ALMANACCO OPERISTICO - 14 settembre 2020 - THE TURN OF THE SCREW di B. Britten
THE TURN OF THE SCREW
(Il giro di
vite)
Opera in un
prologo e due atti di Myfanwy Piper, dall’omonimo romanzo breve di Henry James
Musica di Benjamin
Britten
Prima
rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 14 settembre 1954
L’avventura dell’English Opera Group, un agile complesso finalizzato alla messa in scena di opere da camera e inaugurato da Britten nel 1946 con The Rape of Lucretia, fu il rifugio sicuro del musicista inglese dopo l’insuccesso di Gloriana, quella specie di grand-opéra commissionatogli in occasione dell’incoronazione di Elisabetta II, nel 1953. Tornando alla dimensione cameristica (già felicemente sperimentata con tre titoli), Britten pensava anche a un progetto d’opera destinata al cinema. Pare che l’idea di mettere in musica la ghost-story di James fosse di Peter Pears, il tenore che condivise con Britten tutta la vita e l’esperienza artistica. Adatto agli effetti speciali del cinema, Il giro di vite offriva l’occasione a Britten per un difficilissimo confronto col soprannaturale: tutto parrebbe rendere impossibile il trasferimento sulla scena e nel canto di un racconto fatto più di tensioni sotterranee e paure non dette che di eventi veri e propri, specialmente se si tiene conto che gran parte del fascino di quel racconto risiede appunto nel velo di mistero che circonda i personaggi (in particolare i due bambini e i loro rapporti con gli spettri), nonché nelle allusioni a sottili movimenti dell’inconscio che conducono all’irreparabile catastrofe.
In
realtà, The Turn of the Screw era fatto su misura per toccare le più
autentiche corde della poetica britteniana. Il musicista, per esempio, aveva
sempre nutrito un particolare interesse per il mondo dell’infanzia, elevato
dall’artista a simbolo dell’innocenza e opposto al mondo di violenze,
pregiudizi e falsità degli adulti. Anche i due fratelli del Giro di vite,
Flora e Miles, sono strumenti nelle mani dell’ultraterrena perfidia
dell’istitutrice Miss Jessel e del cameriere Quint, che anche dopo la morte
continuano a esercitare il loro dominio sui due fanciulli. In cosa consista la
loro relazione con i fantasmi non è dato sapere: mai, né James né Britten
aprono uno spiraglio che illumini la torbida natura di quella possessione.
Tuttavia, non è forse fuori luogo immaginare che, soprattutto fra il piccolo
Miles e Quint, corra il veleno di una sorta di precoce iniziazione sessuale,
fondata sulla forza terribile del condizionamento psicologico. L’elemento
omosessuale che in modo strisciante colora la vicenda è del resto una costante
del teatro di Britten e si fonde col tema dell’innocenza violata: il diverso e
il bambino sono le due facce d’uno stesso bersaglio del pregiudizio e della
corruzione del mondo, entrambi vittime di un’identica incapacità di capire. La
tensione omoerotica fra Miles e Quint assume fin dal principio le tinte
tragiche d’un gioco proibito nel quale il più debole dovrà per forza
soccombere. Quint incarna, ancora una volta, l’odiosa figura dell’adulto che sfrutta
l’innocenza dell’indifeso; Henry James, con pochi tratti («strane traversie e
pericoli, eccessi segreti, vizi non soltanto sospettati»), fa intendere la sua
natura. Nel libretto della scrittrice Myfanwy Piper (moglie del primo
scenografo del Turn of the Screw, John Piper, uno dei più stretti
collaboratori del musicista), la sua figura è volutamente più sfuggente
rispetto al romanzo; nell’opera di Britten vediamo il cameriere attraverso gli
occhi di Miles, e per lui Quint rappresenta la libertà, la fuga entro quei
misteri che non si possono rivelare; donde quella ferrea complicità che il
piccolo finirà per pagare con la vita. La trasposizione del romanzo in libretto
fu difficile: Britten e la Piper ridussero le ventiquattro sezioni della
narrazione di James a quindici scene, più una (la prima del secondo atto)
inventata ex novo. È il colloquio fra i fantasmi, che in James non
parlano mai, limitandosi ad apparire, mentre nell’opera cantano, secondo una
scelta forse discutibile, perché priva le presenze ultraterrene della loro muta
fissità, incombente proprio perché in sintonia solamente coi due bambini.
D’altronde, l’aver dato voce ai fantasmi rivela la diversa ottica dell’opera
rispetto al romanzo: se in James la vicenda è narrata in prima persona dall’Istitutrice
(che quindi non comunica con i due ectoplasmi), in Britten viceversa sembrano
essere proprio Miles e Flora i principali veicoli del dramma, e lo spettatore
finisce per guardare i fatti attraverso i loro occhi. In quella scena aggiunta,
Quint e Miss Jessel pronunciano inoltre una frase illuminante, che conferma la
centralità dei bambini nell’interpretazione scenica di Britten: «The ceremony
of innocence is drowned!». Si tratta d’un verso di W. B. Yeats, preso a
prestito in quanto perfettamente congeniale a quel rito dell’innocenza violata
che è il vero cuore dell’opera. Comunque, il mondo dei morti parla una lingua
musicale diversa da quella dei vivi: fin dalla sua prima apostrofe, nell’ultima
scena del primo atto, Quint si rivolge a Miles con un lungo vocalizzo,
penetrante e quasi ipnotico, d’un sapore che oscilla tra il melisma gregoriano
e la coloratura monteverdiana. È questo l’inizio della liturgia occulta che
lega le fantasie dell’infanzia alle anime dei due famigli estinti. L’unico
punto di contatto fra gli stili vocali sovrapposti, il reale e il
sovrannaturale, è rappresentato dalla canzone di Miles, «Malo, malo, I would
rather be / malo, malo, in an apple tree / malo, malo, than a naughty boy /
malo, malo, in adversity». Sono parole enigmatiche, che non figurano nel
romanzo di James. Britten le scoprì in una vecchia grammatica latina, e
corrispondono a uno di quei trucchetti mnemonici che servono per imparare i
diversi significati della parola «malo». L’assurdità della canzoncina proietta
la figura di Miles in una dimensione diversa, mille miglia lontano dalla
razionalità scolastica della sua istitutrice, ed è in effetti il primo,
sconcertante segno della diversità di Miles. Essa è quindi un vero e proprio
Leitmotiv che percorre tutta la seconda parte del Giro di vite,
assumendo il valore di tremendo trait d’union fra il mondo dei morti e
quello dei vivi; Miles, in quanto creatore di quella melodia, tenta
disperatamente di congiungere realtà e fantasia, così come è proprio delle
menti infantili, libere dalle griglie oppressive della razionalità.
LA TRAMA
Prologo. Una voce narrante informa dell’antefatto, ovvero
l’assunzione dell’Istitutrice a custodia dei due bambini Flora e Miles nella
residenza di Bly, da parte di un parente-tutore che però non vuol per nessuna
ragione essere importunato. Dapprima esitante per la clausola bizzarra e
inconsueta, l’Istitutrice finisce poi per accettare.
Atto primo. (Tema della serie di variazioni che fanno da interludi
sinfonici fra le scene, ‘Quick’). Scena prima (‘Il viaggio’).
L’Istitutrice, in viaggio verso Bly, esprime i suoi dubbi e le sue ansie prima
dell’incontro con i due bambini (prima variazione-interludio, ‘Slow’). Scena
seconda (‘Il benvenuto’). La governante Mrs. Grose, tempestata dalle
domande di Miles e Flora, attende l’arrivo della nuova Istitutrice. Costei
arriva finalmente a Bly, e Mrs. Grose le descrive l’ottima natura dei due
ragazzi. L’Istitutrice è felice per il calore con cui viene accolta (seconda
variazione-interludio, ‘With movement’). Scena terza (‘La lettera’).
L’Istitutrice riceve un’incredibile missiva da parte della scuola di Miles, che
la informa dell’espulsione del ragazzo per motivi disciplinari. Osserva Miles e
ritiene che si tratti di un orrendo errore di valutazione, e decide con
l’appoggio di Mrs. Grose di non informare nessuno dell’accaduto (terza
variazione-interludio, ‘Very slow and quiet’). Scena quarta (‘La
torre’). Mentre l’Istitutrice passeggia tranquilla nel parco, assiste
all’apparizione di uno strano individuo sulla torre. Si rende conto ben presto
che si tratta d’uno sconosciuto e si allontana molto agitata. Entrano quindi i
due bambini (quarta variazione-interludio, ‘Very quick and heavy’). Scena
quinta (‘La finestra’). Flora e Miles giocano e cantano unanursery
rhyme(“Tom, Tom the Piper’s son”) in una stanza della villa. Entra
l’Istitutrice che vede attonita alla finestra l’immagine di Quint, che poi
scompare. Ella cerca di saperne di più, e descrive nella massima agitazione
l’uomo a Mrs. Grose, che immediatamente riconosce dalle sue parole Peter Quint,
un servitore della villa legato da un torbido legame a Miss Jessel, la
precedente istitutrice, e anche ai bambini. L’orrore s’impossessa della nuova
arrivata quando capisce che tanto Quint quanto Jessel sono morti: capisce che
su Bly incombe una malvagia situazione e che Quint è tornato a cercare il
piccolo Miles. D’accordo con Mrs. Grose, l’Istitutrice decide di proteggere i
piccoli da quelle presenze demoniache, in modo che non si accorgano di nulla
(quinta variazione-interludio, ‘Brisk’, fuga). Scena sesta (‘La lezione’).
L’Istitutrice sta dando ai ragazzi una lezione di latino, e Miles si dimostra
preparatissimo. All’improvviso, il ragazzo si mette a cantare in modo
stralunato una canzoncina basata sui diversi significati latini della parola
«malo» (“Malo, malo, I would rather be”), che rivela per la prima volta il
turbamento interno di Miles (sesta variazione-interludio, ‘Very slow’). Scena
settima (‘Il lago’). È mattina e l’Istitutrice è con i ragazzi in riva al
lago del parco. Flora canta una ninna nanna alla sua bambola (“Go to sleep, my
dolly dear”) e all’improvviso si manifesta, sull’altra riva del lago, il
fantasma di Miss Jessel, che subito si dissolve. L’Istitutrice è disperata:
capisce che i bambini fanno finta di non vedere né sentire, ma sono
perfettamente complici con i due spettri che vengono a cercarli (settima
variazione-interludio, ‘Slow’). Scena ottava (‘Di notte’). Con un canto
seducente Quint attira Miles a sé, e allo stesso modo Jessel chiama Flora. Si
chiarisce il rapporto di possessione fra i quattro (“On the paths, in the
woods”). I fantasmi si dissolvono all’arrivo nella camera da letto
dell’Istitutrice e di Mrs. Grose. I ragazzi non stavano dormendo e sono
chiaramente in uno stato ancora confusionale. Miles ripete all’Istitutrice:
«Sono cattivo, sono cattivo».
Atto secondo. Scena prima (ottava variazione-interludio,
‘Slow’). Quint e Jessel si confermano nella loro intenzione di dominare le
anime dei due ragazzi, in un duetto infernale (“The ceremony of innocence is
drowned”). Frattanto, l’Istitutrice si lascia andare alla sua desolazione
(“Lost in my labyrinth”; nona variazione-interludio, ‘Gently moving’). Scena
seconda (‘Le campane’). Davanti alla chiesa, fuori scena si sentono le voci
di Miles e Flora cantare un salmo, che dapprima sembra innocuo e poi man mano
si trasforma in qualcosa di prossimo al blasfemo. «Stanno dicendo cose
orrende», s’accorge l’Istitutrice, e Mrs. Grose le suggerisce di scrivere allo
zio tutore dei ragazzi. Ella sa di non poterlo fare. Poi Miles la provoca,
sostenendo di sapere ciò che ella pensa, e l’Istitutrice decide di abbandonare
quel luogo demoniaco (decima variazione-interludio). Scena terza (‘Miss
Jessel’). Tornata in casa, l’Istitutrice scopre al suo posto in aula la
signorina Jessel, con la quale ha uno scambio drammatico. La creatura immateriale
si dilegua e l’Istitutrice decide di scrivere al tutore (undicesima
variazione-interludio, ‘A little slower’). Scena quarta (‘La camera da
letto’). Miles intona sinistramente la sua canzone “Malo, malo”, nella sua
camera illuminata da una candela. Entra l’Istitutrice, che lo informa della
lettera e cerca di riguadagnare la fiducia del ragazzo. Quint è però in
agguato, e ancora dirige la volontà di Miles: si spegne la candela, e Miles
s’autoaccusa del fatto (dodicesima variazione-interludio, ‘Quick and urgent’). Scena
quinta (‘Quint’). Il fantasma del cameriere spinge Miles a rubare la
lettera dell’Istitutrice (tredicesima variazione-interludio, ‘Easy and
graceful’). Scena sesta (‘Il pianoforte’). Miles sta studiando il
pianoforte, e il suo modo di suonare è ammirato da Mrs. Grose e
dall’Istitutrice. La governante poi s’addormenta e Flora ne approfitta per
uscire. È troppo tardi quando l’Istitutrice si accorge della fuga e si rende
conto che Miles ha suonato soltanto per distrarre la loro attenzione e dar modo
alla sorella di assentarsi e incontrarsi con Miss Jessel. Rimasto solo, Miles
si trasforma da principiante della tastiera in un diabolico virtuoso
(quattordicesima variazione-interludio, ‘Triumphant’). Scena settima (‘Flora’).
L’Istitutrice ritrova Flora insieme a Miss Jessel: cerca di ottenere da lei una
confessione riguardo alla presenza dello spettro, ma Flora ostinatamente nega.
Mrs. Grose, che non riesce a vedere nulla di quanto sta accadendo, comincia a
pensare che la mente dell’Istitutrice sia compromessa: quest’ultima sente ormai
d’aver fallito ogni tentativo di salvare i due ragazzi (quindicesima
variazione-interludio, ‘Very slow’). Scena ottava (‘Miles’). Mrs. Grose
si rende finalmente conto che sta succedendo qualcosa di estremamente grave, e
dà ragione all’Istitutrice. Si decide allora di inviare Flora dallo zio,
accompagnata dalla governante. A questo punto, l’Istitutrice rimane sola con
Miles: è l’ultimo, drammatico confronto. Miles, amorevolmente guidato
dall’Istitutrice, ammette d’aver rubato la lettera, benché Quint sia presente e
lo inciti a negare. L’Istitutrice, in un autentico duello con lo spettro,
riesce anche a far rivelare al ragazzo il nome del suo infernale compagno:
«Peter Quint, you devil!». Invano, crede d’aver vinto: nelle sue braccia non
resta che il corpo senza vita del piccolo Miles. Straziata e sconfitta,
l’Istitutrice canta la canzone del ragazzo, “Malo, malo”, come una disperata
trenodia.
Il personaggio dell’Istitutrice si trova in mezzo all’impenetrabile
quartetto dei ragazzi e dei fantasmi: è armata della migliore volontà di
spezzare quella catena infernale, ma resta fondamentalmente incapace di
comprendere la fascinazione dei due bambini, o forse è troppo ottusamente
vittoriana per poter entrare con piena consapevolezza in quel circolo proibito.
La sua tensione verso il bene finisce per farla assomigliare a una patetica
sostenitrice dell’Esercito della Salvezza. I suoi sforzi finiscono per essere
la causa involontaria della catastrofe, e violano l’omertà che esiste nella ridente
dimora di Bly fra le forze dell’al di là e i loro piccoli alleati.
L’Istitutrice conserva molti caratteri, psicologici e musicali, di Ellen
Orford, la protettrice di Peter Grimes, altra donna votata al bene e destinata
ad amare delusioni. Sono curiose le somiglianze stilistiche fra i due ruoli, ai
quali Britten ha affidato una linea vocale ugualmente morbida, sinuosa,
oscillante fra l’esitazione e la fermezza. Magnifico ritratto d’una britanna
vergine con vocazione pedagogica, non preservata, nella sua incrollabile
fiducia, da una venatura ironica.
Le tensioni che nel testo di James serpeggiano occulte come un fiume carsico trovano nell’orchestra di Britten (quattordici strumenti solisti) una traduzione di straordinario fascino atmosferico. Con un minimo impiego di mezzi, Britten ha costruito uno dei più affascinanti e originali drammi che il teatro lirico abbia mai avuto. Come nei suoi lavori precedenti, il compositore ha assecondato la propria tendenza all’eclettismo, servendosi di ogni tipo di linguaggio musicale che trovasse giustificazione nelle tante sfaccettature del dramma; a conti fatti, tuttavia, The Turn of the Screw ha una fisionomia più unitaria e personale rispetto alle opere che l’avevano preceduta. Allo svolgimento apparentemente libero e fluido dell’opera sottostà invece una ferrea struttura formale precostituita. Tutto il lavoro prende infatti le mosse da un tema basato sui dodici semitoni della scala temperata, posti in successione incrociata di quinte discendenti e seste ascendenti. Questa premessa seriale farebbe immaginare un’elaborazione dodecafonica, ma non è così. Il tema, ritmicamente assai incisivo e posto all’inizio del primo atto, dà vita nel corso dell’opera a quindici variazioni strumentali, equivalenti ai quindici interludi che collegano fra loro le scene dell’opera. Ciascuna variazione è in una tonalità diversa, e il percorso conduce dal la minore del tema iniziale al la maggiore dell’ultima variazione.
In particolare, tutta
l’ultima scena è concepita come una grandiosa passacaglia, che ha come basso
ostinato le note del tema; progressivamente però scompaiono le note alterate,
le note nere della tastiera, lasciando sul campo solo i suoni naturali, ovvero
i tasti bianchi. Il significato simbolico che Britten ha voluto attribuire a
simile procedimento è evidente: il tema vede contaminate le forze della purezza
(le note bianche) con le forze del male (le note nere); solo l’ultima scena, la
morte di Miles, cioè la sua liberazione dal mondo, vedrà finalmente sconfitto
il mondo degli adulti, per corrotto (Quint) o armato di buone intenzioni (il
paternalismo dell’Istitutrice) che sia. Il prologo, che fu aggiunto all’ultimo
momento, non fa parte dell’architettura musicale dell’opera; è un elemento
esterno, risolto come semplice recitativo, del tutto privo delle connotazioni
formali e simboliche su cui sono pensate le scene successive. Se poi si volesse
trovare un precedente a tale rigorosa quanto insolita (per un’opera lirica)
architettura formale, è fuor di dubbio che nel Giro di vite Britten ha
fatto tesoro dell’ammiratissimo Wozzeck di Alban Berg, articolato
appunto in modo simile. L’efficacia del libretto e il flusso naturale dei brevi
episodi scenici – sulla cui breve e fulminea concatenazione ha certamente
influito l’idea originaria di un’opera destinata al cinema – sono comunque
dovuti in larga misura alle suggestioni della musica. Come accade in tutta la
sua produzione vocale, anche e specialmente nel Giro di vite Britten ha
saputo trovare un connubio perfetto tra la parola e la musica, al punto che
sembrano nate insieme, come gemelli identici, se non addirittura siamesi.
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini&Castoldi
LA MIA PROPOSTA
Lavoro particolarissimo questo di Benjamin Britten al quale ho dovuto
dedicare, per il mio primo approccio, parecchi ascolti. Non è stato facile coglierne
l’essenza ma alla fine, pur non essendo sicuramente il mio repertorio
prediletto, ha un fascino particolarissimo ancor di più rispetto ad altri
capolavori del compositore inglese, Peter Grimes in testa.
Io voglio ricordare queste edizioni:
- Edizione audio diretta da Benjamin Britten nel 1954 (EOG – P. Pears, J.
Vyvyan, D. Hemmings, O. Dyer);
- Edizione video diretta da Colin Davis nel 1981 (Covent Garden – P.
Langridge, R. Tear, H. Donath, M. Ginn, L. Watson);
- Edizione audio diretta da Daniel Harding nel 2001 (Mahler Chamber
Orchestra – I. Bostridge, J. Rodgers, J. Leang, C. Wise).
L’edizione diretta da Colin Davis è sicuramente interessante e si avvale
dell’aspetto visivo curato da Peter Weigl. La concertazione del direttore
inglese è, a mio avviso, molto “impressionista” e si avvale di un buonissimo
Philip Langridge nel ruolo del prologo. Non mi entusiasma invece Robert Tear
come Quint così come non mi lascia segni particolari l’interpretazione di Helen
Donath come Governess.
Particolare anche l’approccio di Daniel Harding che dirige una Mahler
Chamber Orchestra in stato di grazia. La sua direzione è asciutta e cerca di
addentrarsi nelle pieghe più intime e infinitesimali della partitura. Ian
Bostridge si dimostra come uno dei migliori tenori in questo particolare
repertorio. Cosa che, a mio parere, non si può dire degli altri interpreti.
A mio avviso però l’edizione di riferimento rimane ancora oggi quella diretta
dallo stesso Britten con un interprete straordinario come Peter Pears, che
incarna non solo nella voce ma anche nell’espressività, nei fiati e nella
cadenza stessa della voce il personaggio sia del Prologo che di Quint. Superlativi
anche tutti gli altri interpreti di un capolavoro assoluto del teatro musicale
del ‘900.
Di seguito i link per ascoltare l’opera diretta da Benjamin Britten:
Commenti
Posta un commento