LA PARABOLA ARTISTICA E PERSONALE DI ZAZA'... IN SCENA A VIENNA

Ho avuto modo di ascoltare in questi giorni la nuova produzione di Zazà di Ruggero Leoncavallo andata in scena al Theater an der Wien di Vienna in un nuovo allestimento che si avvale della regia di Christof Loy.

Zazà, come del resto tutta la produzione leoncavalliana post Pagliacci, è un’opera eseguita molto di rado e io ne ho conoscenza personale da una vecchia versione audio diretta da Alfredo Silipigni che vedeva come protagonista il soprano Clara Petrella.


In breve la trama che si snoda durante i quattro atti dell’opera.

Atto primo. Zazà è la soubrette del caffè-concerto dell’Alcazar a St-Etienne. A lanciarla è stato Cascart: prima la ragazza viveva miseramente con la madre Anaide, un’ex artista sempre ubriaca. Cascart è innamorato della ragazza; lei gli è riconoscente, ma ama Milio Dufresne.

Atto secondo. Zazà, che da tre mesi è l’amante di Milio, è preoccupata a causa dell’annunciata partenza di lui per l’America. Arriva però Cascart, che le racconta di aver visto Milio a Parigi, in compagnia di una donna elegante. Zazà teme che l’uomo abbia un’amante e parte per la capitale.

Atto terzo. A Parigi. Milio è sposato e ha una figlia: con dolore ha deciso di lasciare Zazà e partire con la famiglia per l’America. Milio esce di casa con la moglie, quando arriva Zazà, che fa credere al maggiordomo di essere attesa dalla padrona di casa. La soubrette scopre che Milio è sposato e conosce anche sua figlia, Totò. Distrutta dal dolore, si allontana piangendo.

Atto quarto. Zazà confida a Cascart di voler ricominciare a cantare, ora che la sua storia d’amore è finita. Prima però vuol dire addio a Milio. All’uomo, all’oscuro di quanto sia successo, Zazà confessa di sapere tutto e gli fa credere di aver raccontato alla moglie la verità su loro due. La reazione di Dufresne è violenta: la insulta pesantemente dichiarando tutto il suo amore per la moglie. A Zazà è ormai chiaro che per Milio la famiglia è la cosa più importante. Allora spiega a Milio che non è successo niente, che la moglie è all’oscuro della loro relazione. E anche se l’uomo vorrebbe riavvicinarsi ella lo scaccia. Rimasta sola, Zazà piange sulla sua solitudine.


Il mondo del teatro visto da dietro le quinte, il ruolo dell’attore costretto a recitare nonostante i propri problemi personali: sono temi che Leoncavallo aveva già sviscerato in Pagliacci, e che qui ritornano, seppure in un’ottica meno tragica. Ma al compositore piace mescolare le carte utilizzando temi da caffè-concerto, parodie rossiniane, romanze da salotto, stilemi operettistici. Tanti, forse troppi, sono i personaggi che affollano i camerini e il palcoscenico dell’Alcazar: su tutti domina la figura della protagonista, di cui l’opera delinea un vero e proprio ritratto psicologico.

Con questo ambiente di fondo si trova a lavorare il regista che trasporta l’azione alla metà del secolo scorso, in un ambiente che sembra quasi un dopo-lavoro più che un caffè-concerto francese e poi si sposta in una spoglia camera da letto (o meglio una camera con un materasso per terra) e infine in una sorta di ampio atrio di una casa. Loy sicuramente ha il pregio di far muovere bene tutti i cantanti (pur all’interno delle restrizioni dovute alla pandemia) e ci mostra all’inizio una Zazà che sembra avere il mondo ai suoi piedi e un po’ alla volta, mentre cresce il suo amore per Milio (in questa produzione un uomo d’affari) fino alla scoperta della vera vita (famiglia con moglie e figlia) dello stesso, ci mostra come la soubrette ritorni ad essere una donna sola e fragile.

Sicuramente una produzione interessante dal punto di vista visivo che però si trova a dover confrontarsi con una parte musicale tutt’altro che avvincente.


Nei panni di Zazà Svetlana Aksenova fa del suo meglio per rendere, oltre che scenicamente, anche vocalmente il personaggio. Il ruolo è molto impegnativo (lo spettacolo dura complessivamente quasi due ore, senza intervallo, e lei è quasi sempre in scena) e il soprano russo alla fine ci presenta un’interessante prestazione. Personalmente il suo timbro non mi entusiasma anche se il suo finale è di bell’effetto.

Le cose purtroppo sono molto… molto peggiori se guardiamo alla prestazione di Nikolai Schukoff che interpreta il ruolo di Milio Dufresne. Voce dal timbro bruttissimo, canta un ruolo fuori dalle sue corde. In più momenti ho pensato che non sarebbe arrivato alla fine della rappresentazione perché la sensazione era quella che il fiato non lo sorreggesse. Scelta di repertorio sbagliata, serata negativa… fatto sta che ci porta una prestazione insufficiente.


Personalmente non mi ha entusiasmato nemmeno Christopher Maltman nel ruolo di Cascart anche se devo dire che nel complesso la sua è stata una prestazione dignitosissima, culminata da una buona interpretazione di “Zazà, piccola zingara”, forse il momento emotivamente più intenso della serata.

Dei personaggi comprimari mi sento di ricordare Enkelejda Shkosa (una robusta e convincente mamma) e Juliette Mars (Natalia), mentre gli altri sono appena sufficienti.


La concertazione di Stefan Soltész è alquanto alterna e si sviluppa nel corso della recita. Il primo atto sembra un’accozzaglia di elementi piuttosto che un amalgama tra orchestra e voci. Sembra che la sua concertazione non ne venga a capo e invece un po’ alla volta, nel corso degli atti, tutto diventa un po’ più chiaro e limpido. Rimane comunque l’impressione di una direzione poco attenta ai dettagli che sicuramente non rimarrà nei miei personali ricordi.

 

Qui di seguito il link per chi volesse guardare e ascoltare lo spettacolo:

https://www.youtube.com/watch?v=2Ag8L-HrB-Y 


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