A BOLOGNA (in tv)... PER ADRIANA CHE PERCORRE GLI ANNI VELOCEMENTE
Ieri sera, dal Teatro Comunale di Bologna ed in prima visione tv, si è
potuto assistere alla nuova produzione di Adriana Lecouvreur di
Francesco Cilea, con la regia di Rosetta Cicchi e la direzione musicale di Asher
Fisch.
L’allestimento era stato inizialmente concepito dalla Cucchi per la sola
scena teatrale, con il pubblico in presenza e l’orchestra in buca nella sua
naturale collocazione ma la pandemia ha cambiato “i piani” e così si è pensato
di sfruttare il più possibile l’intero teatro come un grande set
cinematografico dove la parte principale delle scene è collocata sul
palcoscenico pur non disdegnando alcune sale ed i palchi. L’operazione un po’
si rifà alle modalità già viste nel Barbiere romano con la regia di
Martone e, nel complesso, l’operazione riesce abbastanza bene.
I quattro atti dell’opera sono ambientati in quattro epoche diverse
parigine: il primo è quello classicamente ambientato nel 1730 mentre nel
secondo ci spostiamo nel 1860; il terzo si svolge nel 1930 e l’atto finale ci
porta nel 1968. L’idea della Cucchi è quella di guardare alla protagonista
osservandola da prospettive diverse che, nel concreto, sono epoche diverse e
sono anche sfaccettature diverse della sua stessa personalità (la Cucchi stessa,
in una intervista, parla di Sarah Bernhardt come punto di riferimento dell’Adriana
del secondo atto così come pensa a Greta Garbo per il terzo e Catherine Deneuve
per il quarto). Lo spettacolo fila abbastanza liscio e trova a mio avviso il
culmine proprio nell’atto conclusivo in cui la tragedia umana di Adriana arriva
all’apice. La regista la pensa sola, in un vuoto set cinematografico con l’unico
aiuto e supporto di Michonnet. Le allucinazioni fanno credere alla donna di
vedere e sentire Maurizio che in realtà non c’è più… e così lei muore tra le
braccia del fido amico ringraziando coloro (il pubblico fatto di ombre che
applaudono in fondo al palcoscenico) per cui ha avuto senso la sua vita.
Una simile concezione registica si deve basare su cantanti che sappiano
anche recitare.
In questo nulla da eccepire sulla bravura di Kristine Opolais che mette in campo tutte le sue doti attoriali (supportata senza dubbio dalla bellissima figura)… ma Adriana è soprattutto canto e qui il soprano lettone mostra di non essere totalmente in parte. Gli aspetti più drammatici del personaggio sono caratterizzati ottimamente così come va un plauso alla Opolais per aver offerto un suggestivo “monologo di Fedra” (considerata anche la difficoltà di non essere madrelingua). Purtroppo l’aspetto più melodico della parte è quello che ne risente. Tutto il primo atto è troppo carico nella sua voce e di conseguenza la sua “umile ancella” risulta troppo pesante. In tanti momenti la sensazione è stata quella di ascoltare Tosca piuttosto di Adriana. Peccato… perché la Opolais ha tutte le carte in regola per essere, non solo scenicamente, una ottima Adriana.
Luciano Ganci è un buon Conte di Sassonia anche se non eccelle: la sua
voce è abbastanza corposa e limpida e ci regala un bel primo atto. Nel secondo
cominciano i problemi perché qui Cilea chiede degli accenti e delle specificità
tecniche (le lunghe note acute e legate) che mettono in difficoltà il cantante
romano. Nel quarto atto, complice la scelta registica, canta quasi fuori scena
e si fa un po’ sorprendere da alcune note acute poco precise.
Veronica Simeoni è una buona Principessa di Bouillon che gestisce molto
bene (vocalmente parlando) la sua aria di entrata del secondo atto mostrando il
carattere della donna ma mantenendo una certa morbidezza quando forse dovrebbe
essere più dura. Interessante il duetto con la Opolais che chiude l’atto. Con
il proseguire la voce tende a schiarirsi troppo e a perdere di peso specifico.
Comunque una buona prova.
Chi invece è il vero vincitore dal punto di vista vocale è Nicola Alaimo
che ci presenta un Michonnet a tutto tondo: strepitoso vocalmente e ottimamente
calato anche attorialmente. La sua voce muta con le richieste che il
compositore mette sullo spartito. Una prova di gran classe la sua. Ad oggi il
miglior Michonnet degli ultimi 20 anni.
Poche parole sui cantanti comprimari che, a mio parere, sono di un livello molto basso rispetto agli altri. Tra tutti voglio ricordare le prove opache di Romano Dal Zovo (Principe di Bouillon) e Gianluca Sorrentino (grande caratterista nel ruolo dell’Abate… ma voce quasi inascoltabile).
Per ultima ho lasciato la concertazione di Asher Fisch. La direzione
orchestrale del maestro israeliano è molto al di sotto delle aspettative. La
partitura di Adriana è di una difficoltà immane e qui abbiamo avuto modo
di ascoltare tutti i limiti dell’esecuzione. Direzione didascalica, senza
colori e accenti, in alcuni momenti sovrastante, senza pathos e senza emozioni
in generale. Peccato.
Alla fine possiamo dire che l’operazione del Teatro Comunale di Bologna è stata lodevole… anche se la ciambella non è proprio riuscita con il buco.
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