VIVA LA SEMIRAMIDE... DI MARIOTTI

Si è aperto ieri sera, con la messa in scena di "Semiramide" il 40° Rossini Opera Festival di Pesaro. Per festeggiare l'importante compleanno il direttore artistico Ernesto Palacio ha pensato all'ultima opera italiana del maestro pesarese, un autentico "monumento del belcanto", oserei dire anche perfetta sintesi di tutto il percorso artistico che in 13 anni (dal 1810 al 1823, data appunto della prima di Semiramide) ha portato Rossini alle più alte vette musical-teatrali.


Per questa importante ricorrenza sono stati chiamati Michele Mariotti, per la parte musicale, e Graham Vick per l'allestimento scenico. I due si ritrovano dopo l'esperienza alquanto contraddittoria del "Guillaume Tell" pesarese del 2013 e a distanza di poco più di un anno dalla splendida "Boheme" bolognese.
Sulla parte scenica non posso dire nulla in quanto ho ascoltato l'intera opera via radio, ma le forti contestazioni del pubblico al termine della rappresentazione possono dirla lunga. Una cosa è certa però... ogni spettacolo di Vick (penso non solo a quelli citati ma a tanti altri... come il Macbeth scaligero o l'Ermione rossiniana di Glyndebourne) è pensato, interiorizzato ed estremamente legato alla narrazione musicale.


Michele Mariotti offre invece quella che a mio avviso è la sua migliore interpretazione rossiniana di sempre (superiore per esempio allo splendido "Sigismondo" del 2010). Semiramide è opera complessa, scura nel colore di base (non dimentichiamo la grande tragedia che essa racconta) ma al pari tanto luminosa. Il giovane maestro pesarese trova delle tinte bellissime, dei chiaroscuri che ci fanno ammirare un quadro completo, dall'inizio alla fine, senza sbalzi di tensioni o cadute di stile. Mi era piaciuta la sua Semiramide di Monaco... ma qui siamo veramente al top. Non credo inoltre che ad oggi ci sia sulla piazza (parlo di registrazioni o esecuzioni dal vivo dell'opera) un'interpretazione musicale e direttoriale migliore di questa. Merito anche della splendida Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI che in questi ultimi anni ha portato un'ulteriore eccellenza a servizio del ROF e di Rossini (discreto e nulla più invece il Coro del Teatro Ventidio Basso).
Il cast a disposizione di Mariotti è giovane ed ha mostrato quello che è il livello attuale degli interpreti rossiniani.


Salome Jicia, nel ruolo del titolo, si afferma come una delle più belle sorprese nate dall'Accademia Rossiniana negli ultimi anni. L'interprete ha completamente nelle corde le note scritte... e lei le canta tutte, con acuti ed agilità svettanti (si sente che l'interprete è cresciuta molto dalla Dorliska pesarese del 2016). Varduhi Abrahamyan, nel ruolo di Arsace, si contrappone bene alla protagonista: dopo un'aria iniziale discreta mano a mano che l'opera prosegue il mezzosoprano armeno prende consapevolezza della parte raggiungendo, nei duetti con Semiramide e Assur, le vette più alte.
Una buonissima coppia quindi... anche perché ormai a disposizione non abbiamo i "mostri sacri" di una volta ed è giusto rimarcare come si facciano avanti giovani eccellenze che, se curate, possono portare tante soddisfazioni al mondo della lirica.


Buono l'Assur di Nahuel Di Pierro: le note sono tutte cantate ma manca quel peso specifico che la parte dovrebbe avere e che l'avrebbe portato, a mio avviso, all'eccellenza.
Bravo Antonino Siragusa nel ruolo di Idreno. L'aria del primo atto è stata ben interpretata anche se non al meglio (forse la resa in sala è diversa ma i microfoni a volte giocano dei brutti scherzi!) mentre quella del secondo atto è perfetta e va a rimarcare ancora una volta la tecnica perfetta dell'interprete, l'agilità con cui esso arriva agli acuti, squillanti e precisi (anche se sempre si nota un po' di differenza sullo squillo in base alla vocale cantata).
Buoni gli altri interpreti anche se da Carlo Cigni, nel ruolo non secondario di Oroe, mi sarei aspettato meno ruvidità nella voce.
Alla fine ovazioni per Mariotti, vero vincitore della serata, e tanti applausi agli interpreti.

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