ALMANACCO OPERISTICO - 16 agosto 2020 - AROLDO di G. VERDI

AROLDO

Melodramma in quattro atti di Francesco Maria Piave, da Stiffelio e da The Betrothed di Walter Scott

Musica di Giuseppe Verdi


Prima rappresentazione: Rimini, Teatro Nuovo, 16 agosto 1857


L’opera è il rifacimento di Stiffelio, del quale conserva in buona parte la trama ma non l’attualità e la scottante vicenda. Scartata l’idea di una parziale rielaborazione, Verdi pensò a un intervento molto più radicale, che prevedeva una diversa ambientazione e soprattutto la trasformazione del protagonista da pastore protestante a crociato inglese di ritorno dalla Terra Santa nella Scozia del XIII secolo. Piave si era rivolto al romanzo di Walter Scott, The Betrothed e, per quasi tutti i nomi dei personaggi, all’Harold, the Last of the Saxon Kings di Bulwer-Lytton. Il rifacimento occupò Verdi più del previsto (dalla primavera del 1856 agli inizi dell’estate dell’anno successivo). La prima rappresentazione inaugurò il Teatro Nuovo Comunale di Rimini e si risolse in un pieno successo, grazie anche a interpreti di valore come Marcella Lotti nei panni della protagonista ed Emilio Pancani in quelli di Aroldo.


LA TRAMA

Atto primo. Sala nel castello di Egberto nel Kent. Il vecchio cavaliere Egberto ha organizzato un banchetto in onore di Aroldo, suo genero, che é appena tornato dalla crociata in Palestina: dall'interno si odono canti che inneggiano alla vittoria di Aroldo sui saraceni. In preda a una forte agitazione, esce dalla sala del banchetto Mina, figlia di Egberto e moglie di Aroldo: mentre il marito era in guerra, gli é stata infedele, lasciandosi sedurre da Godvino, uno degli ospiti del padre; ora che Aroldo é tornato si sente oppressa dal rimorso e prega il cielo perché l'aiuti. La raggiunge Aroldo, accompagnato dal pio Briano, divenuto suo amico inseparabile da quando gli salvò la vita in Palestina. Rimasti soli, Aroldo racconta a Mina come, mentre era via, pensasse continuamente a lei. Queste parole aumentano il senso di colpa di Mina, che scoppia in lacrime. Aroldo si stupisce di non vederle al dito l'anello nuziale e le domanda dove sia: la donna non risponde. Chiamato da Briano, Aroldo esce. Mina resta sola e si abbandona su una sedia con il volto tra le mani. Non visto, giunge Egberto, il quale comprende, dal malessere della figlia, che i suoi sospetti su Godvino sono fondati. Mina decide di scrivere una lettera di confessione al marito, ma è interrotta dal padre, che le consiglia di non rivelare niente ad Aroldo se non vuole farlo morire di dolore. Godvino, vedendo che Mina lo ignora mentre lui la ama ardentemente, ha deciso di scriverle una lettera. Questa viene lasciata in un libro chiuso da un fermaglio, che sta sulla tavola, e di cui egli possiede la chiave. La scena è vista a distanza da Briano, che pensa di riconoscere in Godvino un amico di Aroldo. La sala intanto si va riempiendo di invitati. Tra questi c'è Enrico, il cugino di Mina. Briano, convinto che si stia attentando all'onore di Aroldo, rivela all'amico ciò che ha visto, ma identifica erroneamente l'uomo che ha messo la lettera nel libro con Enrico, che è vestito come Godvino. Aroldo controlla a stento il suo furore. Intanto gli invitati gli si affollano intorno, congratulandosi con lui, ed Egberto chiede al genero di raccontare le gesta di re Riccardo in Palestina. Ma Aroldo preferisce narrare la storia di un uomo che, chiudendo uno scritto in un libro, insidiò l'onore di un amico; una storia simile, prosegue, è raccontata anche in quel libro posto sulla tavola e chiede a Mina la chiave per aprirlo. Gli ospiti sono sconcertati: al rifiuto della donna, Aroldo rompe il fermaglio e cade a terra una lettera. Egberto la raccoglie, ma si rifiuta di consegnarla al genero. Aroldo inveisce contro il vecchio, nonostante Mina lo preghi di rispettarne l'età. Egberto intanto, senza farsi sentire dai presenti, invita Godvino a raggiungerlo più tardi al cimitero per sfidarlo a duello.


Atto secondo. Quella stessa notte Mina, in preda al rimorso, cerca conforto sulla tomba della madre: implorante si rivolge a lei perché l'aiuti a ottenere il perdono da Dio. La sorprende Godvino: nonostante la donna lo inviti a non profanare quel luogo sacro, egli le dichiara il suo amore; Mina lo respinge, chiedendogli di restituire l'anello; all'ostinato rifiuto di Godvino, essa minaccia di dire tutto al marito. Ma irrompe Egberto e impone nuovamente alla figlia di non rivelare ad Aroldo la verità; quindi sfida a duello Godvino: questi dapprima rifiuta di battersi con un vecchio; poi, provocato dai suoi insulti, accetta lo scontro. Attirato dai rumori del combattimento, giunge Aroldo e ordina ai due uomini di deporre le spade. Tentando di farli riconciliare dice a Godvino, più giovane, di gettare per primo la spada, quindi lo disarma e gli stringe la mano. Ma Egberto inorridisce e rivela al genero che ha dato la mano a chi l'ha tradito. Aroldo rimane stupefatto: chiede alla sopraggiunta Mina di discolparsi; ma di fronte all'ostinato silenzio della moglie, afferra la spada di Egberto e sta per assalire Godvino, quando ode dalla chiesa le voci dei fedeli che intonano il Miserere. Giunge quindi Briano e ricorda all'amico che un cristiano ha il dovere di perdonare: trascinandosi ai piedi di una croce, Aroldo cade svenuto.

Atto terzo. Egberto apprende che Godvino è fuggito e ha lasciato alla figlia una lettera in cui la prega di raggiungerlo. Oppresso dalla vergogna per non essere riuscito a vendicarsi, Egberto sta per togliersi la vita, quando giunge Briano a comunicargli che Godvino, catturato, sta per ritornare al castello. Egberto, già pregustando la vendetta, si abbandona a una gioia sfrenata. Entra Aroldo con Godvino: il crociato gli domanda cosa farebbe se Mina fosse libera dal suo vincolo coniugale, ma l'altro non crede possibile una tale evenienza. Aroldo lo fa allora passare in una stanza vicina perché possa ascoltare la conversazione tra lui e sua moglie. Mandata a chiamare, Mina entra: Aroldo dice alla donna che è ormai venuto meno il fondamento della loro unione, cioè l'amore; le porge quindi una richiesta di divorzio da firmare. Essa, in lacrime, dapprima si oppone; poi, irritata dai rimproveri del marito, accetta. Ma ora che non è più suo marito, gli chiede di ascoltare la sua confessione in qualità di giudice: essa è stata indotta all'adulterio con l'inganno, ma in cuor suo gli è rimasta sempre fedele. Aroldo, colpito, è incerto se punire Godvino con la morte. Ma, in quel momento, giunge Egberto con la spada insanguinata: ha ucciso lui il traditore. Briano e Aroldo vanno a pregare in chiesa, mentre Mina invoca nuovamente il perdono divino.

Atto quarto. Valle in Scozia. È sera. Pastori, donne e cacciatori scendono dai monti cantando; anche Aroldo e Briano fanno ritorno alla loro modesta dimora, dove ora vivono lontano dal mondo: la serenità del luogo acuisce per contrasto il tormento di Aroldo, ancora innamorato della moglie. Non appena la campana della chiesa del villaggio suona l'Ave Maria i due uomini si inginocchiano a pregare; entrano quindi in casa. Il levarsi di un forte vento, che agita le acque del vicino Lago Loomond, annuncia burrasca. Scoppia infatti l'uragano, proprio nel momento in cui sta portandosi a riva una barca. Gli abitanti del villaggio si affrettano a gettare una fune per trarla in salvo e, dopo vari sforzi, la barca riesce ad approdare. Da essa scendono Mina ed Egberto. Cercando rifugio, bussano alla porta della casa di Aroldo. Egli apre e, vedendo sua moglie, tenta di respingerla; ma Mina lo supplica di perdonarla. Anche Egberto implora pietà. Ancora una volta Briano ricorda all'amico i suoi doveri cristiani, invitandolo al perdono. Come ispirato dal cielo, Aroldo perdona Mina. I due si abbracciano: la divina legge dell'amore ha trionfato.


La principale causa della debolezza di Aroldo risiede proprio nelle sostanziali modifiche apportate al soggetto: retrodatazione della vicenda e mutato status del protagonista. Infatti, alcuni motivi, scabrosi ma plausibili nell’intreccio originario (per tutti, quello del dissidio interiore tra il dovere evangelico del perdono e il desiderio di vendetta), risultano incomprensibili o addirittura grotteschi nel nuovo canovaccio steso da Piave: in Stiffelio, al culmine della tensione, Lina si rivolgeva «Non allo sposo [...] ma all’uom del Vangelo» e chiedeva di essere confessata; in Aroldo la distinzione risulta improponibile perché il protagonista è un laico. Quanto al divorzio che Aroldo, come Stiffelio, concede generosamente alla moglie, si potrebbe osservare che un cavaliere medievale in presenza di una moglie adultera e rea confessa, avrebbe potuto farsi giustizia da sé con buona pace delle autorità ecclesiastiche. Se Stiffelio appare più compatto e logico, Aroldo è però opera più matura nel linguaggio musicale e nella profondità psicologica dei personaggi. Poiché alla prima rappresentazione dirigeva Angelo Mariani, uno dei più validi direttori della seconda metà dell’Ottocento, Verdi sapeva di poter contare su un collaboratore preparato e scrupoloso. Per questo, compose musica di insolita complessità, come l’episodio corale introduttivo (peraltro più convenzionale del recitativo di Jorg che inizia lo Stiffelio) e il canone “Angiol di Dio”, giovandosi anche del fatto che entrambi gli episodi, prevedendo un coro fuori scena, non dovevano essere eseguiti necessariamente a memoria ma leggendo dalla parte. Anche la tempesta sul lago nell’atto finale rappresenta, sotto il profilo della strumentazione e dell’accurato descrittivismo musicale, una delle pagine più ambiziose concepite da Verdi fino a quel momento. Oltre a ciò, l’impiego di temi ricorrenti (per tutti, il donizettiano tema della tromba nel preludio, che ricompare nell’aria di Aroldo “Sotto il ciel di Siria”) è il segno di un rigore compositivo che nello Stiffelio resta solo accennato (in Aroldo, Verdi utilizza tutti e cinque i motivi presenti nel preludio contro i tre impiegati nello Stiffelio). Alcune delle pagine comuni alle due opere non furono riproposte tali e quali ma, come nel caso del finale primo, sviluppate e non solo da un punto di vista musicale. Il profilo della protagonista femminile divenne ad esempio più maturo e meglio delineato: la sofferta consapevolezza dell’adulterio non è più, come in Stiffelio, intuita nel corso di alcuni brani di assieme ma espressa con suggestiva pregnanza nel corso di un monologo, all’inizio dell’opera e nel già citato dialogo con Aroldo nel terzo atto. Qui, nonostante le maggiori incongruenze, Mina assume uno spessore drammatico che Verdi, prima dell’esperienza di Traviata, forse non avrebbe saputo conferirle. Nonostante il successo della ‘prima’, l’opera non riuscì a inserirsi stabilmente in repertorio e a tutt’oggi non è mai stata rappresentata alla Scala. La prima rappresentazione in tempi moderni, al Maggio musicale fiorentino, risale al 3 giugno 1953.

Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


LA MIA PROPOSTA

La discografia di quest’opera è tra le più scarne dell’intero catalogo verdiano, pur essendo la composizione interessante in più punti e, nello stesso tempo, preparatoria ai grandi capolavori che verranno da lì in poi. Comunque mi sento di ricordare queste tre edizioni:

- Edizione audio diretta da Eve Queler nel 1979 (New York – G. Cecchele, M. Caballé, J. Pons);

- Edizione audio diretta da Fabio Luisi nel 1997 (Firenze – N. Schicoff, C. Vaness, A. Michaels-Moore);

- Edizione video diretta da Pier Giorgio Morandi nel 2003 (Piacenza – G. Porta, V. Damato, F. Vassallo).

 

Dell’edizione newyorkese salvo la Caballé, che canta molto bene, ma i due maschietti principali sembrano qui fuori ruolo e non centrati. L’edizione video di Piacenza è sicuramente interessante per la regia di Pier Luigi Pizzi (e credo che ad oggi sia l’unica registrazione video dell’opera) ma non va al di là di una modestissima routine per quanto riguarda il cast.


L’edizione nel complesso migliore, a mio avviso, pur non avendo grandi punte di eccellenza è quella diretta da Fabio Luisi che fa suonare bene l’Orchestra del Maggio Fiorentino. I cantanti che ha a disposizione sono buoni anche se forse la voce che meglio si accosta alla vocalità verdiana è quella della non eccelsa Vaness. Schicoff è un ottimo tenore che però poco si confà col canto verdiano pur non cantando male. Stessa considerazione nel complesso anche per Michaels-Moore. Di questa edizione l’unico vero interprete verdiano è Roberto Scandiuzzi che canta il ruolo di Briano. Nel complesso però questa è l’edizione che mi sento di proporre per conoscere quest’opera.

 

Di seguito il link per ascoltare l’opera:

https://www.youtube.com/watch?v=eN04vFq9YeQ 


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