LA PRIMA TOSCA... SI SCORDERA' OPPURE NO?

Come sottrarsi dal dire qualche parola sulla Tosca che ha inaugurato la stagione 2019-2020 del Teatro alla Scala e trasmessa dalla RAI in mezzo mondo…


Le aspettative per quest’opera erano altissime: non solo si andava ad inaugurare, per la prima volta nella storia del teatro meneghino, la stagione della Scala con questo titolo ma gran vociare ha fatto (per alcuni mesi direi) la scelta del maestro Chailly di proporre la prima versione di Tosca, quella andata in scena nel 1900 a Roma e che mai nessuno aveva ascoltato, in quanto subito furono apportate dall’autore delle modifiche che poi ci hanno dato quel gradissimo capolavoro che è la Tosca che tutti conosciamo. In più ci si aspettava molto dai protagonisti dell’opera, in primis la “diva” Anna Netrebko nel ruolo che fu della Callas, della Tebaldi, della Price, della Kabayvanska (cito alcuni dei mostri sacri che nelle settimane precedenti sono state ricordate da tutti gli appassionati). Ma tanta attesa c’era anche per Francesco Meli nel ruolo di Cavaradossi (e come non riesumare i vari Di Stefano, Corelli, Del Monaco, Bergonzi, Pavarotti, Domingo) e Luca Salsi in quello di Scarpia (e anche qui tutti a ricordare Gobbi, Taddei, Wixell, Raimondi). Altra attesa era quella per lo spettacolo firmato da Davide Livermore che ritornava ad inaugurare la stagione scaligera dopo l’Attila dello scorso anno.

Le premesse erano queste e… sinceramente dovevano far tremare altro che polsi!

La serata a mio avviso è stata una delle migliori degli ultimi anni, pur con qualche lieve appunto e dimostra quanto si possa fare teatro, musica e cultura in Italia… quando lo si vuole veramente (e lo dimostrano anche i quasi 3 milioni di telespettatori della diretta RAI).


Voglio partire innanzitutto dallo spettacolo di Davide Livermore che a me è piaciuto nel suo complesso. Le scene imponenti di Giò Forma, che hanno messo in luce la straordinaria macchina teatrale della Scala erano un continuo susseguirsi di ambienti e creavano in ogni istante una continua nuova situazione. La basilica di S. Andrea della Valle quasi le percorriamo insieme ai cantanti, lo studio di Scarpia a Palazzo Farnese ha nei ritratti prospicenti al soffitto degli spettatori particolari (belli i video come sempre curati da D-Wok) così come per la prima volta vediamo i sotterranei dello stesso palazzo dove Cavaradossi viene torturato. Castel Sant’Angelo è più stilizzato o lo si identifica abbastanza bene da una grande ala (un po’ simile alla Nike di Samotracia) che racchiude le prigioni e, roteando su sè stessa, riporta lo scorrere del tempo e da’ movimento anche all’azione che altrimenti risulterebbe molto statica. La regia di Livermore, con questo popò di contorno, è attentissima, dettagliata in ogni cosa (e qui molto giova la ripresa televisiva), non si discosta assolutamente mai dalla partitura e anzi ne segue ogni dettaglio. Forse in qualche momento non ha giovato troppo ai cantanti che in alcune occasioni si sono trovati molto in fondo al palcoscenico a cantare. Comunque un allestimento bello e ben curato con alcuni momenti veramente azzeccati, come il Te Deum e il finale secondo con la visione (o ricordo) dell’uccisione di Scarpia da parte di una Tosca che si appresta ad uscire dallo studio agitatissima… e forse proprio in quel modo ripercorre e capisce veramente quello che ha fatto. Forse la soluzione meno azzeccata è quella finale, dove Tosca in una sorta di rallenty sembra volare giù da Castel Sant’Angelo e non arrivare mai a terra.
La nota meno positiva della parte visiva sono i costumi. Poco azzeccati soprattutto quelli di Tosca (nel primo atto addirittura pareva quasi una caricatura di Moira Orfei) così come non bellissimi anche quelli del secondo e terz’atto. Interessante invece quello di Scarpia, che indossa un cappotto nero striato di venature rosso sangue.
La parte musicale è stata, a mio avviso, interessantissima.


Riccardo Chailly si dimostra ancora una volta un grandissimo conoscitore di Puccini e del suo teatro musicale. Qualcuno obietterà che certe volte è monotono, melenso, poco irruento ma, partitura e metronomo alla mano, il maestro milanese ci riporta veramente quello che Puccini pensava e voleva per Tosca. Ogni dettaglio è curato, ogni accensione non è mai scriteriata, sostiene e aiuta le voci e, cosa non secondaria, ha a disposizione un’orchestra e un coro che in questo repertorio non hanno eguali al mondo. Nota di merito (a mio avviso… ma per molti ho letto invece il contrario) quella di aver tenuto fermo il polso nel primo atto e aver fermato senza indugio l’orchestra nel momento in cui Angelotti non rientrava in scena. Questo secondo me, a parte l’inconveniente che anche alla Scala può succedere, gli rende merito ed ha evitato che la musica proseguisse senza il dovuto contraltare canoro (ancora mi ricordo la “non entrata” di Violetta nella Traviata inaugurale di qualche anno fa sempre alla Scala con abbondanti 30/40 secondi di musica senza canto e completo smarrimento di tutti).
Si diceva prima della versione scelta da Chailly, e cioè quella andata in scena a Roma il 14 gennaio 1900 e mai più eseguita perché superata dagli accorgimenti che lo stesso autore pose nei giorni successivi alla prima. Le differenze rispetto alla Tosca conosciuta sono marginali e non vanno assolutamente a snaturare l’impianto dell’opera. Il punto che più si discosta da quello che siamo abituati ad ascoltare è sicuramente il finale che risulta essere molto più prolisso (con la riproposizione praticamente integrale del tema di “E lucevan le stelle”) che ha portato 40/45 secondi di musica in più prima degli accordi conclusivi. Nel complesso Chailly ha fatto, a mio avviso, una bella cosa nel farci ascoltare questa versione. Forse non la ascolteremo più ma era doveroso (così come si è fatto con Madama Butterfly, Fanciulla del west e Manon Lescaut) riproporre al pubblico, anche solo per una volta, quella che era stata la prima versione dell’opera. E sinceramente è giusto che sia una grande istituzione come la Scala a farlo.

Il cast a disposizione è sicuramente tra i migliori oggi proponibili. E in questa occasione, come in tante altre, ritengo non sia giusto farsi troppo prendere dalla nostalgia per cantanti che non ci sono più o “fenomeni” che sono stati e che inevitabilmente non si possono ripetere.


Anna Netrebko forse non sarà la Tosca ideale ma canta veramente bene. La sua voce ha un registro medio che troppo spesso tende ad ingrossare il timbro (e tante note cantate da Tosca cadono in questo registro) ma riesce ad arrivare, quando le note salgono, a una lucentezza e a una morbidezza poco paragonabili con le altre “prime donne” dei giorni nostri. Sarà il frutto degli anni d’esordio nel quale si cimentava col bel canto? Forse. Fatto sta che ci lascia una Tosca nuova e diversa dal solito. Unici due nei, che la rendono “umana”, l’attacco tremante di “Vissi d’arte” e la dimenticanza della battuta con Scarpia prima di ucciderlo.


Francesco Meli arriva alla prima preparatissimo ed affronta con piglio il ruolo di Cavaradossi. È senza dubbio spettacolare per quanto riguarda dinamiche e colore del suo canto, sa legare in maniera eccezionale e ci lascia le due romanze come perle di una serata positivissima per lui. Qualche difficoltà, forse frenata dai microfoni e quindi sentita poco, c’è negli acuti non svettanti al massimo quanto canta “Vittoria” oppure “La vita mi costasse”. Ma ritengo non vadano ad inficiare la sua prestazione.


Luca Salsi è uno stupefacente Scarpia. Lui è il vero vincitore della serata e si dimostra come sia uno dei migliori baritoni del mondo. Il suo Scarpia è veramente cattivo, subdolo e viscido, ma sempre molto elegante. Il suo timbro non è mai sforzato e ci lascia uno Scarpia a tutto tondo, credo poco raggiungibile da altri allo stato attuale.
Tutti i comprimari sono all’altezza, a partire da Alfonso Antoniozzi, che ci lascia un ottimo sagrestano.
Carlo Bosi è uno straordinario artista e al momento credo non ci sia al mondo un comprimario della sua levatura: il suo Spoletta è il migliore di quelli ascoltati negli ultimi anni.
Buone le prove di Carlo Cigni (Angelotti), Giulio Mastrototaro (Sciarrone), Ernesto Panariello (carceriere) e del giovanissimo Gianluca Sartori (pastorello).

Qui di seguito il link dove è possibile vedere l'opera (per 2 settimane):
https://www.raiplay.it/video/2019/12/tosca-teatro-alla-scala-22f5a160-8c7e-4667-b8ef-fe59697ef619.html

Commenti

  1. Tosca troppo truccata: con un trucco più leggero non avrebbe somigliato ad una .....

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