ALMANACCO OPERISTICO - 15 febbraio - GIOVANNA D'ARCO di G. Verdi

GIOVANNA D’ARCO

Dramma lirico in un prologo e tre atti di Temistocle Solera, dal dramma Die Jungfrau von Orleans di Friedrich von Schiller

Musica di Giuseppe Verdi

 

Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 15 febbraio 1845

 

All’indomani del successo dei Lombardi, Verdi fu più volte sollecitato da Merelli a scrivere un’altra opera per la Scala, ma solo nel 1844 si risolse a prenderne in considerazione l’offerta. Con ogni probabilità, fu lo stesso impresario a interpellare il Solera, cui il musicista affidò forse la scelta del soggetto. È anche possibile che, inizialmente, questo non destasse troppo interesse in Verdi, poiché non era neppure un soggetto particolarmente nuovo (era stato già musicato tra gli altri da Nicola Vaccaj, Venezia 1827, e da Giovanni Pacini, Milano 1830). A dispetto di ciò, il musicista portò a termine il lavoro di composizione in soli quattro mesi. Nonostante i problemi sorti con l’orchestra e i cantanti, e i dissapori con l’impresario Merelli (che aveva tentato di venderne segretamente lo spartito a Ricordi), l’opera ebbe un buon successo (protagonisti furono Erminia Frezzolini e Antonio Poggi) ma, Verdi decise non presentare più una partitura in prima assoluta alla Scala (vi ritornò solo nel 1887, con Otello). Nonostante il felice esito ottenuto a Milano e nei principali teatri italiani (dove talvolta, la ‘scabrosità’ del soggetto indusse la censura a vistosi cambiamenti), l’opera non ebbe molta fortuna. Nel 1865 Verdi, che evidentemente serbava un ottimo ricordo della parte della protagonista, la raccomandò a Teresa Stolz che la cantò con successo alla Scala. Notevole, e per ovvie ragioni, fu il consenso in Francia, dove l’opera rimase a lungo nel cartellone del Théâtre des Italiens. Oggi, pur essendo entrata stabilmente nel repertorio lirico internazionale, Giovanna d’Arco non gode del medesimo favore accordato a opere come Attila o Ernani.


 

Prologo. Il popolo piange le sorti della Francia. Il re Carlo VII, dopo avere sognato la Vergine che sotto una quercia lo invitava a deporre le armi, decide di abdicare; poi, riconoscendo nel luogo dell’apparizione la foresta di Domremy, ritenuta stregata, decide di andarvi. Lì, prostrata davanti alla Vergine, Giovanna piange la patria oppressa. Preoccupato dall’assiduità di quelle visite, Giacomo, il padre di Giovanna, assiste segretamente a quello che teme essere un incontro con le potenze infernali. In effetti, assopitasi, Giovanna è tentata dai demoni ma gli spiriti eletti la esortano a salvare la Francia. Sopraggiunto Carlo, Giovanna gli si fa incontro e afferrate le armi lo invita a seguirlo sul campo di battaglia. Il re, affascinato, obbedisce mentre Giacomo, convinto che il potere della figlia sia di natura diabolica, vorrebbe seguirli ma cade sfinito.

Atto primo. Nel campo inglese, il morale delle truppe sconfitte è basso. Sopraggiunge fuori di senno Giacomo, che annuncia l’imminente cattura di colei che è responsabile della loro disfatta. Di fronte all’esultanza dei presenti che minacciano il rogo, Giacomo ha un moto d’orrore, ma il desiderio di vendetta nei confronti di Carlo, che egli accusa d’avere disonorato la figlia, ha poi il sopravvento. Intanto, Giovanna, ottenuto il suo scopo, vorrebbe tornare alla vita di sempre (Giovanna: “O fatidica foresta”), ma Carlo le offre di divenire sua sposa (Carlo, Giovanna: “Dunque, o cruda, e gloria e trono”). Pur rivelandogli di amarlo, la giovane rifiuta, memore del consiglio degli spiriti eletti, ma il re non cede e poiché il popolo vuole vederlo incoronato, annuncia che riceverà il simbolo del potere solo dalle mani di Giovanna. Mentre gli spiriti malvagi esultano, la fanciulla si avvia triste al suo ufficio.


Atto secondo. Durante la cerimonia dell’incoronazione, Giacomo attende sulla piazza, oppresso dalla convinzione del peccato della figlia. Il corteo regale esce dalla cattedrale e Carlo VII dichiara che la Francia ha due protettori, San Dionigi e Giovanna: Giacomo, allora, incapace di trattenersi, accusa la figlia di maleficio. Di fronte a Carlo che le chiede spiegazioni, Giovanna tace, conscia del suo colpevole amore. Carlo crede ugualmente all’innocenza della fanciulla, ma il popolo la rinnega e il padre la trascina verso il rogo apprestato dagli inglesi.

Terzo atto. Prigioniera degli inglesi, Giovanna assiste impotente alla battaglia, invocando il perdono di Dio per il suo colpevole amore (Giovanna: “Amai, ma un solo istante”), chiede in cambio l’onore di offrire la sua vita per il bene della Francia. Finalmente convinto della sua innocenza, Giacomo la libera e, dopo una commossa riconciliazione, la giovane corre alla sua missione. Liberato Carlo, al quale raccomanda il perdono per il padre, Giovanna si getta nella mischia. In breve il nemico è sconfitto ma la fanciulla è mortalmente colpita (“Quale più fido amico”, Carlo). Invano il re e Giacomo sperano nella sua salvezza: mentre tutti si prostrano e si diffonde una luce intensissima, Giovanna, ormai eletta a visioni celestiali, spira.

 


Benché Solera affermi con orgoglio di essersi discostato da Schiller, il suo libretto non si allontana più di tanto dal dramma originale salvo che nell’approfondimento psicologico dei personaggi e nella poesia dell’intreccio, peraltro qui meno riusciti. Verdi, infastidito dai giudizi riduttivi della critica, che aveva accolto l’opera come il buon prodotto di un musicista ancora alle prime armi e che avrebbe potuto migliorare in futuro, ebbe a ribattere definendo Giovanna la sua opera più riuscita. In realtà, all’interno del percorso creativo del musicista, l’opera, più che innovare, consolida posizioni acquisite: va infatti tenuto presente che con Giovanna, Verdi intensificò sensibilmente i propri ritmi compositivo, passando da una a due opere l’anno (entro l’estate musicò anche Alzira) e non ebbe quindi neppure il tempo materiale per approfondire i risultati conseguiti in precedenza. Il risultato è un’opera più eterogenea rispetto alle precedenti, nella quale momenti non felicissimi si alternano a pagine tra le migliori tra quelle scritte da Verdi sino ad allora. Tra queste, la romanza della protagonista “O fatidica foresta”, il successivo duetto di Carlo e Giovanna “Dunque, o cruda, e gloria e trono”, l’Adagio del concertato nel finale secondo, il duetto Giacomo-Giovanna “Amai, ma un solo istante” e la romanza di Carlo “Quale più fido amico”. Il ruolo della protagonista, modellato sulle eccellenti doti vocali della Frezzolini, è caratterizzato da una scrittura che è tra le più ambiziose e difficili dell’intero repertorio verdiano.

Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi

 

LA MIA PROPOSTA

Opera tra le meno rappresentate di Verdi, Giovanna d’Arco ha al suo interno momenti veramente sublimi che ci aprono poi a lavori successivi del compositore di Busseto. Molto scarna è la discografia di cui mi sento di consigliarvi queste edizioni:

- Edizione audio diretta da Carlo Franci nel 1972 a Venezia (K. Ricciarelli, F. Labò, M. Zanasi);

- Edizione audio diretta da James Levine nel 1972 a Londra (M. Caballé, P. Domingo, S. Milnes);

- Edizione video diretta da Riccardo Chailly nel 1989 a Bologna (S. Dunn, V. La Scola, R. Bruson);

- Edizione video diretta da Riccardo Chailly nel 2015 a Milano (A. Netrebko, F. Meli, C. Alvarez).

 

Il lavoro verdiano si poggia inevitabilmente sulle voci (non solo su quella della protagonista ma anche a quelle del tenore e del baritono) e come ben vedrete le edizioni che ho rammentato non lesinano proprio in tema di cantanti.


L’edizione veneziana del 1972, con la solida direzione di Carlo Franci, si poggia su una Katia Ricciarelli giovane e pianamente in parte. La sua Giovanna è quasi da antologia e la si può ben inserire come tra le migliori interpreti assolute in questo ruolo. Mettiamoci poi che in quei primi anni di carriera la sua voce è morbidissimi, intatta e fluida… cosa che con l’andare degli anni perderà. Ottimi anche gli altri interpreti del cast, che oggi sarebbero un lusso per ogni grande teatro: Flaviano Labò ci lascia un Carlo VII fiero mentre Mario Zanasi forgia un credibilissimo Giacomo.


L’edizione del 1989, registrata al Teatro Comunale di Bologna, è diretta molto bene da Riccardo Chailly e si avvale di una buonissima Susan Dunn come Giovanna: la sua voce è abbastanza eroica anche se a mio parere non raggiunge le vette dell’Elena dei Vespri sempre registrati a Bologna. Vincenzo La Scola è un ottimo Carlo mentre Renato Bruson mette in scena uno splendido Giacomo, dando una sfaccettatura oltremodo umana e nobile a questo personaggio che normalmente viene considerato minore rispetto ai grandi “padri” del teatro musicale verdiano.


Riccardo Chailly ci propone nel 2015, ad apertura della stagione scaligera, una ulteriore interiorizzazione che aumenta qualitativamente la sua concezione concertante di quest’opera. A sua disposizione ha una cantante straordinaria come Anna Netrebko che tratteggia una Giovanna battagliera ma allo stesso tempo fragile e schiava della sua giovane ingenuità (una grandissima lezione di canto quella del soprano russo). Francesco Meli è un ottimo Carlo VII così come molto interessante è Carlos Alvarez come Giacomo.


L’edizione che però mi sento di consigliare è l’edizione londinese diretta da uno straordinario James Levine che tocca, con questa concertazione, le splendide vette raggiunte nei Vespri verdiani. Da antologia la sua direzione, la più completa in termini di colori, accenti e sostegno alle voci. Montserrat Caballé, con la sua voce morbida e facile agli acuti, ma allo stesso tempo musicalissima e svettante, ci lascia la migliore Giovanna della discografia. Assieme a lei un Domingo che si destreggia molto bene nella parte di Carlo VII e un imponente Sherill Milnes che, contendendo lo scettro a Bruson, interpreta un Giacomo quasi inarrivabile.

 

Qui di seguito potete ascoltare l’opera integrale cantata dalla Caballé assieme a Domingo: 

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