TOSCA A TORRE DEL LAGO... RIMANDATA A TEMPI MIGLIORI!!!

 

Grazie allo streaming ho potuto vedere e ascoltare la nuova produzione di Tosca realizzata al Festival Pucciniano di Torre del Lago.

Devo dire che la delusione è stata tanta… ma cerco di andare per ordine, partendo dall’aspetto musicale… di gran lunga quello più importante.


Non nutro una particolare predilezione per le concertazioni di Alberto Veronesi e con questa direzione di Tosca, semmai ne avessi avuto bisogno, ne ho avuto la conferma. La sensazione è stata quella di una direzione “alla buona”, con tempi (soprattutto nel primo atto) lunghissimi, in alcuni casi “sbracati”, che per nulla supportavano l’azione. Non ho trovato nessuna coerenza nelle scelte che ha preso (forse dovute anche alle difficoltà del posizionamento in buca dell’orchestra per rispettare le norme di distanziamento) così come in alcuni momenti la concitazione di attacchi a cantanti e attacchi all’orchestra sembravano dover risolversi in un caos totale. 


Eppure il maestro Veronesi dovrebbe conoscere quest’opera a menadito… all’ascolto non è apparso così. Un po’ meglio il secondo atto rispetto al primo anche se non si è sentito un colore particolare che fosse uno. Il terzo atto è filato via senza nessun afflato e momento da ricordare: personalmente trovo l’inizio dell’atto fino alla romanza di Cavaradossi di una bellezza straordinaria e qui non si è percepito nulla di tutto ciò. Il finale poi, che deve essere abbastanza concitato proprio perché musica e libretto lo esigono, è lento e si arriva alla frase finale di Tosca quasi come una liberazione… ma per dire: “finalmente è finita!”. Insomma una concertazione piatta e banale (sempre nel rispetto della professionalità e tenendo sempre conto che io ho ascoltato l’opera via streaming).

Il cast a disposizione di Veronesi sulla carta è buono, specie nei tre ruoli principali, ma arriva ad avere esiti interpretativi alterni.


La Tosca di Amarilli Nizza è sicuramente una delle più rodate che attualmente ci siano in giro. La cantante, di casa al Festival, conosce ogni nota e ogni gesto (potrebbe cantare questo ruolo anche senza direttore e regista) e per questo riesce ad arrivare alla fine senza grandi problemi. Eppure il suo timbro non è centratissimo, alcuni acuti sono presi non benissimo e certe volte tende ad ingrossare un po’ troppo la voce nel registro centrale. Certo il direttore non la aiuta, allargando i tempi a dismisura in alcuni frangenti e poi staccando un finale di “Vissi d’arte” troppo veloce, togliendo l’occasione alla cantante di poter lasciar correre il fiato sulle note di “perché me ne rimuneri così”.


Amadi Lagha tratteggia un buon Cavaradossi anche se si prende, a mio avviso, un po’ troppe licenze nel primo atto (tempi molto più larghi rispetto a quelli prescritti, così da portare all’effetto-applauso). La sua è una bella voce, con bella propensione all’acuto e con un discreto registro centrale. Le note sostanzialmente le canta tutte ma la sensazione è quella di ascoltare un cantante “vecchia maniera”: metà recita la passa ad aprire le braccia per cercare l’effetto sul pubblico mentre l’altra metà, fortunatamente la passa cercando di fare le cose per bene. Dopo un secondo atto così così ci lascia un buonissimo terzo atto con romanza bissata a suon di richieste.


Devid Cecconi canta bene Scarpia anche se la sua interpretazione non è memorabile. Non aiutato da direttore e regista esegue bene il finale del primo atto (ma nel complesso un “Te Deum” scialbo) mentre si destreggia molto di più nel secondo atto. La sua voce baritonale è molto bella ed espressiva nel registro centrale e un po’ tende ad affievolirsi verso la zona acuta ma nel complesso un discreto Scarpia.

Nei ruoli secondari mi sento di ricordare Claudio Ottino, a mio avviso ottimo Sagrestano, e la bella prestazione di Nicholas Ceragioli come Pastorello. Gli altri, con alti e bassi, rasentano appena la sufficienza.

Veniamo ora all’aspetto visivo.


La scenografia, pressoché statica, è formata da tre grandi oblò (o entrate di tubi… gallerie… boh) che servono da entrata e uscita, con quello centrale che è munito di specchio. In quelli laterali (lo si intravede appena dalla ripresa televisiva) ogni tanto ci sono dei piccoli tableaux vivant, forse per aiutare lo spettatore a capire dove siamo. In effetti, a parte alcune sedie, due inginocchiatoi nel primo atto e nulla più si fa veramente fatica ad immergersi nell’atmosfera di Sant’Andrea della Valle così come in Palazzo Farnese, per non dire di Castel Sant’Angelo. C’è una pedana prospicente l’oblò centrale con specchio che funge da tela di pittura di Cavaradossi (e calpetata un po’ da tutti) cosi come da tavolo di Scarpia e poi luogo dell’esecuzione nel terz’atto. 


Non si capisce bene che cosa voglia dire Stefano Monti (di cui io personalmente ho apprezzato molti spettacoli, alcuni anche un po’ azzardati) allo spettatore, sembra il tutto un’accozzaglia di cose però slegate tra loro. Capisco la normativa sul distanziamento ma tutto questo uso di bastoni per toccarsi alla fine stufa. L’unico bell’effetto è il momento della coltellata a Scarpia con un fascio di luce che illumina la platea ed evoca l’accoltellamento. Troppe cose banali e altre invece incomprensibili. A mio avviso si poteva mettere in piedi uno spettacolo migliore con una scena più sobria ma con idee chiare.

Nel complesso quindi uno spettacolo, musicalmente e visivamente, che poco mi ha soddisfatto.  

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