IN MOMENTI DI PANDEMIA... IL BARBIERE ROSSINIANO CI RISOLLEVA IL MORALE
Il Teatro La Fenice di Venezia ha messo in scena nei giorni scorsi la “storica” produzione de Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini con la regia di Bepi Morassi e le scene e costumi di Lauro Crisman. L’allestimento è uno dei grandi classici che il teatro veneziano propone ormai da parecchi anni al suo pubblico che, anche in questa ripresa, si è dimostrato collaudato e ancora attuale. Certo… la regia ha dovuto subire inevitabilmente dei ripensamenti dovuti alle restrizioni sanitarie che non permettono un avvicinamento eccessivo tra i cantanti. Nel complesso lo spettacolo non subisce scossoni eccessivi rispetto a queste nuove esigenze e tutto fila via liscio, divertendo “il giusto” il pubblico con momenti divertenti ma mai sopra le righe.
Ogni volta che questo
allestimento viene riproposto sposta inevitabilmente il suo interesse sul lato
musicale, che si va ad inserire in un ambiente scenografico ben rodato.
La direzione d’orchestra è
affidata a Federico Maria Sardelli che lascia, a mio avviso, una concertazione
in chiaro-scuro. L’orchestra del teatro veneziano, forse anche per le distanze
in buca, non è precisissima e coesa in parecchi momenti della recita: questo
forse è dovuto alla scelta non sempre felicissima dei tempi che il direttore ha
scelto (in alcuni momenti molto veloci e in altri molto lenti). Anche la tenuta
tra buca e palcoscenico non è precisissima. Nel complesso una direzione buona
ma molto al di sotto rispetto ad altre bellissime interpretazioni (soprattutto
vivaldiane) del maestro livornese.
La compagnia di canto a
disposizione è, sulla carta, interessante anche se (questo è il mio parere) non
ha espresso a pieno le potenzialità che poteva mettere in campo.
Antonino Siragusa interpreta
Almaviva e lo fa nella sua solita maniera: timbro cristallino, facilità agli
acuti, buona presenza anche scenica. Però non soddisfa in tutto… alla fine ti
resta un po’ di amaro in bocca perché non lo si ascolta brillante come al
solito e, a questa sensazione, non giova l’aver scelto di non inserire la
cabaletta finale “Cessa di più resistere”.
Josè Maria Lo Monaco veste i
panni di Rosina e complessivamente risulta l’interpretazione, sia vocalmente
che scenicamente, più convincente. La sua voce brunita dona quel
particolarissimo timbro a Rosina che, a mio parere, è l’essenza del personaggio
(tantissimi soprani cantano questo ruolo molto bene ma il registro centrale
puro del mezzosoprano è la cartina di tornasole di questo personaggio), anche
se qualche acuto non è precisissimo. Buona la sua aria d’entrata ma nel corso
della recita la sua prestazione aumenta di precisione, intensità e pregnanza.
Il Figaro interpretato da Simone
Del Savio è sicuramente interessante, cantato sicuramente bene, ma non scalda
particolarmente i cuori. Si muove benissimo in scena ma, al termine della
recita, ci offre una buona prestazione che però non va al di là della routine.
Omar Montanari, nei panni di Don
Bartolo, offre una buona prestazione ma anche qui (come Del Savio) non si
rimane incantati dall’interpretazione. A mio avviso alcune scelte di tempi da
parte di Sardelli lo hanno penalizzato forse più di altri interpreti (la sua
aria “A un dottor della mia sorte” ne risente particolarmente), pur rimanendo
comunque all’interno di una prestazione più che sufficiente.
Appena sufficiente il Don Basilio
di Andrea Patucelli mentre interessante risulta la Berta di Giovanna Donadini.
Purtroppo questo risulta essere
l’ultimo spettacolo messo in scena alla Fenice prima della chiusura imposta dal
nuovo DPCM del 25 ottobre. Speriamo che gli spettacoli dal vivo (in presenza)
riprendano il più presto possibile per non “distruggere” in maniera definitiva
un comparto (quello della cultura) tra i più penalizzati da questa
profondissima crisi dovuta alla pandemia.
Per chi volesse vedere lo
spettacolo, questo è il link:
Commenti
Posta un commento