ALMANACCO OPERISTICO - 26 luglio 2020 - PARSIFAL di R. Wagner
PARSIFAL
Dramma sacro in tre atti proprio, da Parzival di
Wolfram von Eschenbach
Musica di Richard Wagner
Prima rappresentazione: Bayreuth, Festspielhaus, 26 luglio
1882
L’ultimo dramma musicale di Richard Wagner assume il valore
di un’opera davvero summatica, per la ricchezza di simboli e l’intreccio di
elementi filosofici, letterari e religiosi di cui si compone, e grazie ai quali
si è posto come formidabile monumento per la cultura del decadentismo europeo.
Infatti con Parsifal si consuma definitivamente la spinta eroica e
volontaristica del romanticismo germanico e si aprono per contro significative
contaminazioni di elementi sensuali e perfino morbosi con l’attrazione fatale
per il misticismo e l’ascesi, in una tensione spiritualistica che allude a un
complesso di situazioni e figure che sembrano persino anticipare più d’un tema
dell’imminente scuola psicoanalitica. Alla base dell’imponente lavoro di Wagner
sulle fonti letterarie, rimane il ruolo centrale del mito nella sua concezione
estrema del Gesamtkunstwerk: l’assunzione di una simbologia mitica è lo
strumento irrinunciabile per l’analisi psicologica di cui si fa portatore il
modello di teatro wagneriano. Stando a quanto egli stesso racconta nel Mein
Leben, il primo accostamento del musicista alle leggende del Graal (la
coppa miracolosa con cui Cristo avrebbe celebrato l’ultima cena e che poi
avrebbe raccolto e conservato il suo sangue dalla croce) avvenne nell’estate
del 1845, quando lesse il poema di Wolfram von Eschenbach in una versione in
tedesco moderno, nonché l’epopea di Lohengrin curata dal Görres (ma già due
anni prima, nel lavoro sinfonico-corale Das Liebesmahl der Apostel,
L’agàpe degli apostoli, s’incontrano notevoli anticipazioni del Parsifal).
Il primo frutto di quell’interessamento ai poemi cavallereschi medioevali si
realizzò proprio nella composizione di Lohengrin, nato cinque anni dopo,
nel 1850. Come vedremo, innumerevoli materiali musicali e poetici di questa,
che è l’ultima ‘opera lirica’ nel senso tradizionale del termine scritta da
Wagner, confluiranno e si svilupperanno nell’estremo Parsifal. Infatti,
così com’era accaduto per il ciclo dei Nibelunghi, iniziato dalla cellula
delSiegfrieds Tode quindi ripercorso a ritroso fino a quella sorta di ‘prologo
in cielo’ che è il Rheingold, anche Parsifal è in un certo senso
l’antefatto del Lohengrin: il cavaliere del cigno altri non è che il
figlio dell’eroe del Graal, del «reine Tor», del «puro folle». Quando, alla
fine dell’opera, Lohengrin palesa a tutti il suo nome, la sua stirpe e la sua
provenienza, dà una descrizione del misterioso castello di Monsalvat, residenza
dei cavalieri del Graal, e descrive la potenza mistica della santa coppa,
indicando in Parsifal, suo padre, il custode regale di quel tesoro: «Dal Graal
fui io dunque presso di voi mandato: Parsifal mio padre ne porta la corona, e
suo cavaliere io sono – chiamato Lohengrin».
Parzival, il poema di circa 25.000 versi, fu scritto
da Wolfram von Eschenbach verso il 1210 in medio-alto tedesco; si basa a sua
volta sul Perceval di Chrétien de Troyes, del quale risulta tuttavia una
versione più spirituale e cristiana. Nel 1854, durante la stesura del poema di Tristan
und Isolde, il personaggio di Wolfram si riaffacciò nei progetti di Wagner,
che meditò persino di far intervenire il cavaliere del Graal come salvatore
nell’ultimo atto del dramma, a conforto di Tristano mortalmente ferito; è
d’altronde evidente il rapporto di somiglianza fra la ferita di quest’ultimo e
la piaga di Amfortas. L’idea di scrivere un poema drammatico sull’eroe di
Wolfram sarebbe maturata infine nel 1857, ed esattamente il giorno del venerdì
santo, sempre se si presta fede all’autobiografia (che è in molti casi
agiografia) del musicista. L’abbozzo fu completato nel 1865, e la stesura
definitiva dei versi dovette però aspettare la realizzazione dell’Anello del
nibelungo, rappresentato nel 1876; l’anno successivo, in aprile, la poesia
di Parsifal era terminata, e in dicembre veniva pubblicata dall’editore
Schott. Quanto alla musica, Wagner iniziò la composizione nell’agosto del 1877,
e portò a termine la partitura nel gennaio 1882. La prima rappresentazione al
Festival di Bayreuth fu diretta da Hermann Levi, e così le quindici repliche
successive: è noto che, nel corso dell’ultima recita, Wagner salì sul podio del
golfo mistico e, strappata la bacchetta a Levi, diresse personalmente il terzo
atto del suo dramma. Per molti anni Bayreuth mantenne l’esclusiva assoluta del Parsifal,
riproponendo sempre l’allestimento originale del 1882. Quando infine la
partitura, dal 1914, poté circolare anche negli altri teatri di tutto il mondo,
iniziarono anche le prime riletture registiche, e si moltiplicarono le
interpretazioni musicali a opera dei maggiori direttori d’orchestra.
LA TRAMA
Atto primo. Il lungo tema in lente sincopi del
preludio, che apre la partitura (motivo ‘della cena’ o ‘dell’agàpe’), contiene
a sua volta tre elementi melodici, la chiave tematica dell’intero dramma: sono
i motivi dell’amore, della ferita e della lancia, legati l’uno all’altro senza
soluzione di continuità. Altri due motivi completano la presentazione tematica:
dapprima il solenne corale del Graal (che è poi l’Amen di Dresda di Lutero, già
utilizzato da Mendelssohn nella Sinfonia ‘La Riforma’) e successivamente il
motivo della fede, sul quale si sviluppa tutta la parte centrale
dell’introduzione sinfonica. Presentando al re Luigi II di Baviera il preludio
del Parsifal, Wagner stese una traccia contenutistica che succintamente
riportiamo: «Amore – Fede – Speranza? Primo tema: Amore. ‘Prendete il mio
corpo, prendete il mio sangue’. Secondo tema: Fede. Promessa di redenzione per
Fede. Salda e risoluta la Fede si manifesta, esaltata, incrollabile anche nella
sofferenza. (...) Ma ancora una volta, dall’impaurita solitudine, palpita il
lamento della pietà d’amore: il corpo si fa esangue, il sangue sgorga e
risplende con celeste benedizione nel Calice, riversando la grazia della
redenzione su tutto ciò che vive e soffre. Siamo preparati ad Amfortas, il
peccatore custode della santa reliquia, che torturato dal pentimento trema
dinanzi al divino castigo che la vista del Graal risplendente porta con sé:
potrà trovar redenzione l’angoscia che gli divora l’animo? Ancora una volta
udiamo la promessa; e -speriamo!». La grande pagina rappresenta insomma i
contrafforti della religione, Fede-Speranza-Carità (Amore), le tre virtù
teologali intorno alle quali si muove la vicenda simbolica e mistica di
Parsifal.
Nel dominio del Graal, in una foresta di fronte a un lago,
sul far del giorno Gurnemanz, anziano cavaliere del Graal, desta due scudieri e
li invita alla preghiera del mattino. Si attende il re Amfortas che, malato per
una ferita insanabile, deve essere portato al bagno ristoratore in una lettiga.
Irrompe selvaggia Kundry, misteriosa creatura che espia nella sua doppia natura
di peccatrice e penitente l’antica colpa di aver deriso il Cristo. Ella reca un
balsamo d’Arabia per lenire le sofferenze di Amfortas, re del Graal, che viene introdotto
da un corteo di cavalieri: Amfortas aspetta l’unico che lo potrà salvare, colui
che «è sapiente per compassione», il «puro folle» (“Durch Mitleid wissend der
reine Tor”); il re ringrazia Kundry per il dono e si fa condurre al lago. Gli
scudieri diffidano di Kundry, che credono una maga; Gurnemanz la difende,
perché ha sempre servito fedelmente i cavalieri. Il vecchio custode del Graal
le chiede dove si fosse allontanata, quel giorno in cui Amfortas tornò al
castello senza la sacra lancia dell’ordine e ferito in modo insanabile.
Interrogato dai giovani scudieri, Gurnemanz racconta le vicende del Graal
(“Titurel, der fromme Held”): Titurel, padre di Amfortas, ricevette in custodia
dagli angeli le sacre reliquie della Passione, la coppa della cena e la lancia
con cui Longino aveva trapassato il costato del Salvatore. Per conservare i
preziosi oggetti, il re costruì un santuario, il castello di Monsalvat. Una
schiera di puri si pose al servizio del Graal, ricevendo forza dalla sacra
coppa per «auguste opere di salvezza». Escluso dall’ordine dei cavalieri, il
mago Klingsor cercò di espiare i propri peccati estirpandone la radice ed
evirandosi. Dal folle gesto nacque per incantesimo demoniaco il suo giardino
delle delizie, luogo popolato da seducenti creature femminili, che hanno il
compito di piegare al peccato la purezza dei cavalieri e portare alla
perdizione l’ordine del Graal. Già molti cavalieri si sono macchiati di colpe
carnali nel giardino di Klingsor, e fra questi lo stesso erede di Titurel, Amfortas,
che proprio cedendo alle lusinghe delle seduttrici ha perduto la sacra lancia:
finita in mano a Klingsor, essa ha prodotto sul costato di Amfortas la ferita
che mai si rimargina. Da allora è segnata la decadenza del Graal, il cui potere
Klingsor s’appresta a distruggere. In preghiera di fronte alla coppa della
salvezza, Amfortas ha però ricevuto una profezia: la lancia sarà recuperata da
un puro folle, sapiente per la cognizione del dolore altrui. Si odono grida
provenienti dal lago: uno dei sacri cigni è stato mortalmente colpito da una
freccia, e il colpevole del gesto sacrilego è un ragazzo, Parsifal, del tutto
sprovveduto. Gurnemanz rimprovera lo sconosciuto giovane e cerca d’ispirargli
pietà per il povero animale. Interrogato, Parsifal risponde di non sapere
nulla, d’ignorare chi sia suo padre e persino il proprio nome; sa solo che sua
madre si chiama Herzeleide (‘Dolor di cuore’) e d’aver sempre abitato nella
selva. Kundry sa invece molte cose di quel misterioso ragazzo: egli è figlio di
Gamuret, ed è cresciuto in una folle solitudine, che però l’ha fortificato.
Dice poi a Parsifal che sua madre è morta e, colto da un raptus di violenza, il
ragazzo afferra Kundry per la gola, ma viene immediatamente fermato da
Gurnemanz. Kundry fugge nella foresta, e il vecchio cavaliere decide di portare
con sé Parsifal al castello: se è puro, il Graal lo nutrirà nello spirito.
«Cos’è il Graal?», chiede allora Parsifal, e Gurnemanz gli risponde che lo
potrà scoprire da solo, confidando che questo ragazzo sperduto possa essere il
«puro folle» dell’oracolo. S’incamminano, e Gurnemanz avverte Parsifal che
«spazio qui diventa il tempo» (“zum Raum hier wird die Zeit”). Segue un
interludio sinfonico, durante il quale la scena si trasferisce nell’interno del
santuario, una grande sala con cupola da cui penetra la luce, inondata dal
suono di campane. Giunto col ragazzo nel luogo dell’agàpe fraterna, Gurnemanz
lo invita a osservare: il corteo dei cavalieri e i cori mistici dei fanciulli
introducono al rito dello scoprimento del Graal (coro dei cavalieri “Zum
letzten Liebesmahle”); Amfortas viene portato sulla lettiga, e la voce del
vecchio re Titurel, quasi proveniente dalla tomba, invita il figlio a procedere
al rito. Con straziante riluttanza, Amfortas cerca di sottrarsi al compito: la
ferita insanabile gli ricorda la sua condizione d’impuro, tragicamente
costretto a essere ministro del più sacro fra gli uffici (lamento di Amfortas:
“Wehvolles Erbe, dem ich verfallen”). Il coro di fanciulli e adolescenti
ricorda le parole dell’oracolo di salvezza, e il rito finalmente procede con lo
scoprimento del Graal, sul canto estatico delle parole dell’ultima cena (coro
“Nehmet hin meinen Leib”). Terminata l’agàpe, i cavalieri si ritirano e
Parsifal, colpito dalle sofferenze di Amfortas, si porta la mano al cuore,
restando immobile e come stralunato. Gurnemanz si adira col ragazzo, per la sua
apparente imperturbabilità di fronte al miracolo del Graal, e lo caccia dal
santuario: «Lascia i cigni in pace, e cercati, papero, la tua oca!». Ma una
voce dall’alto ricorda ancora una volta le parole della salvezza: «Per
compassione sapiente, il puro folle!».
Atto secondo. Nel suo castello incantato, il mago
Klingsor attende l’arrivo di Parsifal e ne prepara l’annientamento (“Die Zeit
ist da”); a questo fine evoca Kundry, primordiale creatura d’inferno, che già a
suo tempo sedusse e portò alla rovina Amfortas. La donna recalcitra all’idea di
mettersi ancora a servizio delle opere malvagie di Klingsor, ma poi cede e
s’appresta a una nuova opera di dannazione. La torre del mago scompare e al suo
posto si materializza il giardino delle delizie, ricco di fiori esotici. Entra
Parsifal, stupito, e subito è circondato dalle fanciulle-fiore, che iniziano a
sedurlo con mosse e parole lubriche. Nasce una gara fra le fanciulle per
accaparrarsi le grazie del ragazzo («Komm! komm! holder Knabe!»), interrotta
dall’apparizione improvvisa di Kundry, che per la prima volta chiama Parsifal
col suo nome. A quel suono, il ragazzo ricorda d’essersi sentito chiamare in quel
medesimo modo dalla madre. Le fanciulle lasciano il campo, e Kundry spiega
l’origine di quel nome (secondo una discutibile etimologia indiana, che Wagner
fa propria): parsi equivale a ‘puro’, fala ‘folle’; così lo chiamò suo padre
Gamuret. Rievoca poi l’infanzia di Parsifal, l’amore della madre Herzeleide e
la sua morte prematura, con strazio del ragazzo. Subdolamente, la donna gli
offre il suo amore al posto di quello della madre, e lo bacia sulla bocca; con
un sobbalzo, Parsifal si divincola da quella stretta sensuale e sente bruciare
sul proprio corpo la ferita di Amfortas, provocata da una seduzione simile. In
lui rivive il dolore del re, la scena del suo tormento di fronte alla sacra
coppa: la forza demoniaca del bacio di Kundry gli ha aperto finalmente gli
occhi e la mente, e attraverso la compassione egli è divenuto sapiente
(“Amfortas! Die Wunde! die Wunde!”). S’inginocchia e invoca il Redentore,
assumendo su di sé la colpa di Amfortas. Così rivive la caduta del re, la sua
seduzione, e trova la forza di respingere Kundry, la corruttrice, che cerca di
giustificarsi con lui narrandogli la propria maledizione, iniziata nel tempo
lontano in cui osò deridere Cristo mentre saliva al calvario. Ma la repulsione
di Parsifal nei suoi confronti è irremovibile: Kundry invoca l’aiuto di
Klingsor, che sopraggiunge per colpire Parsifal con la sacra lancia.
Miracolosamente, l’arma si ferma a mezz’aria sopra la testa del ragazzo,
divenuto uomo: Parsifal la brandisce e traccia nell’aria un segno di croce. A
quel gesto il giardino inaridisce, il castello di Klingsor crolla e Kundry
s’abbatte al suolo con un grido. Prima di abbandonare la scena, Parsifal si
volge a lei e le dice: «Tu sai dove potrai ritrovarmi».
Atto terzo. Nel dominio del Graal, presso una fonte
su un ameno prato fiorito, il vecchio Gurnemanz ode un sordo lamento e scopre
Kundry, irrigidita, seminascosta nella macchia: le uniche parole che è in grado
di pronunciare sono «servire... servire». Gurnemanz la conforta e poi si
meraviglia nel veder giungere, in completo assetto d’armi, un cavaliere, il cui
volto è celato dall’elmo. Salutato dal vecchio, Parsifal non risponde e pianta
in terra la lancia, inginocchiandosi in preghiera di fronte a essa; s’è tolto
elmo e scudo, e Gurnemanz finalmente lo riconosce, così come riconosce la sacra
lancia del Graal. Parsifal gli racconta del suo pellegrinaggio e del suo
dolore, e Gurnemanz lo aggiorna sull’irrimediabile decadenza dell’ordine dei
cavalieri. L’eroe si accusa di quelle sofferenze, e Kundry gli lava i piedi alla
fonte, asciugandoli coi propri capelli, come la Maddalena fece con Cristo.
Quindi Gurnemanz unge Parsifal re del Graal: il suo primo gesto è quello di
battezzare Kundry, mentre la natura sembra rispondere in tutto il suo splendore
ai miracoli di quel giorno, il venerdì santo (‘Incantesimo del venerdì santo’).
L’uomo, redento dal sangue di Cristo, trova nella natura uno specchio alla sua
rigenerazione. Gurnemanz conduce quindi Parsifal nel santuario: in quel giorno,
Amfortas celebrerà per l’ultima volta il rito, in occasione del funerale di
Titurel; egli si accusa della morte del padre, e anela disperatamente alla
morte, pregando i suoi cavalieri di trafiggerlo con le loro spade. È invece
Parsifal che, non visto, s’appressa a lui e lo tocca con la sacra lancia: la
ferita si rimargina, fra lo sbigottimento generale, e Parsifal, nella sua nuova
veste di re, ordina che si proceda allo scoprimento della coppa, finalmente
liberata da ogni impuro sortilegio. Di fronte al raggiante splendore del Graal,
e al giungere dall’alto d’una bianca colomba che s’arresta sul capo di
Parsifal, tutti ringraziano e proclamano «Erlösung dem Erlöser!» (‘Redenzione
al Redentore!’). Il simbolo della redenzione, la sacra coppa del sangue di
Cristo, è stato finalmente redento.
Nel Parsifal si compie la sintesi suprema del
concetto wagneriano di dramma musicale, e di tutte le figurazioni mitiche
apparse e sviluppate nei lavori precedenti. Come Tannhäuser, anche il
redentore del Graal è posto di fronte alla scelta fra amor sacro e amor
profano, ma a differenza di quello sceglie, evangelicamente, la parte migliore.
Come Tristano, Amfortas si fa interprete d’un cupio dissolvi simboleggiato
dalla ferita che non si rimargina, ovvero da un rapporto di negazione nei
confronti del mondo e delle sue lusinghe false. Il rifiuto del reale e del
materiale, che a Wagner perviene dalla lettura del Mondo come volontà e
rappresentazione di Schopenhauer, trova nei significati dell’ultimo dramma
la sua manifestazione artistica più lucida e chiara. Infatti, se l’Anello
del nibelungo si chiudeva con un olocausto purificatore del mondo attraverso
la forza dell’amore (il tema della redenzione d’amore è l’unico a sopravvivere
in orchestra alle battute conclusive della Götterdämmerung), il Parsifal
trasforma quella forza umana e pagana d’amore in evangelica charitas: l’amore
vero, l’unica salvezza del genere umano e l’unica autentica forza redentrice è
l’amore per il prossimo attraverso la compassione, cioè l’assunzione delle
colpe e delle sofferenze altrui su se stessi. La fuga dal mondo si compie
quindi nella luce della fede e dell’ascesi, secondo una scelta finale che tiene
però anche conto dell’interesse di Wagner per la spiritualità buddhista: un
progetto mai realizzato di dramma, dal titolo I vincitori, avrebbe
dovuto ispirarsi proprio a Siddharta, ed è innegabile che più d’un elemento di
quella filosofia sia infine confluito nella materia altamente simbolica di Parsifal.
La scelta religiosa di Wagner fu, com’è noto, avversata e satireggiata dal suo
ex sodale Friedrich Nietzsche, che vide nella «sacra rappresentazione» un
tradimento degli ideali wagneriani autentici, da lui identificati nel virile e
superomistico paganesimo nibelungico: «È tutto ciò ancora tedesco?», scrisse
Nietzsche, «perché ciò che ascoltate è Roma, la fede di Roma». La verità è che
il personaggio di Parsifal altro non è che il superamento e la perfetta
spiritualizzazione del suo predecessore Siegfried: il ‘puro folle’ è un ingenuo
come il nordico eroe, ma quell’inconsapevolezza un po’ stolida e animalesca
trova finalmente il suo superamento nella cognizione del dolore, e quindi in
una dimensione d’umanità infinitamente superiore. Peraltro, la ricchezza
musicale del Parsifal è di natura squisitamente germanica: come già era
accaduto in larga parte nei Meistersinger, la principale fonte
d’ispirazione per Wagner sembra esser stato l’immenso patrimonio della musica
luterana, e in particolare l’elaborazione del corale secondo l’eredità di Bach.
L’estremo capolavoro racchiude anzi in sé un intero secolo di riscoperta dei
grandi maestri barocchi tedeschi, quella linea di progressiva autocoscienza
della nazione musicale germanica che dagli oratorî di Haydn porta al Fidelio
e alla Nona Sinfonia di Beethoven, agli oratorî di Mendelssohn (ai
quali, soprattutto, è debitore il Parsifal), alle Faust-Szenen di
Schumann, al Christus di Liszt e al Deutsches Requiem di Brahms.
Tuttavia, l’alleggerimento del cromatismo (che in Tristan era pervenuto
a una vera esasperazione armonica) in favore di modalismi, di arcaismi e di una
maggior trasparenza di scrittura, è da porre in relazione anche con le
avvisaglie del movimento ceciliano in Germania, e in particolare con la
riscoperta di Palestrina, il cui Stabat Mater era stato uno dei
principali oggetti di studio per Wagner negli anni precedenti Parsifal.
Per contro il secondo atto, con le sue contorsioni drammatiche e la sua
opulenza sensuale, fa da geniale contrasto alla materia statica e contemplativa
dei due che l’incorniciano, e apre la strada alla sterminata diffusione del
gusto floreale dei decenni tra Ottocento e Novecento. Grazie soprattutto alla
sua ricchezza di simboli e alle meraviglie di un’orchestrazione
incomparabilmente opulenta e dotata di sfumature, Parsifal fu
un’ineludibile pietra miliare per tutti i musicisti vissuti alla fine del
secolo scorso e al principio di questo. Senza il simbolismo dell’ultimo dramma
wagneriano sarebbe stato impossibile giungere al teatro del mistero di Pelléas
et Mélisande, così come senza Kundry difficilmente si potrebbe immaginare
Salome. Come ebbe a scrivere Debussy, «il Parsifal è uno dei più bei
monumenti sonori che siano stati elevati alla gloria imperturbabile della
musica».
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
LA MIA PROPOSTA
La discografia dell’ultimo capolavoro wagneriano è
abbastanza imponente (se si guarda ai nomi) anche se non al pari di altri
titoli del massimo operista tedesco.
La mia personale discografia è fatta da queste
registrazioni:
- Registrazione audio diretta da Hans Knappertbusch a
Bayreuth nel 1951 (W. Windgassen, M. Modl, L. Weber, G. London);
- Registrazione audio diretta da Hans Knappertbusch a
Bayreuth nel 1962 (J. Thomas, I. Dalis, H. Hotter, G. London);
- Registrazione audio diretta da Horst Stein a Bayreuth nel
1976 (P. Hofmann, E. Randova, H. Sotin, B. Weikl);
- Registrazione audio diretta da Herbert von Karajan a
Berlino nel 1980 (P. Hofmann, D. Vejzovic, K. Moll, J. van Dam);
- Registrazione video diretta da James Levine a New York nel
1993 (S. Jerusalem, W. Meier, K. Moll, B. Weikl);
- Registrazione video diretta da Giuseppe Sinopoli a
Bayreuth nel 1998 (P. Elming, L. Watson, H. Sotin, F. Struckmann);
- Registrazione audio diretta da Christian Thielemann a
Vienna nel 2005 (P. Domingo, W. Meier, F.J. Selig, F. Struckmann);
- Registrazione video diretta da Daniele Gatti a New York
nel 2013 (J. Kaufmann, K. Dalayman, R. Pape, P. Mattei).
Ammetto che nella mia personale discoteca manca una edizione
importante ma che ancora non ho avuto modo di ascoltare… sto parlando dell’edizione
diretta da Rafael Kubelik del 1980 con i complessi della Radio Bavarese.
Di quelle che ho citato non ne ho una che mi soddisfi al
100%, in quanto ce ne sono alcune che hanno ottime caratteristiche ma non riescono
in toto ad essere considerate edizioni di riferimento. Sicuramente Karajan
dirige in maniera spettacolare così come quella che dà Sinopoli è una lettura
asciutta e scarna, in controtendenza con le letture “teutoniche”. Affascina
anche la concertazione di Levine, molto carica, come da sua indole mentre una
sorpresa si può considerare, a mio avviso, l’approccio di Stein.
Tra tutte quelle citate mi sento di preferire l’edizione del
1962 diretta da Knappertbusch che nel complesso trovo superiore a quella del
1951: la concertazione del direttore tedesco è intensa e pregnante ma nello
stesso tempo lirica e fluida mentre quella precedente risulta, a mio parere,
lenta in tanti punti e priva di mordente. Il cast del 1962 non canta meno bene
di quello del ’51 però forse un pelino al di sotto (per quanto riguarda Thomas
e Dalis) con l’eccezione di un Hans Sotter stratorferico come Gurnemanz e uno
splendido George London che migliora il suo Amfortas del ’51.
Per chi volesse anche guardare, oltre che ascoltare,
consiglio (pur con tutti i limiti della messa in scena) lo spettacolo del Met
diretto da Daniele Gatti, che ci lascia una direzione intensissima, con tempi
forse anche più dilatati di quelli di Knappertbusch, ma con un controllo del
suono e una pastosità di tinte che personalmente mi hanno sorpreso. Il cast è
poi molto affiatato e comprende tre ottimi cantanti (Kaufmann, Pape e Mattei)
mentre l’anello debole è, secondo il mio punto di vista, la Kundry della
Dalayman. Lo spettacolo di Francois Girard… si guarda e nulla più.
Ecco qui di seguito i links per ascoltare la mie due proposte.
PARSIFAL – Bayreuth 1962 (H. Knappertbusch):
PARSIFAL – New York 2013 (D. Gatti):
https://www.youtube.com/watch?v=sUmqMeoJIkA (atto III)
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