A LIEGI VA IN SCENA LA BOHEME... DELLE PROMESSE NON CONFERMATE
L’Opéra Royal de Wallonie di Liegi apre la sua stagione con la produzione de La boheme di Giacomo Puccini nell’allestimento concepito dal sovrintendente e direttore artistico del teatro belga Stefano Mazzonis di Pralafera.
La vicenda viene trasportata
nella Parigi posto Seconda guerra mondiale e nel complesso non dispiace
visivamente, anche se a mio avviso alcune scelte di fondo della regia sono
molto discutibili. Alcuni piccoli esempi, e mi fermo solo al primo atto: Mimì,
nella sua entrata in scena, è in cerca (volontariamente) di Rodolfo e di fare
presa su di lui, lei non sta male e finge il mancamento; non c’è la candela ma
una torcia che lei accende e spegne a piacimento così come la chiave viene
lasciata volutamente per terra dalla stessa. Ci si mettono poi le norme
anti-Covid che non permettono la presenza in scena del coro e, in questo caso,
la regia trova un buon escamotage per fare in modo che la sua mancata presenza
non si noti più di tanto. Certo… sono tutte sottigliezze le mancanze che ho
riscontrato, perché comunque lo spettacolo fila via abbastanza liscio.
Dal punto di vista musicale,
secondo il mio modesto punto di vista, le cose vanno peggio.
Angela Gheorghiu continua ad
avere ancora la stoffa per essere una grande Mimì ma non riesce più a metterla
in pratica. Le note più acute del suo “Sì… Mi chiamano Mimì” sono sfocate,
prese appena appena, la zona centrale del suo registro vocale è molto corposa
ma è quando si va in su che le cose si fanno dure. Peccato perché è una
interprete visivamente ideale. Si riprende un po’ nel secondo atto e nel terzo
ci lascia una ben cantata “Donde lieta uscì”. Il quarto atto è ben cantato ma
non emoziona come dovrebbe. Insomma… una prestazione insufficiente.
Stefan Pop, nel ruolo di Rodolfo,
mi ha più o meno lasciato le stesse impressioni avute ascoltandolo nello stesso
ruolo al Teatro Carlo Felice di Genova lo scorso inverno. Le note ci sono tutte
anche se il colore non è bellissimo, canta un po’ alla vecchia maniera (non
avendone però la stoffa) allungando un po’ troppo le note e facendo un po’
troppe corone. La sua romanza d’esordio è ben cantata e ci lascia un finale
d’opera molto convincente.
Una nota di demerito dei due
protagonisti (con l’avvallo del direttore d’orchestra) è quello di cantare il
finale del primo atto sotto di mezzo tono rispetto a quanto scritto da Puccini,
per la precisione dalla battuta di Rodolfo “Dammi il braccio mia piccina”. Io
personalmente lo trovo una mancanza di rispetto assoluta alla partitura, anche
perché nessuno obbliga poi i due cantanti all’acuto finale di “Amor”. In
partitura c’è scritto tutto, basta eseguirlo senza voler ricorrere all’acuto
“strappa applausi”.
Note poco felici anche
dall’interprete di Marcello, Ionut Pascu, che molto spesso è impacciatissimo
nella pronuncia ed anzi, in alcuni momenti, tronca parole e soprattutto
consonanti per lanciarsi in lunghe vocali che dimostrano come il cantante abbia
sì dei buoni fiati ma musicalmente sia tutto da rivedere. Il timbro di voce non
sarebbe male, ma qui c’è ancora molto da lavorare.
Buona, anche se non
entusiasmante, la Musetta di Maria Rey-Joly. La sua entrata nel secondo atto è
da vera soubrette del varietà e in parte questa spigliatezza che il regista le
conferisce la si può ritrovare anche nelle note. La sua prova è costantemente
buona e forse, alla fine, è il personaggio che vocalmente convince di più rispetto
agli altri… insieme al Colline di Ugo Guagliardo (giovanile il giusto).
Discreto lo Schaunard di Kamil
Ben Hsain Lachiri e appena sufficienti gli altri interpreti.
La direzione d’orchestra è
affidata alla bacchetta esperta di Frédéric Chaslin che però non convince nella
sua concertazione. I tempi sono molto dilatati e non si sente mai un po’ di
“nervo” nella musica. Segue i cantanti… anche troppo. A volte le corone su cui
rimane fermo l’accordo dell’orchestra è interminabile. L’orchestra (a ranghi
ridotti) lo segue abbastanza bene ma in parecchi momenti ci sono delle
sfasature tra buca e palcoscenico, anche dovute alla presenza fuori scena del
coro (imbarazzante la differenza di tempo tra orchestra e coro dei ragazzi nel
secondo atto). Una concertazione insomma di routine… ma nel senso peggiore del
termine.
A mio avviso nel complesso si
poteva sperare, viste le premesse, in uno spettacolo di maggiore qualità
complessiva.
Per chi volesse questo è il link
per poter vedere lo spettacolo:
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