ALMANACCO OPERISTICO - 16 luglio 2020 - DIE ENTFUHRUNG AUS DEM SERAIL di W. A. Mozart
DIE ENTFUHRUNG AUS DEM SERAIL
(Il ratto dal serraglio)
Singspiel in tre atti KV 384 di Johann Gottlieb Stephanie, da Belmonte
und Konstanze oder Die Entführung aus dem Serail di Christoph Friedrich
Bretzner
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Prima rappresentazione: Vienna, 16 luglio 1782
L'opera venne scritta nel biennio 1781-82, fondamentale nelle vicende
biografiche e nell'evoluzione stilistica del compositore. Se il 1781 era stato
l'anno del definitivo trasferimento a Vienna, la composizione dell'Entführung
interviene a stabilire un orientamento preciso nell'interesse di Mozart per
il teatro, che il futuro si incaricherà di confermare con le opere della piena
maturità.
LA TRAMA
Atto primo. Il nobile spagnolo Belmonte ha scoperto, dopo molte
ricerche, che l’amata Konstanze è prigioniera nell’harem del pascià Selim. Il
giovane, che ne aveva perso le tracce da quando la ragazza era stata rapita
insieme alla cameriera Blonde e al servitore Pedrillo, attende con impazienza
il momento di rivedere la fidanzata (“Hier soll ich dich denn sehen”).
Mentre s’interroga sul modo in cui penetrare nel palazzo, incontra il guardiano
turco Osmin, intento a cogliere fichi da una pianta. Belmonte cerca invano di
interrogarlo ma, per tutta risposta, viene scacciato in malo modo (“Wer ein
Liebchen hat gefunden”). Partito Belmonte, sopraggiunge Pedrillo, cui Osmin
trova il tempo di manifestare tutto l’odio che nutre per lui (“Solche
hergelauf’ne Laffen”). La partenza del guardiano permette al servitore, ora
impiegato in qualità di giardiniere presso il pascià, di incontrare Belmonte,
suo antico padrone. Pedrillo lo aggiorna sull’accaduto: la notizia più preoccupante
è che Konstanze è diventata «l’amante favorita» del pascià; ma per fortuna
quest’ultimo è un uomo estremamente gentile, non uso a costringere le donne ad
amarlo. Per mettere in atto il piano di fuga che Belmonte ha in mente (ha già
predisposto una nave), Pedrillo consiglia al suo padrone di presentarsi al
pascià in veste di architetto; impaziente, Belmonte anela a rivedere l’amata
(recitativo “Konstanze, dich wiederzusehen – dich” e aria “O wie
ängstlich, o wie feurig”). In quel mentre giungono su una barca il pascià e
Konstanze, accompagnati dal loro seguito (marcia e coro di giannizzeri “Singt
dem großen Bassa Lieder”); mentre Belmonte si nasconde, Konstanze rievoca
di fronte al pascià la figura dell’amato, lamentando la sua nuova condizione (“Ach,
ich liebte, war so glücklich”). Il pascià insiste nell’esigere dalla
ragazza una decisione in suo favore, ma ella gli chiede una dilazione di un
giorno, per riflettere sulla terribile questione, e si congeda. Allora Pedrillo
presenta Belmonte al pascià, che accetta di metterne alla prova l’abilità di
architetto; mentre i due amici stanno per introdursi nel palazzo, Osmin cerca
invano di opporsi alla sgradita presenza di questi intrusi (terzetto “Marsch,
marsch, marsch! trollt euch fort”).
Atto secondo. Nel giardino del palazzo, la cameriera Blonde
lamenta il rozzo corteggiamento dei turchi, ai quali si sente in grado di
dettare alcune norme di galateo amoroso (“Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln”).
Davanti alle proteste di Osmin, Blonde si dichiara inglese e perciò «nata per
la libertà»; il turco, geloso, le consiglia di evitare Pedrillo, ma la ragazza
lo affronta con minacciosa determinazione, provocando la rapida fuga dell’uomo
(duetto “Ich gehe, doch rate ich dir”). Sopraggiunge Konstanze, oppressa
senza tregua dall’angoscia per la perdita dell’amato (recitativo “Welcher
Wechsel herrscht in meiner Seele” e aria “Traurigkeit ward mir zum Lose”);
mentre Blonde cerca invano di consolarla, il pascià torna alla carica con le
sue pressanti profferte amorose. All’ennesimo diniego della donna, il tiranno
minaccia i supplizi più atroci. La risposta di Konstanze è sprezzante:
sopporterà senza batter ciglio ogni tortura; se il pascià non vorrà desistere
dai suoi intenti persecutori, allora sarà la morte una gradita liberazione (“Martern
aller Arten”). Mentre il pascià medita sullo straordinario coraggio della
donna, Blonde incontra Pedrillo, che la aggiorna sull’arrivo di Belmonte e le
annuncia che la fuga è stata predisposta per quella notte stessa, quando Osmin
verrà addormentato da Blonde con un sonnifero. La ragazza gioisce per le
inaspettate buone notizie e si avvia a comunicarle all’infelice Konstanze (“Welche
Wonne, welche Lust”); Pedrillo, intanto, dapprima si prepara al rischioso
evento (“Frisch zum Kampfe! Frisch zum Streite!”), quindi riesce con
molta arte a convincere Osmin a bere il vino drogato, infrangendo il divieto
islamico al riguardo (duetto “Vivat Bacchus! Bacchus lebe!”). Mentre
Osmin, barcollante e assonnato, esce di scena, giunge Belmonte per mettere in
atto il piano di fuga: finalmente i due amanti, commossi, si possono
ricongiungere (“Wenn der Freude Tränen fließen”); fugati i dubbi dei due
uomini sulla fedeltà delle loro amate, entrambe le coppie si preparano alla
fuga (quartetto “Ach Belmonte, ach mein Leben”).
Atto terzo. Pedrillo sta ultimando, nella piazza antistante il
palazzo del pascià, i preparativi per la fuga; per simulare la più completa
normalità, invita Belmonte a cantare, come Pedrillo stesso è solito fare tutte
le sere: nella sua canzone Belmonte invoca il potere invincibile dell’amore (“Ich
baue ganz auf deine Stärke”). Con una serenata ‘autobiografica’,
accompagnandosi al mandolino, Pedrillo dà il segnale convenuto alle ragazze,
che si trovano nelle loro stanze (“In Mohrenland gefangen war”). Quando
Konstanze si affaccia, i due uomini appoggiano una scala al muro, e Belmonte
può così introdursi nel suo appartamento attraverso la finestra; mentre la
coppia, uscita dal palazzo, si dirige verso la nave, Pedrillo entra a sua volta
nella camera di Blonde. In quel mentre, però, esce Osmin, che si accorge della
scala: Pedrillo e Blonde vengono così catturati da una guardia; anche l’altra
coppia è stata intanto catturata e Osmin, fuori di sé dalla gioia per
l’imminente fine dei seccatori, ordina che siano condotti tutti davanti al
pascià (“O, wie will ich triumphieren”). Nel dichiarare la propria
identità, Belmonte rivela di essere figlio del comandante di Orano, il «peggior
nemico» del pascià, colui che ne ha annientato ogni gioia; di fronte a questa
terribile sorpresa, Konstanze e Belmonte si preparano alla morte atroce che
certo sta per toccare loro, piangendo ciascuno per l’amato, ma felici che un
unico destino li accomuni (recitativo “Welch ein Geschick, o Quaal der Seele”
e duetto “Meinetwegen sollst du sterben”). Mentre anche Pedrillo e
Blonde fanno i conti con la loro sorte, il pascià sorprende tutti con una
sentenza inattesa: decide di liberare i prigionieri, perché testimonino al
padre di Belmonte che «è un piacere ben superiore ricambiare con opere di bene
un’ingiustizia subita, piuttosto che rendere male per male». Nonostante le
proteste di Osmin, anche Blonde e Pedrillo vengono rilasciati, nel tripudio
generale – Osmin a parte (vaudeville “Nie werd’ich deine Huld verkennen”
e coro di giannizzeri “Bassa Selim lebe lange”).
Il lavoro sull’opera iniziò già nell’estate del 1781, quando Mozart prese
a mettere in musica la riduzione del testo di Bretzner confezionata dall’abile
Stephanie junior (1741-1800), commediografo celebre a Vienna per i suoi
adattamenti teatrali. La prima rappresentazione si concretizzò, a quasi un anno
di distanza, nel teatro deputato al progetto del ‘National-Singspiel’, un nuovo
genere drammatico-musicale in lingua tedesca promosso dall’imperatore Giuseppe
II. Il Ratto dal serraglio si inserisce in modo del tutto originale nei
tentativi di far nascere una specifica drammaturgia nazionale, come fu notato già
all’epoca da Goethe. In verità Mozart persegue la definizione di un proprio
linguaggio musicale adatto al teatro in musica: un tono caratteristico e
individuale, che permei di sé l’intera partitura attraverso un progetto
drammatico personale, una cifra ‘classica’ che, attraverso l’influsso
dell’opéra-comique francese e soprattutto dell’opera buffa italiana, trova
nell’Entführung la sua formulazione compiuta. Nel tempo comodo e
inconsueto di un intero anno, Mozart poté perfezionare senza alcuna fretta la
partitura, nonché intervenire sistematicamente sul piano drammaturgico,
trovando in Stephanie un collaboratore ideale, al di là dei dubbi altrui
sull’individuo: «Tutti arricciano il naso su Stephanie. Può darsi che anche con
me si comporti da amico solo quando gli sono di fronte. Però mi sta
rimaneggiando il libretto, e proprio come voglio io, a pennello, e, per Dio,
altro da lui non pretendo». Non a caso buona parte delle rare dichiarazioni di
poetica del compositore riguardo al teatro d’opera nascono proprio nei mesi del
lavoro al Ratto. Si veda ad esempio la celebre lettera in cui si scrive,
ribaltando la teoria classicistica metastasiana, che la poesia «deve essere
assolutamente figlia devota della musica», consegnando ai posteri l’impegnativa
ricetta dell’opera di successo: «L’ideale è quando s’incontrano un buon
compositore, che si intende di teatro ed è in grado di dare un suo contributo,
e un poeta intelligente, una vera araba fenice». Oppure l’altrettanto
importante passo in cui, a proposito dell’aria di Osmin (“Solche hergelauf’ne
Laffen”), Mozart afferma che «le passioni, violente o no, non devono essere mai
espresse al punto da suscitare disgusto e la musica, anche nella situazione più
terribile, non deve mai offendere l’orecchio, ma piuttosto dilettarlo e restare
pur sempre musica». L’intervento di Mozart sul piano drammatico è talmente
radicale da giungere alla modifica di taluni aspetti dell’intreccio. Il finale,
in particolare, attrasse l’attenzione del compositore, che ottenne la rimozione
del patetico originale di Bretzner, in cui Belmonte veniva scoperto figlio del
pascià; in sua vece venne introdotta la nuova figura del comandante spagnolo di
Orano, acerrimo nemico di Selim, con un doppio vantaggio. Da un lato, infatti,
la tensione drammatica risulta accresciuta: Belmonte e Konstanze, che si
credono ormai votati alla morte, confessano la loro incrollabile fede
nell’amore col duetto “Meinetwegen sollst du sterben”; dall’altro Selim si
rivela, in modo totalmente originale rispetto alla pièce di Bretzner, un
moderno sovrano illuminato, capace della virtù somma del perdono. Un sovrano
simile poteva trovare un degno corrispettivo, in sala, proprio in Giuseppe II,
mentre sulle scene aveva un modello autorevole nel Tito metastasiano: la
clemenza del pascià sembra anticipare La clemenza di Tito, che terminerà
infatti con un analogo perdono generale; e in fondo anche Le nozze di Figaro si
affidano all’esito di un generoso perdono conclusivo, concesso da un
personaggio, la Contessa, nobile d’animo quanto di sangue. Le caratteristiche –
e la riuscita – della partitura dipendono anche dalle voci a disposizione per
la prima rappresentazione: erano in particolare Caterina Cavalieri (Konstanze),
splendido soprano di coloratura, dalle straordinarie doti virtuosistiche, in
seguito interprete di grandi ruoli mozartiani quali Donna Anna e Donna Elvira
nel Don Giovanni e la Contessa nelle Nozze di Figaro; il tenore Johann Valentin
Adamberger (Belmonte); il basso Johann Ignaz Ludwig Fischer (Osmin), beniamino
locale e allievo del celeberrimo Raaf. Se le qualità della Cavalieri vengono
rispecchiate dall’impervia parte di Konstanze, la figura di Osmin fu ritagliata
su misura per la «eccellente voce di basso» di Fischer (come si espresse il
compositore in una lettera al padre). La partitura comprende un numero molto
alto di arie solistiche rispetto ai concertati, com’era nella tradizione del
Singspiel, che affidava ad attori-cantanti esibizioni individuali di difficoltà
non eccessiva (normalmente nel genere del Lied, che Osmin esemplifica nella
placida serenità di “Wer ein Liebchen hat gefunden”); nelle mani di Mozart
questa propensione per gli interventi solistici porta alla nascita di una
mirabolante galleria di personaggi, caratterizzati in modo pregnante attraverso
arie di grande vivacità drammatica. Se Osmin merita un discorso a parte, le due
coppie di occidentali, pur mosse da un’identico ‘motore’ erotico, conservano al
loro interno le rispettive e ben precise individualità. Belmonte, erede del
ruolo di ‘amoroso’ nella coeva opera buffa, esordisce con una mobilissima aria
tripartita (“Hier soll ich dich denn sehen”) tipica della tradizione italiana,
chiamata ‘arietta’ da Mozart, in cui la condizione psicologica del personaggio,
espressa in termini di originaria freschezza, è tutta risolta in gesti
musicali: lo scompenso fisico dell’innamorato, turbato dall’imminente incontro
con Konstanze, viene descritto con una ricchezza di linguaggio sinfonico che
preannuncia, già dal primo numero, la peculiarità di tutta l’opera. Dopo aver
forzato, con la sua violenta irruzione, la struttura del Lied di Osmin,
trasformandolo in duetto, Belmonte si aggiudica un altro intervento importante:
a un aurorale recitativo, che sembra preannunciare l’assorta contemplazione di
Tamino nel Flauto magico, segue l’aria “O wie ängstlich, o wie feurig”, attenta
nella cura del dettaglio come nella struttura complessiva; e inoltre,
l’instabile susseguirsi dei diversi stati d’animo trova un puntuale
corrispettivo musicale, ora nei violini all’ottava che mimano il «cuore
palpitante d’amore» (da una lettera del compositore), ora nel crescendo
chiamato a raffigurare il sollevarsi del «petto rigonfio». Completata così la
propria presentazione come ‘amoroso’, Belmonte usufruisce della sua ultima
grande esibizione solistica nel terzo atto (“Ich baue ganz auf deine Stärhe”):
un’aria concertante dal tono più oggettivo, scritta, sin dalla notevole
introduzione orchestrale, in uno stile misurato, di seducente affabilità.
Rimarchevole ed estremo intervento del personaggio è il recitativo e duetto
“Meinetwegen sollst du sterben”. Prima che la vicenda venga sciolta
dall’imprevisto lieto fine, i due giovani si trovano a scambiarsi la parola
definitiva sul loro amore: la morte per amore rivela tutto lo spessore
metafisico del sentimento e conduce direttamente alla beatitudine («Seligkeit»:
in corrispondenza di questa parola, è messo in risalto il timbro ‘caldo’ dei
fiati); l’ampio respiro sinfonico del duetto si anima in particolare
nell’entusiastica chiusa a due, che segna la perfetta intesa raggiunta dagli
innamorati in punto di morte. La grandezza tragica, eroica e da ‘opera seria’
del personaggio di Konstanze è affidata soprattutto alle due arie – arditamente
consecutive (un unicum nel teatro mozartiano) – del secondo atto. Se la prima
(“Traurigheit ward mir zum Lose”) restituisce l’immagine topica della fanciulla
perseguitata attraverso la lugubre tinta di sol minore, la seconda, “Martern
aller Arten”, è nientemeno che eccezionale. Organizzata, in modo già
stravagante, su un testo di tre strofe, si presenta dal suo esordio l’anomala
configurazione di un movimento di concerto; e in verità ciò che l’orchestra – a
pieno organico, con trombe e timpani – si trova a fronteggiare non è il solo
soprano, ma un gruppo di cinque strumenti solisti: flauto, oboe, violino e
violoncello, ai quali Konstanze si aggiunge, come quinta parte, a un livello di
virtuosismo eccelso, dando così origine a un imprevedibile tempo da ‘sinfonia
concertante’ per voce e strumenti. Notevoli anche gli interventi dell’altra
coppia di innamorati, determinante nel sofisticato quartetto posto a
conclusione del secondo atto. A Blonde, l’inglesina indipendente, è riservata
un’aria bruciata tutta d’un fiato, aderente alla natura travolgente del
‘piacere’ che la ragazza sta esaltando. Al suo innamorato Pedrillo compete
invece la romanza del terzo atto, in apparenza semplice e immediata, ma in
verità alquanto elaborata; Pedrillo aveva già avuto modo di esibirsi in quel
duetto del secondo atto con Osmin che è un vero e proprio ‘delirio buffo’,
animato da un’orchestrazione imperniata sul timbro argentino dei fiati acuti.
Una strumentazione altrettanto brillante e un’analoga vitalità ritmica
competono anche all’ultima aria di Osmin, in cui la sua parte di basso buffo
ottiene l’ennesima esaltazione (ancora nel vaudeville finale il personaggio
usufruirà di un’estrema apparizione). L’orchestrazione gioca un ruolo
particolare in tutta la partitura, responsabile di quello stile ‘alla turca’
che conferisce all’opera un inconfondibile colore locale: fu proprio
utilizzando questa strumentazione, derivata dalle bande di giannizzeri tanto
alla moda nel secondo Settecento, che Mozart scrisse l’ouverture, il coro del
primo atto e quello finale (i primi pezzi a venire composti); al di là
dell’impiego di alcuni strumenti particolari (grancassa, piatti, triangolo,
tamburino), si trattava di applicare una serie di procedimenti che imitassero
un linguaggio esotico (Mozart stesso li aveva impiegati nei movimenti finali
della Sonata per pianoforte KV 331 e del Concerto per violino KV 219, e anche
Gluck se n’era servito nella Rencontre imprévue e nell’Iphigénie en Tauride).
Popolare a Vienna per le esecuzioni al parco del Prater, la musica turca
ottempera qui a una serie di funzioni: introduce un elemento folcloristico e
decorativo, accentua la caratterizzazione comica di Osmin, simboleggia il
carattere dispotico ed estraneo alle vicende amorose dei personaggi musulmani.
La sua frenesia dirompente cattura l’ascoltatore sin dalla mirabile ouverture,
in do maggiore, che prefigura in rapida sintesi il vortice dell’azione;
un’azione talmente incalzante che, a detta di Mozart, «sarebbe impossibile
addormentarcisi sopra anche avendo trascorso tutta una notte in bianco».
Fonte: Dizionario dell’Opera Lirica Baldini&Castoldi
LA MIA PROPOSTA
La discografia generale dell’Entfuhrung è abbastanza ampia e, per
quanto riguarda le registrazioni audio, ha avuto un grande sviluppo negli anni ’50
e ’60 del secolo scorso. Possiamo trovare in circolazione più o meno una
settantina di registrazioni ufficiali di quest’opera che, comunque, pur essendo
tra le più interessanti del compositore salisburghese è senza dubbio meno
inflazionata di altre. Tante anche le registrazioni video che vanno quasi di
pari passo a quelle audio.
Personalmente ci tengo a citarne alcune a me care:
- Edizione audio diretta da Ferenc Fricsay con i complessi della Radio di
Berlino nel 1954;
- Edizione audio diretta da Josef Krips con i Wiener Philharmoniker nel
1966;
- Edizione video diretta da Karl Bohm all’Opera di Stato Bavarese nel
1980;
- Edizione audio diretta da Georg Solti con i Wiener Philharmoniker nel
1985;
- Edizione audio diretta da William Christie con Les Arts Florissants nel
1997;
- Edizione video diretta da Zubin Mehta al Maggio Musicale Fiorentino nel
2002;
- Edizione video diretta da Ivor Bolton al Liceu di Barcellona nel 2010.
L’edizione che però mi sento di consigliare, a parte una compagine vocale
non totalmente centrata, è l’edizione audio diretta da Karl Bohm nel 1973 con i
complessi della Staatskapelle di Dresda e il coro della Radio di Lipsia. La
direzione di Bohm a mio avviso è la migliore tra quelle da me ascoltate, ancora
più curata di quella video del 1980, ed ha a disposizione un’orchestra
eccezionale dal colore morbido ma efficace. I cantanti sono quasi tutti ottimi:
Arleen Auger forse è l’unico tassello che non mi convince particolarmente anche
se il colore della sua linea di canto è di tutto rispetto; positivissima la
prova di Peter Schreirer come Belmonte che riesce a dare anche un tocco
liederistico/cameristico alla sua voce; Kurt Moll è un vero e proprio monumento
come Osmin (credo che pochi lo abbiano superato in questo ruolo). Buoni anche
gli altri interpreti.
Ecco il link per ascoltare l'opera:
https://www.youtube.com/watch?v=1n3KVV9cJGU
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