RIGOLETTO ROMANO... SALVATO DA UNA ROSA
La gioia degli appassionati di teatro musicale è sicuramente
tanta per la ripresa, in più parti d’Italia e del mondo, degli spettacoli dal
vivo con il pubblico. Non sempre però la ripresa dell’attività coincide con
spettacoli degni di questo nome.
È questa purtroppo la sensazione data dal Rigoletto
verdiano andato in scena ieri sera nella particolarissima cornice del Circo
Massimo e che ha di fatto segnato l’inizio della stagione estiva del Teatro
dell’Opera di Roma.
In conformità alle norme stringenti sul distanziamento sociale
dovute alla pandemia da Covid-19, di fronte ad una platea di 1400 persone trova
posto l’orchestra con i musicisti molto distanziati e un palcoscenico di 800
mq. sul quale Damiano Michieletto, assieme alla sua affiatata squadra di
collaboratori, ambienta la vicenda del buffone di corte.
Partirei innanzitutto dalla regia solo per il fatto che alla
fine, facendo un bilancio complessivo dello spettacolo, pur con qualche scivolone,
non è stata in assoluto la cosa peggiore della serata. La scena, praticamente
fissa, ci porta in una sorta di discarica di cose vecchie (molto stile anni “Miami
Vice” anni ’80) dove ci sono una serie di vecchie automobili, una giostra sulla
destra (quella che dalle mie parti si chiama volgarmente “calcinculo”) e una grandissimo
schermo sullo sfondo nel quale vengono riportate le immagini in diretta dei
protagonisti (a mezzo tre operatori che girano durante tutte l’opera per il
palco) oltre a parecchi filmati (praticamente dei flashback) che dovrebbero
aiutare il pubblico a capire meglio la vicenda. Il Duca di Mantova è una sorta
di “piccolo” gangster che ha tra i suoi scagnozzi Rigoletto. La banda di delinquenti
che fa capo al Duca smercia gioielli (sicuramente rubati) ed è formata da una
serie di bulli che fanno le veci del coro (che non è in scena ma ai lati dell’orchestra,
sempre per i protocolli di distanziamento). Gilda, nella concezione di
Michieletto, non è la solita ingenua ragazza, che non sa nulla del mondo
esterno dal quale il padre la vuole preservare. Qui è una ragazza molto molto
attiva durante l’intera vicenda narrata, che in sostanza inganna il padre
perché a lui si pone con un atteggiamento di figlia devota mentre, in sua
assenza, è pronta a vestirsi di paillettes per andare a scoprire il mondo. E
proprio in questa sua scoperta si imbatte nel Duca. Sparafucile è una sorta di
sicario che lavora per il tramite di sua sorella Maddalena, una vera e propria
prostituta, che tramite la sua bellezza attira i clienti nella sua roulotte,
drogandoli per poi arrivare ad uccidere.
Fondamentalmente non mi è dispiaciuta la visione di
Michieletto, che senza dubbio si è avvalso di alcuni buoni cantanti/attori
(Frontali, Feola e Belli su tutti) ma alcuni scivoloni a mio avviso si potevano
evitare perché non sono attinenti alla storia. Un esempio su tutti il pestaggio
di Rigoletto, da parte degli uomini del Duca, prima del rapimento di Gilda.
Questo non è scritto né da Piave né da Verdi in musica… e non ha nessun senso.
Bella invece è la scena finale dove Gilda (che continua ad essere una ragazza
risoluta che cerca da sé la sua strada) appare come una sorta di fantasma,
vestita da sposa, e va a morire tra le braccia di Rigoletto (e qui c’è l’unico
momento in cui due personaggi si avvicinano e arrivano a toccarsi, cosa che non
succede mai durante tutto lo spettacolo dove il metro, o anche più, è distanza
obbligatoria).
Se la regia mi ha lasciato in alcuni frangenti perplesso ma
non è stata così irriverente… le note a mio avviso più negative sono state
quelle del versante musicale.
Daniele Gatti dirige a suo modo il capolavoro verdiano… e in
questa occasione non centra assolutamente il bersaglio. I tempi che sceglie
sono bizzarri, per usare un eufemismo: l’inizio dell’opera è di una lentezza
impressionante che non ha aiutato il ritmo stesso dello spettacolo mentre con
il proseguire della vicenda il ritmo in alcuni momenti si accende
improvvisamente senza senso oppure ritorna a lentezze a cui non ricorreva
neanche Celibidache. Alcuni esempi su tutti di queste scelte: la prima aria del
duca “Questa o quella” è di una lentezza che mette in difficoltà il tenore
anche oltre i limiti oggettivi che già il cantante ha; il duetto
Rigoletto/Gilda e il successivo duetto Duca/Gilda sembrano una continua corsa
ad ostacoli quasi come se si avesse fretta di finire il tutto e poi… tutti a
casa. Anche l’aria di Gilda “Caro nome” è eseguita ad una velocità assurda ed è
portata a termine solo grazie alla straordinaria bravura di Rosa Feola. Ultimo
appunto è l’ingresso di Rigoletto nel secondo atto: il suo “La là… la là…”
dovrebbe essere una sorta di lenta nenia canzonatoria dove intravedere la
rabbia e l’apprensione del padre che però deve mantenere l’aspetto buffonesco.
Gatti lo fa ad una velocità di metronomo che quasi pareva d’essere al concerto
di capodanno viennese. No… così non va e non si rende il giusto onore alla
straordinarietà della partitura di Verdi.
Tutti i cantanti paiono aver accettato di buon grado gli
approcci di regista e direttore d’orchestra ma i risultati finali sono molto
altalenanti.
La vera regina dello spettacolo è Rosa Feola che porta in
scena una Gilda musicalmente stratosferica, anche in baffo alle scelte ritmiche
a cui l’impone Daniele Gatti. La sua linea di canto è sempre morbida, facile
agli acuti, mai sforzata. Uno spasso sentirla cantare.
Altra bella sorpresa, sia musicalmente che scenicamente, è
la straripante Maddalena di Martina Belli.
Molto sotto le aspettative Roberto Frontali che affronta il ruolo
di Rigoletto da gran lupo di palcoscenico ma vocalmente in condizioni a dir
poco precarie. I lunghi filati non ci sono più, alcune note di passaggio sono
quasi sempre calanti, gli acuti pieni ormai sono solo ricordi del passato. Col
mestiere ha portato a casa la serata… ma Rigoletto chiede ben altro ad un
cantante.
Non totalmente in parte neppure Riccardo Zanellato che ci porta
uno Sparafucile abbastanza scialbo.
Deludente il Duca di Iván Ayón Rivas sia scenicamente (un
gangster inguardabile) che vocalmente. La parte scritta da Verdi l’avrebbe
tutta nelle note ma il peso specifico di esse che lui non ha. Nello stesso
ruolo lo avevo ascoltato nella versione palermitana con la regia Turturro e l’impressione
è la stessa di allora. Un ruolo più grande di lui per complessità.
Buoni gli interpreti secondari e anche il coro, diretto come
sempre da Roberto Gabbiani.
Alla fine… gioia per la ripresa dell’attività musicale dal
vivo… sperando però in esiti migliori.
Qui di seguito il link per rivedere lo spettacolo:
Concordo perfettamente per quato riguara gli interpreti musicali. on sono invece d' accordo sulla regia; Si tratta di cambiamenti di ambientazione che snaturano le dinamiche interpersonali create da Verdi oltre che da Piave. Avrei francamente preferito una esecuzione in forma di concerto.
RispondiEliminaavete il coraggio di difendere la regia? la vera causa di tutto? i calcinculo sul palco, gangster o Little Tony (vedete voi). I cantanti? Gilda bravissima. Povero Verdi: eppure lui aveva messo una multa a chi avesse variato anche di pochissimo le sue opere :( immaginate se l'avesse vista il grande Maestro questa orribile (e dico poco) rappresentazione!!!
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