ALMANACCO OPERISTICO - 11 febbraio - LA FILLE DU REGIMENT di G. Donizetti

LA FILLE DU REGIMENT

(La figlia del reggimento)

Opéra-comique in due atti di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges

Musica di Gaetano Donizetti

 

Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 11 febbraio 1840

 

L’attività di Donizetti a Parigi, nel 1839-40, è davvero sorprendente: né gli ‘anni di galera’ verdiani, né i numerosi impegni cui Rossini fece fronte prima del suo periodo napoletano possono essere paragonati al lavoro febbrile in cui si gettò il compositore bergamasco, quasi che non riuscisse a farne a meno. Reduce dal fortunato adattamento francese di Lucia di Lammermoor, Donizetti lavorò alla trasformazione di Poliuto ne Les Martyrs, grand-opéra rappresentato nell’aprile ’40 all’Opéra; contemporaneamente scrisse Le Duc d’Albe, sempre per l’Opéra; progettò due opere per il Théâtre de la Renaissance, alla seconda delle quali lavorò nell’autunno-inverno del ’39 (L’Ange de Nisida, poi diventato La Favorite); ancora nell’autunno di quell’anno, aveva terminato «e consegnato una piccola opera all’Opéra-Comique», come annunciava egli stesso in una lettera del 9 ottobre. «Capirai che quando si ha tanto da fare, non vi è tempo a fare il gallo né con vecchie, né con giovani; tuttavia mi secco e mi diverto», proseguiva il compositore, rivolgendosi a Leopoldo Persico. Le prove dell’opera iniziarono solamente a dicembre, sovrapponendosi con quelle de Les Martyrs. Prima opera francese di Donizetti data a Parigi, la Fille du régiment è un opéra-comique, prevede cioè dialoghi parlati alternati a numeri musicali.


Atto primo. In un villaggio del Tirolo (in Svizzera nella versione italiana dell’opera). La marchesa di Berckenfield e il suo intendente Hortensius, in viaggio, sono stati sorpresi da un’azione di guerra; insieme ai paesani osservano da lontano i nemici che avanzano. La marchesa trasalisce: i nemici francesi non rispettano nessuno, «sont une troupe de brigands», l’onore di una bella donna come lei è certamente in pericolo. Per sua fortuna (o suo malgrado) i nemici sembrano allontanarsi, ma all’arrivo di un soldato francese tutti scappano terrorizzati. Il soldato è il sergente Sulpice, del 21º reggimento; dopo di lui arriva la vivandiera Marie, ragazza allevata dai soldati francesi come loro ‘figlia’. Nel suo duetto marziale con Sulpice (“Au bruit de la guerre”/“Apparvi alla luce” nella versione italiana), Marie mostra di aver imparato a comportarsi da vero soldato. In ottica di gender studies, potremmo dire che qui si dimostra come tutto sia cultura: l’identità di genere, il maschile o il femminile, sono costruzioni sociali! Marie, ‘socializzata’ come un maschiaccio, non ha nulla di femminile e si comporta da soldato; quando sarà obbligata a vestirsi da dama del Settecento, avrà la grazia di un uomo che per la prima volta (la seconda va sempre meglio) si vesta da donna. Il duetto Marie-Sulpice è in due parti: invece che seguire la forma italiana, con una cabaletta conclusiva, qui la seconda parte è una ripresa dell’inizio del brano, che poi si trasforma in un buffo ‘rataplan’. Quando Marie confessa a Sulpice di essere attratta da un giovane tirolese (Tonio), che un giorno le ha salvato la vita, arrivano i soldati con un prigioniero catturato mentre si aggirava attorno all’accampamento: è proprio lui! Marie racconta a tutti la coraggiosa impresa di Tonio, che viene liberato. In suo onore viene organizzata su due piedi una festicciola, si beve (anzi, si trinca: «trinquons... Un tour de rhum: c’est fête de famille!») e si canta; Marie intona l’inno del reggimento (“Chacun le sait, chacun le dit”/“Ciascun lo dice, ciascun lo sa”), che deriva incredibilmente da un’opera seria di soggetto sacro, Il diluvio universale (Napoli 1830). Rimasti soli, i due giovani si dichiarano reciproco amore (duetto: “Depuis l’istant où, dans mes bras”/“Da quell’istante che sul mio seno”). La marchesa, accompagnata da Hortensius, cerca di parlare a Sulpice per ottenere garanzia di protezione durante il suo ritorno al castello di Berckenfield. Sulpice rimane sorpreso quando scopre che la nobildonna ha conosciuto il defunto capitano Roberto, padre di Marie: la ragazza è in realtà l’unica erede dei Berckenfield, creduta morta dalla marchesa, la quale dice di essere sua zia. Quando la marchesa domanda se la nipote è stata allevata con sani principi, Marie entra in scena sacramentando da bravo soldato. Al suono del tamburo compare l’intero reggimento, che intona un ‘rataplan’. Tonio si è arruolato nell’esercito francese, per poter chiedere ai soldati il permesso di sposare Marie. La sua aria (“Ah, mes amis, quel jour de fête”/“Miei cari amici, che lieto giorno”) ha una struttura bipartita. Dopo l’Allegro, in tre parti, segue un esteso tempo di mezzo, dialogato fra Tonio e il coro, il quale attacca la seconda parte, che in un’opera italiana dovrebbe essere la cabaletta. Solo dopo una sessantina di battute entra Tonio con una melodia (“Pour mon âme”) che presenta una serie di do sovracuti da gara di atletismo vocale. Marie ha capito che deve abbandonare il suo esercito e seguire la zia marchesa. Affranta, la ragazza si accommiata da tutti (“Il faut partir, mes bons compagnons d’armes”/“Convien partir, o miei compagni d’arme”), lasciando Tonio disperato. Invece che seguire la forma del concertato per tutti i personaggi, questo finale d’atto lascia spazio al canto di Marie, un’aria in due strofe introdotta dal corno inglese: come accadrà nella prima parte dell’aria del secondo atto, anche qui Marie mostra il lato melanconico e dolente del suo carattere, prima quasi sempre occultato dall’esuberanza scenica e da una condotta vocale brillante e virtuosistica. La melodia, prima in modo minore e poi nella corrispondente tonalità maggiore, quando si aggiungono le voci degli altri personaggi, ha un sapore belliniano e introduce l’elemento patetico e umano all’interno della commedia.


Atto secondo. Nel castello della marchesa, nel quale è stato ospitato anche Sulpice, ferito in battaglia. La marchesa combina le nozze di Marie con il figlio della duchessa di Krakenthorp. Sulpice assiste alla lezione di canto di Marie, accompagnata al clavicembalo dalla marchesa stessa «de manière plutôt maladroite», in modo un po’ maldestro. La ragazza deve intonare un’aria sentimentale del maestro «Fettuccini» (nella versione italiana diventa «Caffariello»), ma è distratta da Sulpice che continua a ricordarle i canti militari. Il contrasto fra i due tipi di vocalità, quello dell’aria fiorita e sdolcinata, e quello scattante dei canti dei soldati, produce un effetto parodistico esilarante. Alla fine Marie si ribella e investe la marchesa con una cascata di colorature, per unirsi definitivamente a Sulpice cantando lo sfrenato ‘rataplan’ che fa inorridire la zia. Rimasta sola, Marie si abbandona al ricordo del passato e al pensiero del suo amore lontano (“Par le rang et par l’opulence”/“Le ricchezze ed il grado fastoso”), quando il suono di una marcia militare fuori scena risveglia la ragazza. Marie riconosce il suo reggimento e intona “Salut à la France”, una cabaletta che, durante il Secondo Impero, in Francia diventò quasi un inno nazionale non ufficiale; nella sua versione italiana, “Di gioia bramata”, scompare ovviamente ogni riferimento patriottico filofrancese. I soldati irrompono in scena, Marie e Tonio sono riuniti e con Sulpice cantano un festoso terzetto che sembra anticipare le melodie spumeggianti di Offenbach (“Tous les trois réunis”/“Stretti insiem tutti tre”). Nonostante le proteste della marchesa, Tonio dichiara di non poter vivere senza Marie. L’aria di Tonio “Pour me rapprocher de Marie”, che non compare nell’ottocentesca versione italiana dell’opera, è una romance in due strofe, di cui la seconda è sottilmente variata rispetto alla prima. La marchesa, a questo punto, è costretta a svelare il suo segreto: è lei la madre di Marie, e intende far sposare la sua figlia illegittima al duca di Krakenthorp per assicurarle un avvenire onorato. Marie accetta di ubbidire, ma la cerimonia è interrotta dai soldati, guidati da Tonio, che scandalizzano i nobili invitati. La marchesa acconsente al matrimonio di Marie con Tonio, per non sacrificare la felicità della figlia. L’opera si chiude con una ripresa di “Salut à la France”.


Il debutto dell’opera fu infelice, forse a causa di una campagna di stampa poco favorevole all’insediamento di Donizetti a Parigi. Berlioz pubblicò una recensione ostile, nel ‘Journal des débats’ del 16 febbraio 1840, accusando Donizetti di aver riutilizzato nella Fille la musica di un’altra opera, Betly. Il compositore francese, allarmato, elencava gli impegni parigini del collega italiano: «queste sono le opere che nel giro di un anno saranno scritte o rielaborate dallo stesso autore! Il signor Donizetti ha l’aria di volerci trattare da paese conquistato, la sua è una vera e propria guerra di invasione. Non potremo più parlare dei teatri lirici di Parigi, ma dei teatri di Donizetti». Insomma, il Bergamasco rappresentava una minaccia per i musicisti francesi sull’orlo della disoccupazione: «spetta ad essi», continua Berlioz, «il compito di far quadrato tra loro e difendersi, in tutta legalità ma con energia». Donizetti replicava tranquillamente, su ‘Le moniteur universel’ del 18 febbraio, che la sua coscienza era a posto: non una nota della Fille era stata copiata, e sarebbe stato meglio che Berlioz «si fosse preso la briga di aprire il mio spartito di Betly (...) stampato e pubblicato a Parigi». La Fille, dopo la fredda accoglienza iniziale, ottenne un successo sempre crescente, tanto che ai primi del Novecento le sue recite all’Opéra-Comique superavano il migliaio: un primato assoluto, in quel teatro, per un’opera di un compositore non francese. La Fille venne subito considerata un prodotto nazionale, grazie anche alla capacità camaleontica del compositore di adattare il proprio stile alle esigenze e al gusto del pubblico per il quale componeva, e di imitare le forme tipiche del genere teatrale a cui apparteneva il lavoro richiesto, in questo caso le strutture agili e scattanti dell’opéra-comique. La prima esecuzione italiana venne preparata da Donizetti stesso, che operò la trasformazione della partitura da opéra-comique a opera buffa (la versione ritmica italiana fu scritta da Calisto Bassi), con recitativi secchi al posto dei parlati e alcune modifiche nell’intreccio. Nella versione italiana, vennero eliminate la sortita della marchesa all’interno dell’introduzione e la cabaletta dell’aria di Tonio nel primo atto (“Pour mon âme”), di cui la prima sezione si trova spostata all’inizio del finale d’atto. Donizetti assegnò al tenore una nuova aria, nel primo, presa in prestito dal Gianni di Calais (“Feste, pompe, omaggi, onori?”). Venne eliminata anche la seconda aria di Tonio, “Pour me rapprocher de Marie”, in seguito reintegrata dalla tradizione teatrale più recente. La ripresa di “Salut à la France”, nel finale dell’opera, venne sostituita con un duetto soprano-tenore (“In questo sen riposati”).


In Italia la Figlia del reggimento non conquistò subito il pubblico, come invece accadde in modo sorprendente per l’originale francese a Parigi. In Inghilterra e negli Stati Uniti fu eseguita con frequenza, in italiano o in inglese, fino al 1875, dopo aver raggiunto, verso la metà del secolo, Buenos Aires, Pietroburgo e Sydney. Il personaggio di Marie, dopo la prima interprete Giulietta Borghese (in Francia nota come Juliette Euphrosine Bourgeois), è stato cantato da Luigia Abbadia, Henriette Sontag, Jenny Lind, Adelina Patti, Lily Pons, Toti Dal Monte. L’opera fu rappresentata spesso in una versione mista tra quella francese e quella italiana, con varie interpolazioni (ad esempio Lily Pons, al Metropolitan di New York, durante la seconda guerra mondiale, nel finale cantava la Marsigliese). La versione originale venne ripresa da Joan Sutherland e Richard Bonynge, prima al Covent Garden di Londra e poi al Metropolitan, dove nel 1983 la Sutherland era affiancata da Alfredo Kraus e Regina Resnik, in un allestimento inserito nella stagione del centenario del teatro. Luciana Serra, June Anderson e Mariella Devia (quest’ultima alla Scala, giugno 1996, in un esemplare allestimento curato da Filippo Crivelli; l’opera era rappresentata nella versione francese) hanno contribuito alla più recente fortuna della Fille.

Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi

 

LA MIA PROPOSTA

Opera particolarissima questa di Donizetti, che a me piace molto, ma che però non ha visto una discografia numericamente all’altezza della qualità che questo lavoro contiene. Io propongo a tutti voi queste edizioni, che a mio parere, solo assolutamente quelle di riferimento:

- Edizione audio diretta da Richard Bonynge nel 1966 a Londra (J. Sutherland, L. Pavarotti, S. Malas, M. Sinclair);

- Edizione audio diretta da Richard Bonynge nel 1973 a Chicago (J. Sutherland, A. Kraus, S. Malas, R. Resnik);

- Edizione audio diretta da Bruno Campanella nel 1986 a Parigi (J. Anderson, A. Kraus, M. Trempont, H. T’ Hézan);

- Edizione audio/video diretta da Donato Renzetti nel 1996 a Milano (M. Devia, P.A. Kelly, B. Praticò, E. Podles);

- Edizione video diretta da Bruno Campanella nel 2007 a Londra (N. Dessay, J.D. Florez, A. Corbelli, F. Palmer).

 

Quest’opera, forse più di tante altre opere, non può esistere senza cantanti e le edizioni che ho appena citato ne sono la conferma.

Richard Bonynge ha diretto tantissime volte questo lavoro donizettiano e, tante volte, ha avuto a disposizione la massima interprete in assoluto del ruolo di Marie: Joan Sutherland.


L’edizione del 1973 registrata a Chicago vede proprio Bonynge che guida Joan Sutherland assieme ad uno dei massimi Tonio della storia di quest’opera: Alfredo Kraus. Qui ci sono poi ottimi comprimari come Spiro Malas (Sulplice) e Regina Resnik (La Marquise). Purtroppo Bonynge non è mai particolarmente accattivante nelle sue concertazioni e in questa edizione non fa eccezione.


L’edizione del 1996 registrata alla Scala vede un’altra interessantissima protagonista di questo ruolo negli anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio: Mariella Devia. Io personalmente la preferisco in altri “grandi” ruoli donizettiani… ma canta veramente bene ed è (anche considerando i suoi detrattori che la considerano sempre un po’ “freddina”) convincente al 100%. Buoni i ruoli comprimari ma che non sono alla sua altezza. Buona la direzione di Donato Renzetti che offre una concertazione dedicata e improntata sulle voci a disposizione.


L’edizione londinese del 2007 vede un altro direttore d’orchestra che spesso, nel corso della sua carriera, si è trovato ad affrontare la Fille: Bruno Campanella. A mio parere il maestro italiano è molto più coinvolgente rispetto a tanti altri direttori e le sue concertazioni sono sempre appropriate. Qui i protagonisti sono Natalie Dessay (una cristallina Marie) e Juan Diego Florez (il miglior Tonio degli ultimi vent’anni). Ottimo anche il contorno vocale tra cui voglio ricordare l’ottimo Sulplice di Alessandro Corbelli.

 

Purtroppo non so dare una preferenza alle due edizioni, che per un motivo o per l’altro, ritengo quelle di riferimento e sono quella Sutherland/Pavarotti e Anderson/Kraus.


L’edizione del 1966 è diretta bene (ma nel suo stile) da Richard Bonynge avendo a disposizione la miglior Sutherland di sempre in questo ruolo. Se la musicalità, gli acuti e le agilità inarrivabili sono le caratteristiche della Sutherland cosa si può dire di Luciano Pavarotti… una vera e propria lezione di canto: voce adamantina, acuti limpidi e facili. A mio parere Pavarotti canta uno dei suoi migliori ruoli assoluti con un unico neo: il suo francese.

Altrettanto interessante al livello di questa appena citata è l’edizione del 1986 con la direzione di Bruno Campanella con un’altra coppia molto affiatata: June Anderson (una Marie molto diversa dalla Sutherland ma ottima) e Alfredo Kraus (qui nella sua migliore interpretazione di Tonio… a quasi sessant’anni). Kraus dal punto di vista della pronuncia è sicuramente migliore di Pavarotti ma qui i confronti non si possono fare: due grandi artisti.

 

Quindi due sono oggi le edizioni che vi propongo, che spero vi possano interessare entrambi:

 

- Edizione diretta da Bonynge con la coppia Sutherland/Pavarotti:


- Edizione diretta da Campanella con la coppia Anderson/Kraus:



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