ALMANACCO OPERISTICO - 22 luglio 2020 - I MASNADIERI di G. Verdi


I MASNADIERI
Melodramma tragico in quattro atti di Andrea Maffei, da Die Räuber di Friedrich Schiller
Musica di Giuseppe Verdi

Prima rappresentazione: Londra, Her Majesty’s Theatre, 22 luglio 1847

Il progetto de I masnadieri risale al 1846: nell’autunno di quell’anno Verdi si mise al lavoro sul libretto di Maffei, con la previsione di far rappresentare l’opera a Firenze nella stagione successiva. La sopraggiunta indisponibilità del tenore Gaetano Fraschini per il ruolo di Carlo indusse Verdi a rimandare il completamento dell’opera a un’altra, prestigiosissima occasione: il suo debutto fuori d’Italia, e per la precisione a Londra, combinato tra il 1844 e il 1845 dall’editore Lucca e previsto in un primo momento proprio per il 1846; le cattive condizioni di salute di Verdi, all’indomani della ‘prima’ di Attila, determinarono il rinvio alla stagione successiva. Nonostante varie difficoltà, legate anche al reperimento di un cast gradito al compositore, I masnadieri ottennero un grandissimo successo al gala inaugurale, al quale presenziarono fra gli altri la regina Vittoria, Luigi Napoleone e il duca di Wellington.


LA TRAMA

Atto primo. In una taverna dell’estrema Sassonia (Germania, primi del Settecento), Carlo Moor (tenore) legge un libro di Plutarco, confronta lo squallore del suo tempo con la grandiosità dell’antica Grecia, sente brindare all’interno e ha parole di disprezzo per i Masnadieri, gli attuali suoi compagni di vita che aspetta di poter abbandonare ricevendo un segnale di perdono da parte del padre, e si sprofonda nel dolce ricordo del castello paterno e dell’amore della lontana Amalia. I compagni gli portano un messaggio, lui esulta credendo che si tratti del perdono ma poi legge e fugge precipitoso. È un messaggio del fratello, che interpreta il volere del padre e lo diffida dal tornare a casa. Carlo ricompare, agitato, e si trova nella condizione di accettare la proposta dei Masnadieri, di farsi ladroni di strada sotto il suo comando. In Franconia, nel castello dei reggenti conti Moor, Francesco (baritono) è pago d’aver staccato definitivamente il fratello dal padre, con una lettera falsa che sostituiva quella del perdono, e intende proseguire nella sua lotta contro la natura che l’ha fatto secondogenito eliminando il padre stesso, peraltro già vecchissimo. Pensa un po’, decide e chiama Arminio (tenore), camerlengo a lui fedele che invita a travestirsi e poi a presentarsi al vecchio con la notizia della morte di Carlo, e quindi inneggia al male che saprà compiere come nuovo signore del castello. Nella sua camera da letto, il vecchio Massimiliano (basso) dorme seduto e a lui s’avvicina Amalia (soprano), la rispettosa nipote che rimpiange il suo Carlo bandito dal padre e poi si lancia in un appassionato ricordo dell’amore. Il vecchio si sveglia, dopo aver mormorato il nome del primogenito, e i due si uniscono nella desolazione, quando Francesco si presenta e introduce Arminio travestito. Il mentitore riferisce d’aver visto morire Carlo, che sulla spada scriveva un messaggio di sangue: Amalia sposasse Francesco. Massimiliano inveisce contro di sé e poi contro Francesco, Amalia è disperata, Francesco plaude al suo demone vincente. Arminio si pente dell’inganno. Il vecchio stramazza al suolo, morto, e Francesco si grida signore della contrada.


Atto secondo. In un cimitero presso la chiesa del castello, Amalia è inginocchiata presso la tomba sulla quale sta scritto il nome di Massimiliano Moor, è riuscita a sottrarsi all’infame banchetto di cui si sentono i volgari canti interni, e prega alla volta del vecchio che almeno ha raggiunto l’amato Carlo. Ma Arminio viene a sconfessare le sue azioni, rivelando che Carlo è vivo e vive anche lo zio, al che Amalia brilla di gioia. Viene poi Francesco, che dichiara d’amarla e vuole farla sua, e di fronte alla ripulse la minaccia di tenerla come amante e serva. Per fortuna lei riesce a prendergli la spada e a sfuggire alla violenza. Nella selva boema, presso Praga, parte dei Masnadieri si lagna per l’inattività della giornata ma poi apprende dagli altri che per liberare l’amico Rolla, fatto prigioniero, il capitano ha deciso di incendiare Praga. E difatti da lontano si vedono fiamme che si alzano e donne e bambini che fuggono. Ecco Rolla (tenore), stravolto, e il coro che narra come il capitano sia riuscito a piombare sulla folla e salvare l’amico già pronto per l’impiccagione. Entra Carlo, che annuncia la partenza per l’indomani e poi rimane solo, a contemplare il tramonto e la bellezza della natura, a maledire la sua persona e a ricordare la povera Amalia. I Masnadieri accorrono gridando di essere accerchiati, e con Carlo si apprestano gagliardamente alla difesa.

Atto terzo. Tra il castello e la foresta, Amalia sta fuggendo da Francesco quando sente sopraggiungere i Masnadieri e si spaventa, ma il primo a giungere è Carlo. I due giovani si riconoscono, s’abbracciano, si raccontano gli eventi e gioiscono dell’amore ritrovato. All’interno della foresta, presso un’antica rocca, di notte, i Masnadieri sdraiati cantano alla loro vita violenta e allegra, menzionando gli orrori perpetrati, e si dicono disposti a morire spavaldamente dopo aver bevuto l’ultimo vino. Entra Carlo, che li esorta a dormire e resta a vegliare, avvilito per aver ritrovato Amalia invano, pronto a uccidersi con la pistola ma poi così orgoglioso da voler resistere alla vile tentazione. Lento e silenzioso, senza vedere Carlo, compare Arminio che s’accosta alla rocca, ne chiama il misero abitatore e a lui porge del cibo. Carlo lo arresta, lo riconosce e lasciatolo fuggire s’avvicina alla rocca da cui esce un vecchio scheletrito. Esterrefatto, vede il padre che non lo ravvisa e gli racconta l’accaduto: in seguito alla notizia della morte del figlio, circa tre mesi prima, era morto solo apparentemente, ma l’altro figlio disumano l’aveva fatto rovesciare nel fondo della rocca. E dall’orrore sviene. Carlo sveglia i Masnadieri, addita loro un vecchio sepolto vivo dal figlio e li coinvolge in una vendetta finalmente giusta e sacrosanta.


Atto quarto. Nel castello, Francesco entra allucinato e chiede ad Arminio di mandare a chiamare il pastore. A lui intanto, descrive un pauroso sogno appena fatto: durante il Giudizio Universale, si biasimavano terribilmente i traditori e i bugiardi, e fra i peccatori del genere il suo nome risonava per primo; due coppe comparivano poi nel cielo, e quella colma dei suoi misfatti si pareggiava con quella colma del sangue di Cristo fungente da ricatto, quando un vecchio gettava una ciocca di capelli nella prima che così sprofondava e lo condannava eternamente. Ecco Moser (basso), il pastore cui Francesco chiede quali siano le peggiori colpe umane. Sono il parricidio e il fratricidio, risponde l’altro, ma Arminio sopraggiunge e annuncia un assalto. Tutti pregano per lui, grida Francesco, che prima cerca di ottenere l’assoluzione dal pastore e poi fugge alla difesa. All’alba, nella foresta, Massimiliano compiange il disgraziato Francesco e anela al perdono di Carlo. Carlo, non ancora riconosciuto dal padre, chiede allora il prezzo del suo riscatto e riceve la benedizione e il bacio di Massimiliano, proprio come farebbe un figlio col padre. Alcuni Masnadieri cercano il capitano e altri sopraggiungono giubilanti con un nuovo bottino, Amalia. Massimiliano vede Amalia, che poi abbraccia Carlo e lo chiama suo sposo. Carlo prima la respinge, poi si assoggetta al suo destino e la scia che il padre e la fidanzata lo riconoscano come vituperoso capo di una masnada di ladroni. Ma se Amalia perdona e Carlo le si arrende commosso, Massimiliano abbomina la sua famiglia e i Masnadieri reclamano ferocemente il loro condottiero. Allora Amalia esorta Carlo ad andare, però dopo averla uccisa, e così Carlo la sacrifica e poi si avvia al patibolo, circa tre anni dopo l’inizio della sua storia.


Nonostante l’esordio felicissimo, legato anche a uno straordinario cast nel quale spiccava la Amalia di Jenny Lind, I masnadieri non sono da annoverare fra le prove più riuscite della prima parte della carriera di Verdi, tanto da rimanere a tutt’oggi una delle sue opere meno rappresentate e meno amate. Le pagine pregevoli non mancano, dal preludio iniziale al grande quartetto che chiude il primo atto; ma il libretto di Maffei, pur pregevolissimo dal punto di vista letterario, manca di quell’unità drammatica di cui Verdi aveva assoluto bisogno per dare il meglio di sé. Va poi tenuto conto che la stesura del lavoro avvenne in due tempi: l’autunno del 1846, in previsione dell’allestimento fiorentino, e quindi l’estate del ‘47 a Londra. Fra l’altro, la capitale inglese non offrì a Verdi l’ambiente migliore per il suo lavoro: «A Londra», leggiamo in una sua lettera ad Appiani del giugno 1847, «veramente non sto male di salute, ma ho sempre paura che mi salti addosso qualche malanno». Tutti questi elementi spiegano almeno in parte la discontinuità dell’undicesima opera di Verdi, una discontinuità tanto più evidente se paragonata con gli straordinari esiti ottenuti solo pochi mesi prima con Macbeth.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

LA MIA PROPOSTA

La discografia di questa che è senza dubbio una delle opere meno eseguite di Verdi è abbastanza esigua, se poi la si confronta con i grandi capolavori del compositore di Busseto. Negli ultimi anni fortunatamente l’opera è stata eseguita abbastanza nei teatri, soprattutto italiani, e ne rimangono, in questi casi, alcune testimonianze.
Ci tengo comunque a citare alcune edizioni:
- Edizione audio diretta da Gianandrea Gavazzeni a Roma (G. Raimondi, I. Ligabue, R. Bruson, B. Christoff);
- Edizione audio diretta da Richard Bonynge con i complessi della Welsh National Opera (F. Bonisolli, J. Sutherland, M. Manuguerra, S. Ramey);
- Edizione audio diretta da Daniele Rustioni a Venezia (A. Gorrotxategui, M. Agresta, A. Rucinski, G. Prestia)
- Edizione video diretta da Michele Mariotti a Milano (F. Sartori, L. Oropesa, M. Cavalletti, M. Pertusi).

Delle edizioni che ho qui riportato mi sento di ricordare quella diretta da Bonynge che ha in Bonisolli un baldanzoso Carlo mentre la Sutherland canta benissimo, ma senza approfondire la psicologia del personaggio. Dell’edizione scaligera è da ricordare la splendida direzione di Mariotti e la bravissima Lisette Oropesa che tratteggia una entusiasmante Amalia.


L’edizione che però, nel complesso, preferisco è quella diretta da Lamberto Gardelli alla guida della New Philharmonia Orchestra e degli Ambrosian Singers. Se la direzione del maestro veneziano è buona, ma non oltrepassa la saldissima routine, i cantanti che ha a disposizione sono quattro vere e proprie perle. Messe assieme formano un cast ideale. Montserrat Caballé è grandissima in tutta la parte (l’unico neo forse è la cabaletta una mezza spanna al di sotto della Sutherland) e Carlo Bergonzi è uno spasso da ascoltare (il suo timbro e le sue modulazioni sono fenomenali). Se ad essi aggiungiamo un Piero Cappuccilli pienamente in parte e un giovane Ruggero Raimondi in stato di grazia… il mix è servito.

Ecco qui il link per ascoltare la mia proposta:

Commenti

  1. D'accordo quella di Lamberto Gardelli ce l'ho anch'io e mi sembra la migliore

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