempo ha perso il suo bambino,
sconvolta dal dolore si getta da un precipizio raccomandando la propria anima a
Dio.
La concezione registica di Pawel Passini, supportata dalle
scene di Zuzanna Srebrna ci portano in un ambiente praticamente senza tempo,
con il palcoscenico occupato da una grande pedana e con coristi e cantanti che
si muovono tra platea del teatro e palco. Ai lati del proscenio in alcuni
momenti ci sono delle proiezioni video. I nobili sono tutti in frac, uomini e
donne, e queste ultime addirittura hanno appiccicati sul viso dei baffoni
orrendi. L’unica donna a non averli è Zofia. I montanari/popolani sembra che
arrivino invece dalla mitologia, vestiti quasi con stracci e tutti, uomini e
donne, con corna in testa. Capisco il voler distinguere i due mondi (nobili e
popolo) ma oltre a questo non c’è nulla. Nessun personaggio è abbastanza
scavato nel suo intimo, anzi la staticità la fa da padrona pur nella volontà di
rendere in definitiva partecipe anche chi sta al di qua del palcoscenico, il
tutto poi va confrontato con le bruttissime coreografie. Forse sarebbe stata
migliore una esecuzione in forma di concerto.
Certo che anche sul piano musicale le cose non è che siano
andate meglio. Gabriel Chmura dirige
senza infamia e senza lode, perdendo
molte volte l’equilibrio ritmico tra buca e palcoscenico e inoltre ha il
demerito di aver accettato di dirigere, alla fine dell’opera, senza soluzione
di continuità rispetto al dramma che si consuma con il suicidio di Halka un
balletto frizzante (la mazurka estrapolata delle danze del terzo atto) che
nulla ha a che fare con quello che si è appena svolto.
Non mi soffermo sulla pronuncia perché il polacco non lo
conosco ma in tutti i cantanti ho trovato delle difficoltà, piccole ed enormi,
a seconda dei casi. La protagonista è impersonata da Monika Mych-Nowicka che
canta una parte molto più grande di lei. In palese difficoltà soprattutto nei
primi due atti, fa fatica ad arrivare alle note più alte e ci porta ad un
finale (che in parte ricorda i grandi finali donizettiani) raggiunto per il
rotto della cuffia. Non va meglio lo Jontek di Piotr Friebe che mostra un canto
sforzato dalla prima all’ultima nota. Sufficiente lo Janusz di Lukasz Golinski,
che in alcuni momenti ricorda un Onegin un po’ sfocato. Niente di che gli altri
interpreti.
Devo dire che una rappresentazione di questo tipo, sia
scenicamente che musicalmente, non rende giustizia ad una partitura molto
interessante che, prendendo spunto dai modelli delle musica europea (tedesca, francese
e soprattutto italiana) è riuscita bene ad integrare la musica popolare con
quella più colta.
Questa è la versione italiana puoi scaricarla:
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