A PARIGI (via streaming) PER UNA AIDA... COSI' COSI'
Giovedì sera, in diretta streaming dall’Opéra Bastille di Parigi si è potuto assistere alla nuova produzione, con la regia di Lotte De Beer e la direzione musicale di Michele Mariotti.
Premetto subito che la visione non ha soddisfatto quasi per nulla le
aspettative pur essendoci, sul piano musicale, alcuni ottimi artisti (Kaufmann,
Radvanovsky, Tézier) e un direttore che personalmente ammiro molto.
Parto dalla parte visiva…
La regista Lotte De Beer concepisce una Aida non Aida, nel senso che ci troviamo di fronte ad un personaggio non di colore ma la cui diversità non è data dall’etnia ma dall’essere, così come tutto il popolo etiope, una sorta di manichino vivente, simbolo dei conflitti tra popoli. Il cantante (Aida e Amonasro) sono sostanzialmente dei doppioni (vestiti di nero) dei manichini che non si interfacciano mai con gli altri personaggi in carne ed ossa. La cosa all’inizio pare funzionare ma poi stanca e non trova a mio parere una giusta conclusione nemmeno al termine dell’opera dove Radames muore abbracciato al manichino di Aida che sola e sconsolata esce di scena. La regia ci vuole forse portare in un museo, con comparse vestite da borghesi dell’Ottocento, pieno di reperti di antichità e tableaux vivants (la marcia del secondo atto, insieme al balletto successivo sono tutto un susseguirsi di figuranti che vestiti in un modo e poi in un altro formano delle riproduzioni “viventi” di alcuni celebri dipinti). Lo ammetto… l’ho capito poco il senso dell’idea della regista belga.
Se la parte visiva mi ha lasciato perplesso non è che la parte musicale
mi abbia entusiasmato particolarmente.
Dopo la sua direzione della stessa partitura a Napoli l’estate scorsa, le
aspettative su Michele Mariotti (direttore che personalmente ammiro moltissimo)
erano molto alte: la resa che però ho ascoltato non è stata altrettanto
convincente. La tavolozza dei colori e delle atmosfere di Aida lo aiutano molto
quando si deve giocare sull’aspetto interiore e umano oltre che sull’aspetto
intimistico (in questo forse il punto massimo della concertazione è l’ultima
scena dell’opera) ma in altri momenti manca quella monumentalità che l’opera
richiede. I chiaroscuri sonno ben enfatizzati ma… mi è parsa una lettura più
alla Rossini che non alla Verdi. Certe scelte dei tempi hanno messo un po’ in
difficoltà solisti e coro senza dimenticare poi la resa non omogenea dell’orchestra
stessa. Una prova, a mio avviso, da rivedere quella del maestro pesarese.
Sulla carta il cast a disposizione di Mariotti è tra i migliori
attualmente reperibili.
Sondra Radvanovksy è una brava Aida, che punta molto sulla sua voce intensa
e delicata. Lo strumento vocale del soprano canadese è notevole e qui cerca di
metterlo tutto a disposizione del personaggio anche se alcune note in alto
risultano non precisissime e poco sostenute dal fiato. La cosa che però non
succede con lei è che ascoltandola non si scaldano i cuori, risulta forse anche
troppo fredda pur nella precisione del canto.
Jonas Kaufmann, pur con la sua vocalità rotonda e con l’ottimo registro
grave, non è parso nella sua migliore serata. Interessanti i suoi passaggi alle
note acute ma troppo ed eccessivo è stato l’uso dei suoi “mitici” falsettoni,
non precisissimi soprattutto in “Celeste Aida”. La regia gli dà un ruolo abbastanza
“infantile” in quanto a gesti e movenze e quindi non lo aiuta particolarmente.
Una prova in chiaroscuro la sua che, nella sostanza, sia degua al livello dell’intera
riuscita dello spettacolo.
Ludovic Tézier forse musicalmente è colui che si muove meglio (e questo
anche perché non è costretto dalla regia a particolari movenze o atteggiamenti,
avendo il suo manichino protagonista dell’azione): il colore e la pregnanza
della sua voce lo posizionano in cima, dal punto di vista della resa, all’intero
cast.
Ksenia Dudnikova è senza dubbio una buna Amneris anche se l’aspetto
registico un po’ la penalizza. Buona la sua prova complessiva anche se la sua grande
scena del quarto atto non ottiene gli effetti sperati, con acuti sfocati e non
brillantissimo smalto.
Buono il Ramfis di Dmitry Belosselsky, anche se non memorabile così come interessante ma nulla più il Re interpretato da Soloman Howard. Buoni vocalmente i due personaggi di contorno interpretati da Alessandro Liberatore (messaggero) e Roberta Mantegna (sacerdotessa).
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