ALMANACCO OPERISTICO - 26 gennaio 2021 - COSI' FAN TUTTE di W. A. Mozart
COSÌ FAN TUTTE ossia La scuola degli amanti
Dramma giocoso in
due atti di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang
Amadeus Mozart
Prima
rappresentazione: Vienna, Burgtheater, 26 gennaio 1790
Ultima delle opere su libretto di Lorenzo Da Ponte, dopo Le nozze di
Figaro (1786) e Don Giovanni (1787), Così fan tutte è anche
l’ultima opera buffa mozartiana: seguiranno il Singspiel Die Zauberflöte
e l’opera seria La clemenza di Tito. Fu commissionata dall’imperatore
Giuseppe II in seguito al successo delle riprese viennesi di Don Giovanni
(maggio 1788) e delle Nozze di Figaro (agosto-novembre 1789). Alla
‘prima’ parteciparono Adriana Ferrarese del Bene, Louise Villeneuve, Vincenzo
Calvesi, Dorotea Bussani (il primo Cherubino nelle Nozze di Figaro),
Francesco Benucci (il primo Figaro) e Francesco Bussani (il primo Bartolo). Nel
libretto sono fuse varie fonti: la vicenda sembra originale, ma un fitto
intreccio di citazioni chiama in causa Ovidio, Boccaccio, Ariosto, Marivaux e
Goldoni. Riguardo all’Orlando furioso, pensiamo alle novelle misogine del nappo
(canti XLII-XLIII) e di Astolfo e Iocondo (XXVII-XXVIII); i nomi dei personaggi
derivano dal poema: Despina da Fiordispina, Dorabella da una crasi fra Doralice
e Isabella, Fiordiligi dalla sposa fedele per antonomasia. I libretti
goldoniani offrono numerosi spunti, entrati nella tradizione del repertorio
buffo: ad esempio, ne Le pescatrici due pescatori si mascherano «con
baffi, e vestiti da Cavalieri» per mettere alla prova le amanti.
LA TRAMA
Nell’ouverture, dopo due frasi dell’oboe, l’orchestra cadenza per
accordi, la prima volta piano (cadenza d’inganno), la seconda forte
(cadenza perfetta); è il motto dell’opera, poiché nel recitativo accompagnato
che precede il finale i personaggi maschili, sopra lo stesso giro cadenzante,
canteranno: «così fan tutte». La frase di recitativo, il titolo e il motto che
fa capolino nell’ouverture sono i primi richiami interni in un’opera che ne è
ricchissima. «Così fan tutte le belle/ non c’è alcuna novità», commentava Don
Basilio nel terzetto del primo atto delle Nozze di Figaro; una citazione
della sua cantilena si trova, accelerata, nel primo tema dell’episodio centrale
dell’ouverture, il Presto in forma-sonata, composto da microsequenze che si
ripetono geometricamente: un tappeto di figure a note ribattute, sempre agli
archi; una fanfaretta a piena orchestra; un primo tema scorrevole, in crome, le
cui semifrasi si rincorrono fra vari gruppi di strumenti, in modo da esaurire
le possibilità di combinazione; un secondo più scuro e avvolto su se stesso,
sempre in una successione di crome, ma affidata di volta in volta a un solo
gruppo timbrico. Dopo la ripresa abbreviata, ritorna il motto. In una bottega
di caffè, a Napoli, siedono due ufficiali e un vecchio filosofo, Don Alfonso.
«La mia Dorabella/ capace non è» di essere infedele, esclama Ferrando, come a
proseguire un discorso già iniziato; e con lui Guglielmo, l’altro ufficiale:
«la mia Fiordiligi/ tradirmi non sa». Don Alfonso, che ha provocato la disputa
sostenendo il contrario, cerca di farsi indietro, ma i due intendono sfidarlo a
duello, per difendere l’onore delle future spose. Tre brevi terzetti ritmano la
scena, fra di essi incalza il recitativo semplice. «È la fede delle femmine/
come l’araba fenice:/ che vi sia, ciascun lo dice;/ dove sia, nessun lo sa»:
così inizia il secondo terzetto, e a parlare è naturalmente Don Alfonso, che
calma i bollori dei giovani citando la quartina di Metastasio (il quale, meno
maschilista, diceva «la fede degli amanti»), accolta nella tradizione comica
attraverso Goldoni (La scuola modernaI,8). Il filosofo scommette cento
zecchini, per provare ai due amici che le fidanzate non sono diverse dalle
altre donne; per un giorno, Ferrando e Guglielmo dovranno attenersi ai suoi ordini.
«E de’ cento zecchini, che faremo?» si chiede Guglielmo, sicuro di vincere.
«Una bella serenata/ far io voglio alla mia dea», canta a melodia spiegata
Ferrando, avviando l’ultimo terzetto del prologo. Nel giardino della casa sul
golfo, le sorelle Fiordiligi e Dorabella contemplano sognanti i ritratti dei
fidanzati e intrecciano il primo dei loro duetti (“Ah guarda sorella”). A un
languido Andante segue un Allegro in cui clarinetti e fagotti si alternano o
raddoppiano le voci, le quali procedono spesso per terze e seste parallele o ad
imitazione incrociata (una voce fissa su una nota e l’altra che arpeggia, e
viceversa): sono stilemi ricorrenti nella partitura; anche nei concertati le
sorelle canteranno così, inseparabili. Don Alfonso reca una notizia terribile,
ma prima crea il panico cantando un frammento di aria concisa e agitata, poche
battute ansimanti: il suo unico numero da solista (“Vorrei dir, e cor non ho”).
Spiega che i fidanzati sono richiamati al fronte e devono partire all’istante.
Arrivano Ferrando e Guglielmo, compunti e tristissimi: disperazione delle
sorelle (quintetto “Sento, o Dio, che questo piede”), confortate dagli amanti
(duettino “Al fato dàn legge”), coro di soldati che annuncia il passaggio della
barca del reggimento (“Bella vita militar!”), promessa di scriversi spesso
(altro quintetto). All’inizio dell’ultimo numero (“Di scrivermi ogni giorno”)
le voci entrano una per volta, sillabando; ogni nota è seguita da una pausa,
secondo una direzione precisa, dalla prima voce (Fiordiligi) all’ultima (Don
Alfonso): la prima rimane inchiodata sulla stessa nota, anche gli altri non
riescono ad articolare un’intera frase; solo Don Alfonso ripete fra sé,
cadenzando compiutamente, «Io crepo, se non rido!». Poi una lunga, commossa
melodia passa fra le varie voci, mentre in orchestra spiccano le viole ad
avvolgere e unificare la compagine vocale e strumentale. I soldati si
allontanano e «le amanti restano immobili sulla sponda del mare». “Soave sia il
vento”, si augurano nel terzetto seguente: i violini creano un tessuto di
semicrome, su cui si distende la melodia; nella prima parte le voci procedono
omoritmicamente, unite come in un corale, poi si sciolgono indipendenti in
alcune battute polifoniche e, nella coda, si fermano per due volte su un accordo
interrogativo, amplificato dai fiati, che getta un’ombra sulla leggerezza
sognante di quanto si è ascoltato. Don Alfonso si compiace per aver recitato
bene; le frasi che i soldati scambiavano a mezza voce con l’amico ci avevano
insospettito, ma adesso siamo sicuri: la partenza è una farsa. Non conosciamo
ancora il piano di Don Alfonso, che declama una terzina ripresa da Sannazaro:
«Nel mare solca e nell’arena semina/ e il vago vento spera in rete accogliere/
chi fonda sue speranze in cor di femina». Alla presenza della cameriera
Despina, Dorabella intona un recitativo da opera seria, seguito da un’aria
drammatica e concitata, “Smanie implacabili”, con accompagnamento spiritato di
violini e fiati (fagotti, corni, clarinetti) a note tenute, come nelle opere
serie quando si parla di aldilà (e infatti sono citate le Eumenidi, nel testo
ricco di versi sdruccioli tradizionalmente ‘infernali’). Informata
dell’accaduto, Despina espone le proprie idee circa la fedeltà maschile ed
esorta Fiordiligi e Dorabella a «far all’amor come assassine»: i fidanzati al
fronte faranno altrettanto (aria “In uomini, in soldati”). Don Alfonso cerca
l’aiuto di Despina, promettendole venti scudi se insieme riusciranno a far
entrare nelle grazie delle sorelle due nuovi pretendenti. Travestiti da
ufficiali albanesi, si avanzano Ferrando e Guglielmo, e Despina non li
riconosce, ridendo poiché «hanno un muso fuor dell’uso,/ vero antidoto d’amor».
Irrompono le padrone, furenti per la presenza degli sconosciuti; i finti
albanesi si dichiarano spasimanti delle sorelle, che esplodono in una cascata
di irati vocalizzi (sestetto “Alla bella Despinetta”). Don Alfonso presenta gli
ufficiali come suoi cari amici; alle loro rinnovate e caricaturali offerte
d’amore, Fiordiligi risponde – anche a nome della sorella – in un vigoroso
recitativo: esse serberanno fedeltà agli amanti, fino alla morte. A questo
punto è naturale che ella concluda la dichiarazione con un’aria seria, ‘di
paragone’ (“Come scoglio immoto resta”), lunga e virtuosistica, nella quale la
voce procede per grandi intervalli (alla fine della prima frase copre oltre due
ottave di estensione, in due sole battute, sulle parole «e la tempesta»); dopo
la frase in Andante maestoso, l’aria si compone di un Allegro e di una seconda
sezione più mossa. Guglielmo replica con un’arietta buffa (“Non siate ritrosi”)
in cui implora le sorelle, assicurando: «siam forti e ben fatti,/ siam due cari
matti» e vantando sguaiatamente la propria virilità («e questi mustacchi/
chiamare si possono/ trionfi degli uomini,/ pennacchi d’amor»). Fiordiligi e
Dorabella si ritirano senza parole; i due pretendenti scoppiano a ridere,
mentre Don Alfonso li esorta a tacere, in un terzetto veloce e come in punta di
piedi (“E voi ridete?”). Ferrando, innamorato dell’amore, invece di
preoccuparsi come Guglielmo per aver saltato il pranzo, pensa che a fine
giornata sarà nutrito dall’«aura» del suo tesoro: Mozart sorvola sul testo
grottesco e disegna una melodia distesa, un momento di pausa nella spietata
geometria drammaturgica dell’opera (“Un’aura amorosa”). In giardino, Fiordiligi
e Dorabella intonano un duettino di sconforto (“Ah, che tutta in un momento”),
ricamato spiritosamente dall’eco di flauti e fagotti: è l’introduzione al
finale d’atto. Don Alfonso insegue gli albanesi, che fingono di bere un veleno
e stramazzano al suolo; l’amico va in cerca di un medico e lascia i due
agonizzanti davanti alle esterrefatte sorelle, che iniziano a provare
compassione. Arriva Despina travestita da medico, declamando frasi in un latino
strampalato, su un tempo di pomposo minuetto. «Ah, questo medico/ vale un
Perù», esclamano le sorelle e Alfonso quando Despina fa rinvenire gli albanesi,
toccandoli con una calamita. Ferrando e Guglielmo rinnovano le dichiarazioni e
abbracciano le donne; in una lunga sezione (andante “Dove son? che loco è
questo?”) il tempo drammatico si arresta, le frasi si ripetono sospese in un
meccanismo ‘a pendolo’, fra i personaggi divisi a gruppi: le sorelle, gli
amanti, Despina e Don Alfonso, che guidano il gioco ed esortano le donne ad
assecondare i primi desideri dei resuscitati, i quali si comportano in modo
molto passionale solo perché questi sono gli «effetti ancor del tosco». Quando
i due pretendono un bacio, Fiordiligi e Dorabella si infiammano indignate e rifiutano,
dichiarando: «Disperati, attossicati,/ ite al diavol quanti siete!».
Le ritroviamo meglio disposte nel secondo atto, quando nella loro camera
vengono convinte da Despina (aria “Una donna a quindici anni”) e decidono di
«divertirsi un poco, e non morire/ dalla malinconia», senza mancare di fede
agli amanti, s’intende. Giocheranno, nessuno saprà niente, la gente penserà che
gli albanesi che girano per casa siano spasimanti della cameriera. Resta solo
da scegliere (duetto “Prenderò quel brunettino”): Dorabella, che decide per
prima, vuole Guglielmo, e Fiordiligi apprezza il fatto che le spetti il biondo
Ferrando. Nel giardino sul mare si ascolta musica di scena (all’aria aperta,
quindi per soli fiati): i due albanesi offrono uno spettacolo alle dame, i suonatori
e i cantanti arrivano in barca (duetto con coro “Secondate, aurette amiche”).
Don Alfonso e Despina incoraggiano gli amanti e le donne a parlarsi e li
lasciano soli (quartetto “La mano a me date”). «Oh, che bella giornata!»,
«Caldetta anziché no»...: la conversazione è impacciata. Poi Fiordiligi e
Ferrando si allontanano, suscitando la gelosia di Guglielmo, che offre un
regalo a Dorabella e riesce a conquistarla (duetto “Il core vi dono”).
Fiordiligi è sconvolta, capisce che il gioco si è mutato in realtà. Quando
Ferrando si accomiata (aria “Ah, lo veggio: quell’anima bella”) ella ha un
attimo di debolezza e vorrebbe richiamarlo, poi intona un grande rondò (“Per
pietà, ben mio, perdona”): ha conosciuto la passione, il suo amore non è più
quello virtuoso che serbava al fidanzato ufficiale, è un nuovo sentimento: «è
smania, affanno,/ rimorso, pentimento,/ leggerezza, perfidia e tradimento!»;
spaventata, rivolge il pensiero al promesso sposo Guglielmo e si proclama a lui
fedele. Questi è impacciato nel comunicare a Ferrando che Dorabella ha ceduto
facilmente, ma è felice del fatto che Fiordiligi si sia dimostrata «la modestia
in carne»; commentando l’infedeltà di Dorabella trova accenti (aria “Donne mie,
la fate a tanti”) degni di Don Alfonso, o di Figaro nell’aria del quarto atto
delle Nozze. Ferrando replica, in una breve cavatina (“Tradito,
schernito”), di amare ancora l’infedele fidanzata. In casa, Dorabella esorta
Fiordiligi a divertirsi; il tono scherzoso e lo stile disinvolto della sua aria
(“È amore un ladroncello”) indicano che Dorabella parla il linguaggio di
Despina, si è ‘abbassata’ alla sua morale. Fiordiligi decide di travestirsi da
ufficiale e raggiungere il promesso sposo sul campo di battaglia: si fa portare
delle vesti maschili, si guarda allo specchio, constata il fatto che cambiare
abito significa perdere la propria identità; immagina di trovarsi già sul posto
e che Guglielmo la riconosca (duetto “Tra gli amplessi in pochi istanti”), ma
Ferrando la interrompe, minacciando di uccidersi. «Taci, ahimè! Son abbastanza/
tormentata ed infelice!» implora Fiordiligi, e Ferrando chiede la sua mano,
rivolgendosi a lei con parole che probabilmente Guglielmo non le ha mai detto.
«Crudel, hai vinto», mormora la donna; e aggiunge, su una frase dell’oboe: «fa’
di me quel che ti par». Guglielmo ha assistito al dialogo, è furente, e anche
Ferrando odia la sua ex fidanzata, ma Don Alfonso, che ha dimostrato quanto
voleva, li esorta a finire la commedia con doppie nozze: una donna vale
l’altra, meglio tenersi queste «cornacchie spennacchiate»; in un’ottava egli
spiega di non voler accusare le donne, anzi le scusa, è colpa della natura se
«così fan tutte». Nella sala illuminata, con la tavola imbandita per gli sposi,
Despina organizza i preparativi (finale “Fate presto, o cari amici”) e il coro
di servi e suonatori inneggia alle nuove coppie. Al momento del brindisi
Fiordiligi, Dorabella e Ferrando cantano un breve canone, su un tema
affettuoso, da musica da camera, mentre Guglielmo si mostra incapace di unirsi
a loro e commenta: «Ah, bevessero del tossico/ queste volpi senza onor!». Il
notaio (Despina travestita) fa firmare il finto contratto nuziale; un coro
interno intona “Bella vita militar!” e le sorelle rimangono impietrite: tornano
i fidanzati. Nascosti gli albanesi in una stanza, esse si preparano ad
accogliere Ferrando e Guglielmo, che fingono di insospettirsi quando scoprono
il notaio e il contratto; poi si presentano vestiti da albanesi, ma senza
cappello, senza mantelli e senza «mustacchi», in modo da essere riconosciuti.
Don Alfonso si giustifica: ha agito a fin di bene, per rendere più saggi gli
sposi. Le coppie si ricompongono (non si sa quali), tutti cantano la morale:
«Fortunato l’uom che prende/ ogni cosa pel buon verso,/ e tra i casi e le vicende/
da ragion guidar si fa».
Il libretto mette in scena la crudeltà dei rapporti fra i sessi e la pretesa maschile del dominio fisico esclusivo su una persona. Il tema dell’infedeltà è spesso presente nella librettistica comica, ma qui ha un sapore diverso: alla prova sono messe due donne di condizione sociale elevata. Per convenzione, nell’opera buffa solo serve, contadine e popolane potevano esprimersi in modo più libero e comportarsi in modo disinibito, in quanto lo schermo della differenza sociale implicava il giudizio negativo da parte dello spettatore. In ottica maschilista, l’infedeltà dell’uomo è stata sempre considerata più ‘naturale’: Don Giovanni e il conte delle Nozze di Figaro destano minori preoccupazioni di Fiordiligi e Dorabella, dame «ferraresi» (un omaggio alla civiltà rinascimentale dell’Ariosto). Queste eroine di un nuovo mondo cortese, se si mostrano infedeli vengono bollate dai fidanzati come donne «che non valgono due soldi» e «cagne», o semplicemente «femmine» da Don Alfonso. Immaginiamo il contrario, la stessa vicenda rovesciata: Ferrando e Guglielmo messi alla prova da Fiordiligi e Dorabella travestite, con scambio di coppie (anche la contessa delle Nozze, suo malgrado, mette alla prova il marito fedifrago e, travestita da Susanna, ne subisce le pesanti attenzioni; ma subito lo perdona, benedicendolo con una melodia dolcissima che cade dal cielo: «Più docile io sono...»). Proprio una frase di Fiordiligi, nel suo primo recitativo, insinua la prospettiva potenzialmente rovesciata: «Mi par che stamattina volentieri/ farei la pazzarella (...)/ Quando Guglielmo viene, se sapessi/ che burla gli vo’ far!», ma poi sono le donne a subire la burla da parte degli amanti: forse Da Ponte vuole suggerire che tutto è relativo, ogni cosa è il contrario di se stessa, e che il libretto prevede il suo negativo... Allora, cosa succederebbe se a travestirsi fossero le sorelle? Nulla di interessante, nessuna presa in giro crudele, puntuale routine drammaturgica: Ferrando e Guglielmo cederebbero subito (altro che finti avvelenamenti), perché «così fan tutti». La prospettiva musicale rovesciata funzionerebbe ancor meno; pensiamo a un Ferrando che canti le arie di Fiordiligi, retoricamente belcantistiche, da opera seria: non sarebbe possibile. La drammaturgia musicale dell’opera di Mozart funziona perché a essere ingannate sono le donne, e perché alle protagoniste femminili è concesso di adottare un registro stilistico che agli uomini non compete: lo stile alto, tragico. Per cantare “Come scoglio”, o anche “Per pietà, ben mio, perdona”, Ferrando dovrebbe diventare un castrato. Ai rappresentanti del ‘maschile’, quasi per contrappasso, è dato esprimersi solamente in una gamma di registri molto ridotta: dal languore delle brevi arie di Ferrando, alla rabbia buffa, in stile comico, di Guglielmo. A Don Alfonso poi non è nemmeno concessa un’aria vera e propria: egli ragiona soltanto, adottando i recitativi accompagnati da opera francese razionalista. Invece la stessa Despina si muove con disinvoltura fra le ampie possibilità retoriche del ‘femminile’: il suo ambito naturale è il ritmo ternario, è la corta melodia facile facile, da cameriera. Ma non è inchiodata lì: può assumere il linguaggio delle sue padrone, quando è chiamata a parlare al loro posto (nel quartetto del secondo atto: «Quello ch’è stato è stato»); nei travestimenti può cambiare sesso, condizione sociale, linguaggio. E Dorabella intona un’aria di furia, ma scivola disinvoltamente nella facilità melodica della cameriera (“È amore un ladroncello”). Scarto di registri, parodia e ironia sono chiavi interpretative spesso adottate nell’esegesi di un’opera che vive di situazioni artificiali e parossistiche, con un libretto che si basa sulla finzione, sulla recita: una sorta di riflessione sulla storia dell’opera buffa.
Letta anche musicalmente
nella prospettiva sfuggente dell’ambiguità, Così fan tutte sembra
diventare un frutto del Novecento, un omaggio allo Stravinskij della musica ‘al
quadrato’, tutta citazione... Ma la musica teatrale è sempre parodia: l’opera
buffa di fine Settecento, intreccio di parole e gesti vocali-strumentali
codificati dalla tradizione, offre a ogni battuta un atteggiamento parodico
facile da decifrare. Talmente facile che diventa un abito, ed è quasi
impossibile distinguere l’intento ironico, soggettivo, da quel che è il
risultato dell’adesione spontanea ai canoni di un genere altamente codificato.
Quando Mozart intona le parole «sospir», «sospiretti» e simili, ricorrendo alla
tecnica dell’hoquetus, della parola spezzata da frequenti pause a
singhiozzo, fa la parodia di una formula abusata, cita consapevolmente quei
luoghi in cui egli stesso l’ha impiegata in precedenza, prende in giro le
svampitissime sorelle, o semplicemente aderisce al codice musicale che gli
impone quello stilema linguistico? Quando richiama più volte una formula
melodica precisa, ad esempio quella che prevede una nota tenuta, seguita da una
di volta e una rapida scala discendente (nel terzo terzetto, nella prima frase
di Ferrando, sulla parola «serenata»; nel primo quintetto, sulle parole «il
destin [così defrauda]»; etc.), offre una serie di autocitazioni che
significano qualcosa, o propone una formula che traduce lo sfogo di una
passione, senza istituire un rapporto diretto fra le varie occorrenze? Tutta la
melodia di Ferrando, nel terzetto “Una bella serenata”, sembra citata al
culmine drammatico dell’opera, nel duetto del secondo atto (“Tra gli amplessi
in pochi istanti”), tra lo stesso Ferrando e Fiordiligi, alle parole «Deh,
partite!», «Ah, no, mia vita!»: è una coincidenza o una traccia allusiva? E
così via. Più che un intento ironico, sembra sia una volontà di analisi,
un’attenzione serissima, tragica, a collegare gli esempi. È una riflessione sul
linguaggio musicale, sulla retorica dell’opera buffa: Mozart sembra prendere
tutto molto seriamente, assume l’artificiosità e la convenzionalità delle
formule espressive di un genere che ha decenni di storia alle spalle, riconosce
e sfrutta scopertamente la possibilità di scarti stilistici improvvisi, le
risorse di un codice di per sé impregnato di parodia e autocitazione. Così, può
illuminare ogni piega dei versi del libretto, può rendere anche una finezza
come tradurre musicalmente le figure retoriche: ad esempio nel primo duetto
femminile, ai versi «Si vede un sembiante/ guerriero ed amante», «Si vede una
faccia/ che alletta e minaccia», i ritmi puntati contrapposti ai languori di
appoggiature e arabeschi vocali traducono il chiasmo verbale (guerriero,
amante, alletta, minaccia), ma il compositore aggiunge di suo l’amplificazione
della seconda frase, con le triplici ripetizioni («che alletta, che alletta,
che alletta...»). Il «suono orribile», nella prima aria di Dorabella, è
puntualmente tradotto con una ‘fermata barocca’; la corsa palpitante degli
archi si blocca e si sentono solo i fiati, a note tenute, nella loro fissità
‘oracolare’, gluckiana: un altro artificio retorico. Per la frase «Mille volte
il brando presi», nella seconda aria di Guglielmo, Mozart introduce lo scoppio
orchestrale di trombe e timpani, che hanno unicamente la funzione di segnale
linguistico: la strumentazione militaresca non è prevista nella struttura di
quell’aria, che procede e conclude come aveva iniziato, con gli archi a rotta
di collo e le fanfarette dei fiati (flauti, oboi, fagotti, corni). Nella
consapevole traduzione ‘letterale’ del testo in figure musicali,
l’orchestrazione ha sempre una grande importanza. Clarinetti, fagotti, flauti,
oboi, spesso associati a due a due, punteggiano i sospiri degli amanti; i corni
sono usati a volte in funzione concertante, non solo come sostegno timbrico; le
trombe sono frequentemente impiegate al posto dei corni, senza i timpani: in
quest’ultimo caso (prima aria di Fiordiligi, Andante del finale primo,
quartetto del secondo atto e “Ah, lo veggio: quell’anima bella”) Mozart si
inventa un impasto orchestrale inedito.
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi
LA MIA PROPOSTA
È questa l’opera di Mozart che io adoro in assoluto. Ricordo ancora
quando, in gita scolastica a Vienna, ho cercato un negozio di musica vicino
alla Staatsoper e una volta trovato… mi sono immerso per un tempo indefinito
(mentre i miei compagni di classe girovagavano in cerca di souvenir) tra
spartiti, strumenti musicali e registrazioni. Alla fine ho scelto di comprare
la mia prima partitura orchestrale ed indovinate su quale titolo è caduta la
scelta? Proprio su Così fan tutte! Il catalogo delle edizioni di questo
capolavoro assoluto del teatro mozartiano non è amplissimo (circa 130 quelle
attualmente in commercio) e io mi sento di proporvi queste:
- Edizione audio diretta da Herbert von Karajan nel 1954 a Londra (E.
Schwarzkopf, N. Merriman, L. Otto, L. Simoneau, R. Panerai, S. Bruscantini);
- Edizione audio diretta da Karl Bohm nel 1962 a Londra (E. Schwarzkopf,
C. Ludwig, H. Steffek, A. Kraus, G. Taddei, W. Berry);
- Edizione audio diretta da Erich Leinsdorf nel 1967 a Londra (L. Price,
T. Troyanos, J. Raskin, G. Shirley, S. Millnes, E. Flagello);
- Edizione audio diretta da Colin Davis nel 1974 a Londra (M. Caballé, J.
Baker, I. Cotrubas, N. Gedda, W. Ganzarolli, R. Van Allen);
- Edizione video diretta da John Eliot Gardiner nel 1992 a Parigi (A.
Roocroft, R. Mannion, E. James, R. Trost, R. Gilfry, C. Nicolai);
- Edizione video diretta da Riccardo Muti nel 1996 a Vienna (B. Frittoli,
A. Kirchschlager, M. Bacelli, M. Schade, B. Skovus, A. Corbelli);
- Edizione video diretta da Claudio Abbado nel 2000 a Ferrara (M. Diener,
A.C. Antonacci, D. Mazzuccato, C. Workman, N. Ulivieri, A. Concetti).
L’edizione diretta da Herbert von Karajan nel 1954 è improntata innanzitutto
sulla splendida concertazione del direttore austriaco (anche se un po' troppo tagliata): lieve, delicata,
puntigliosa in ogni punto così come tanto morbida. Da brividi la concertazione
dell’aria “Un’aura amorosa” mentre manca forse un po’ di “pepe” in mezzo alle
note. Ottimo tutto il cast capitanato dalla Schwarzkopf e con un Sesto
Bruscantini eccezionale nel ruolo di Don Alfonso (la sua interpretazione è un esempio
eccezionale di leggerezza).
Molto classica la direzione di Karl Bohm con un cast, anche qui, ottimo:
la Schwarzkopf si dimostra ancora una volta una Fiordiligi bravissima insieme
ad una fuoriclasse come Christa Ludwig nel ruolo di Dorabella. Particolarissimi
il Ferrando di Alfredo Kraus e il Guglielmo di Taddei.
La direzione di Erich Leinsdorf, nella registrazione del 1967, è di una
modernità impressionante (precorre qui sicuramente i tempi dell’interpretazione).
Peccato però per un cast che, pur formato da ottimi cantanti, non esprime il
massimo potenziale che invece singolarmente ogni cantante potrebbe dare.
L’edizione del 1974 diretta da Colin Davis ha alcuni pregi, tra i quali,
quello di essere integrale. Il direttore inglese se la gioca con Karajan, a mio
avviso, per la migliore concertazione assoluta di questo capolavoro ed ha a
disposizione un cast di tutto rispetto che vede come migliori la Caballé (in uno
dei rarissimi suoi approcci a Mozart) e la Cotrubas (che nobilita al massimo il
personaggio di Despina). Pessimo purtroppo il Don Alfonso di Van Allen.
Nel 1992 John Eliot Gardiner dirige i “suoi” English Baroque Soloists al
Teatro Chatelet di Parigi con un ottimo piglio. Il cast è formato per lo più da
cantanti inglesi che, nel complesso, non sfigurano e rendono gradevole tutta la
recita. Discreta qui la regia teatrale di Peter. Mumford.
L’edizione diretta nel 1996 a Vienna da Riccardo Muti è, a mio parere,
più completa e ispirata rispetto a quella salisburghese dei primi anni ’80. I
Wiener Philharmoniker sono sempre straordinari e seguono in maniera lucidissima
il direttore italiano. Buono il cast con una buona Barbara Frittoli nel ruolo
di Fiordiligi e un ottimo Alessandro Corbelli come Don Alfonso. Interessante e classicissima la regia di Roberto De Simone.
Nel 2000 Claudio Abbado dirige a Ferrara questo capolavoro assieme alla “sua”
Mahler Chamber Orchestra e il risultato musicale è ottimo: il direttore
milanese non dirige mai senza lasciare qualcosa di suo… e questa direzione a
mio parere è l’opposto (nell’eccezionalità della sua prestazione) rispetto a
Karajan e Davis. Molto buono il cast a disposizione con una spigliatissima Anna
Caterina Antonacci come Dorabella. Anche in questa edizione è interessante la regia teatrale, in questo caso di Mario Martone.
Come avrete potuto leggere… non ho scelto un’edizione in particolare perché quasi ognuna di queste mi ha lasciato qualcosa. Vi lascio però da ascoltare/vedere tre edizioni sulle quali poi ognuno potrà farsi la sua idea: in ordine cronologico l’edizione Karajan / Muti / Abbado.
Edizione diretta da Herbert von Karajan:
Edizione diretta da Riccardo Muti:
Edizione diretta da Claudio Abbado:
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