ALMANACCO OPERISTICO - 3 marzo - CARMEN di G. Bizet
CARMEN
Opéra-comique in
quattro atti di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, dalla novella omonima di Prosper
Mérimée
Musica di Georges
Bizet
Prima
rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 3 marzo 1875
La storia del testo di Carmen, o meglio la storia dei suoi
travisamenti, è lunga quanto la vita del capolavoro di Bizet. La prima
rappresentazione all’Opéra-Comique, il 3 marzo 1875, fu curata dallo stesso
autore, che seguì personalmente tutti gli estenuanti tre mesi di prove, durante
i quali apportò numerosi tagli e modifiche alla partitura originaria, costruita
nello stile comique, cioè con dialoghi recitati alternati alle parti
musicali. Pochi giorni dopo la ‘prima’ (un insuccesso), l’autore pubblicò uno spartito
per canto e pianoforte che modificava la stesura originale in più punti,
tenendo conto sia delle variazioni decise durante le prove che di altri
ripensamenti. Per l’autunno dello stesso anno, Carmen fu inserita nella
stagione di Vienna dove, per consuetudine, non si davano opere del genere comique.
Era perciò necessario preparare una nuova versione in cui i recitativi musicati
sostituissero i parlati, e a questo si accingeva Bizet quando, il 3 giugno di
quell’anno, morì. Della preparazione dell’edizione di Vienna si occupò così
l’amico Guiraud la cui edizione, pubblicata nel 1877, diede all’opera la veste
nella quale fu conosciuta nel mondo. Se a ciò si aggiunge il fatto che per
decenni quasi ovunque fu per lo più adottata la traduzione italiana del libretto,
in ossequio all’idea ottocentesca che il teatro musicale è italiano per
definizione, si ha un’idea di quanti e quali equivoci siano alla base di un
successo e di una popolarità pressoché universali. E non si deve credere che
gli anni del rigore storicistico e della filologia abbiano chiarito il quadro.
La revisione critica (ma sarebbe meglio dire criticata) che il musicologo
tedesco Fritz Oeser pubblicò nel 1964 ha sì il merito di ristabilire
l’autenticità dei dialoghi parlati (per altro già utilizzati in un’edizione
discografica degli anni Cinquanta diretta da Cluytens) ma Oeser, affidandosi
dogmaticamente alla prima partitura autografa, non prende nemmeno in
considerazione i molti e fondamentali ripensamenti voluti dall’autore per le
rappresentazioni di Parigi, ritenendoli solo una conseguenza della mediocrità
artistica e culturale dell’ambiente dell’Opéra-Comique. Il risultato è che, a
tutt’oggi, non esiste una ‘vera’ Carmen, ma varie ipotesi di Carmen.
Atto primo. A Siviglia verso il 1820. Presso la manifattura di
tabacchi, Moralès, capo dei dragoni, osserva l’andirivieni dei passanti.
Giunge, dal suo paese di campagna, Micaëla, alla ricerca del brigadiere Don
José. Le viene detto che José non è ancora arrivato, anche se non tarderà
molto; la giovane quindi si allontana. Una grande animazione accompagna la
comparsa sulla piazza delle ragazze, che escono dalla manifattura per la pausa.
Solo José, giunto nel frattempo, si mostra disinteressato alle giovani: ama
Micaëla e ha promesso alla madre di sposarla. Tutti gli uomini attendono la
comparsa di Carmen, e quando finalmente la bella sigaraia compare le si
stringono attorno (habanera: “L’amour est un oiseau rebelle”). Carmen si
accorge dell’indifferenza di José e per provocarlo, senza proferir parola, gli
lancia un fiore prima di ritornare nella manifattura. José ne è turbato e,
quasi inconsciamente, cela il fiore sotto la giubba. Ritorna Micaëla, consegna
a José una lettera della madre (“Parle-moi de ma mère”) e prima di tornarsene
al paese lo bacia castamente. Grida improvvise s’odono provenire dalla
manifattura. Carmen si è azzuffata con una compagna e l’ha ferita al volto.
Zuniga, tenente delle guardie, l’arresta e ordina a José di condurla in
prigione. Rimasta sola con il brigadiere la donna dà inizio alla sua opera di
seduzione: gli promette amore in cambio della libertà (seguidilla: “Près des
rémparts de Séville”). José, definitivamente irretito, l’aiuta a fuggire.
Atto secondo. Un mese è passato. Nella taverna di Lillas Pastia,
Carmen attende il ritorno di Don José, che è stato imprigionato per averla
lasciata fuggire, danzando con le altre zingare (Carmen,chanson bohème: “Les
tringles des sistres tintaient”). Entra, fra le acclamazioni generali, il
torero Escamillo, che vuole brindare con gli amici (“Votre toast, je peux vous
le rendre... Toréador, en garde”). Egli rivolge qualche frase galante a Carmen,
ma il pensiero della donna è rivolto solo a José, e quando gli amici
contrabbandieri la invitano a unirsi a loro (“Nous avons en tête une affaire”)
per un nuovo colpo, la zingara rifiuta dichiarandosi troppo innamorata per
questo genere di imprese. Giunge finalmente José, uscito di prigione, ma s’ode
una tromba suonare la ritirata e il brigadiere si accinge a far ritorno in
caserma. Grande è allora il dispetto di Carmen, che copre di scherno l’uomo. A
nulla valgono le profferte d’amore di José (“La fleur que tu m’avais jetée”) e
solo l’improvviso sopraggiungere di Zuniga interrompe il loro litigio. Scoppia
una rissa, sedata dall’intervento dei contrabbandieri, e a quel punto José si
vede costretto a unirsi a loro disertando l’esercito.
Atto terzo. La vita fra le montagne non si confà a Don José,
torturato dai rimorsi. Anche il suo rapporto con Carmen non è più quello di un
tempo. La zingara interroga le carte (“Parlez encore, parlez, mes belles”); il
responso è terribile: la morte (“En vain pour éviter les réponses amères”,
Carmen). Micaëla, nel disperato tentativo di redimere l’uomo che ama, giunge
nel rifugio dei contrabbandieri (“Je dis que rien ne m’épouvante”) incitando
Don José a raggiungere la madre morente. L’uomo la segue, non senza aver prima
minacciato Carmen della quale è follemente geloso.
Atto quarto. Di fronte all’arena di Siviglia, il popolo acclama
festante il corteo dei toreri. Anche Carmen, ora innamorata di Escamillo, è fra
la folla. Celato nella confusione generale vi è anche Don José, pazzo di
gelosia. La zingara lo affronta, sola nella piazza deserta poiché tutti stanno
assistendo alla corrida. José implora e minaccia. La vuole tutta per sé. Ma la
donna gli si nega, la sua mancanza di carattere l’ha annoiata, e in segno di
disprezzo gli getta in faccia l’anello che le ha donato. A quel punto, furente
e accecato dalla disperazione, José l’uccide (“C’est toi! C’est moi!”).
In rapporto con la novella di Mérimée da cui la vicenda è tratta, varie
sono le modifiche apportate dai librettisti, con il presumibile contributo di
Bizet stesso: l’introduzione del personaggio di Micaëla, contraltare ‘buono’
(ma la bontà, si sa, è spesso un po’ noiosa) di Carmen; lo spazio più ampio
concesso a Escamillo, nella novella solo accennato, mentre nell’opera è l’oggetto
drammaturgicamente necessario della gelosia di José; e infine l’addolcimento,
per così dire, della caduta morale di Don José, omicida sì, ma solo per un
estremo gesto di autodistruzione (in Mérimée, Don José uccide anche il marito
di Carmen e il tenente). Se la costruzione drammatica di Bizet appare meno
cruda della novella, è tuttavia perfettamente funzionale alla dimensione
teatrale, con una progressione che dal descrittivismo già percorso da presagi
di morte del primo atto giunge, attraverso la disfatta di Don José, all’epilogo
violento e risolutivo. Una progressione drammaturgica che i dialoghi parlati
dell’originale rendono indubbiamente più incalzante e della quale la
caratterizzazione ‘spagnola’ della musica non è accessorio coloristico, ma parte
integrante e necessaria. La Spagna creata da Bizet è infatti, prima ancora che
un luogo geografico (peraltro mai visitato dall’autore), il luogo della
psicologia umana, il luogo della passionalità e dell’istinto, dei conflitti
primari: Amore e Odio, Libertà e Legami, Maschio e Femmina. Ed è in questi
dualismi, in questa doppia connotazione (da un lato una caratterizzata
definizione dell’ambiente e del clima dell’azione, dall’altro un’analisi
psicologica di inedita spregiudicatezza) che va ricercata l’universalità
dell’opera di Bizet e dei due caratteri di Don José e di Carmen. Poiché più che
la sensualità fiammeggiante, pur non disattesa in partitura (come evidenziano
la habanera e la seguidilla), in modo ben più attuale è
l’inafferrabilità di Carmen ad avvincere e legare José, quel suo darsi e
negarsi continuamente a definire il loro rapporto. Le caratteristiche che
superficialmente definiscono il personaggio di Don José, tipico ‘maschio
mediterraneo’ incapace di ricomporre un’immagine della donna che non sia angelo
materno o diavolo tentatore, hanno modo di sgretolarsi nel finale dell’opera.
Nella bellissima (poeticamente non meno che musicalmente) frase «Ah! laisse-moi
te sauver, et me sauver avec toi!» Bizet improvvisamente ci pone di fronte alla
lacerata introspezione di José, finalmente conscio della propria inadeguatezza
a vivere un’esistenza separata da quella di Carmen, tanto da preferire, per
debolezza e disperazione, l’annientamento di entrambi. Analogamente Carmen,
nella fatale scena delle carte funestamente presaghe, appare consapevole del
proprio destino; ma ciò che per José è accettazione passiva, per lei sarà
l’estrema e logica conseguenza di una scelta esistenziale orgogliosamente
anticonformista, che fa della fedeltà verso se stessa la ragione prima della
vita. Purtroppo tale complessità psicologica raramente trova riscontro nella
prassi teatrale corrente. Troppo spesso le interpreti di Carmen ci mostrano,
della zingara inventata da Mérimée, solo la dimensione ancheggiante e rapace,
dimenticando la storica lezione di Maria Callas, dove per la prima volta fu
dato scorgere quanto di audacemente luciferino si celi nel personaggio creato
da Bizet. Escamillo e Micaëla non beneficiano certo (nella musica e nella
drammaturgia) di analogo approfondimento psicologico. Per questi due personaggi
Bizet si muove sui binari di una rassicurante tradizione. Soprattutto Micaëla,
con il suo melodizzare gentile e affettuoso, sembra quasi presa in prestito da
un’opera di Gounod. Anche il suo duetto con Don José, tanto ammirato da Wagner
(mentre invece Nietzsche, grande estimatore di Carmen, lo riteneva forse
il momento meno interessante della partitura), non dice molto di nuovo rispetto
al duetto fra Leila e Nadir ne Les Pêcheurs de perles. Più ‘intrigante’
è invece il personaggio di Escamillo. Sicuramente macho, ma abbastanza
fatuo (per il suo ruolo Bizet prescrive che si canti avec fatuité) per
non apparire troppo convenzionale. Il suo duettino con Carmen verso la fine
dell’opera (“Si tu m’aimes, Carmen”), inoltre, è un’autentica scena di
seduzione in sedicesimo. Un’affocata sensualità, del resto, è il motore primo
dell’opera, come ben dimostra l’invasamento orgiastico della chanson bohème
all’inizio del secondo atto. In questo caleidoscopio di luce, colori e ombre,
Bizet trova anche il modo di incastonare una pagina di rarefatta
contemplazione. Un momento musicale che, leopardianamente, solo in apparenza ha
le tinte bucoliche e serene di un quadretto agreste. Alludiamo all’entr’acte
posto fra il secondo e il terzo atto, con la sua tersa e sospesa luminosità
affidata agli arabeschi dei legni che si stagliano contro il timbro morbido
degli archi. Infine, anche l’uso del Leitmotiv, già sperimentato ne Les
Pêcheurs de perles, troverà la sua massima applicazione in Carmen con
quel ‘tema del destino’ che, dopo la sua folgorante apparizione durante il
preludio, ritornerà nel corso dell’opera variamente rielaborato.
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi
LA MIA PROPOSTA
Capolavoro assoluto di Georges Bozet è, a mio parere, da ascoltare quanto
meno nelle versioni che qui di seguito elenco:
- Edizione audio diretta da Thomas Beecham nel 1958 a Parigi (V. de los
Angeles, N. Gedda, J. Micheau, E. Blanc);
- Edizione audio diretta da Herbert von Karajan nel 1963 a Vienna (L.
Price, F. Corelli, M. Freni, R. Merrill);
- Edizione audio diretta da Georges Pretre nel 1964 a Parigi (M. Callas,
N. Gedda, A. Guiot, R. Massard);
- Edizione audio diretta da Claudio Abbado nel 1977 a Edimburgo (T.
Berganza, P. Domingo, I. Cotrubas, S. Millnes);
- Edizione audio diretta da Michel Plasson nel 2004 a Tolosa (A. Gheorghiu,
R. Alagna, I. Mula, T. Hampson);
- Edizione video diretta da Daniel Barenboim nel 2009 a Milano (A.
Rachvelishvili, J. Kaufmann, A. Damato, E. Schrott).
L’edizione del 1958 si poggia quasi esclusivamente sulla direzione
orchestrale particolarissima (vecchia, ma nel senso migliore del termine) di
Thomas Beecham. Alle prime note del preludio… si capisce subito dove il
direttore inglese vuole portarci. Ed effettivamente lì ci porta: la sua è una
Carmen scintillante, spavalda e, al pari, seducente. In questa operazione ben
si addicono le voci della de los Angeles così come il Don José “chiaro” di
Gedda.
L’edizione diretta da Karajan è la più pomposa versione che io abbia mai
ascoltato. La sua concertazione è ricchissima di colori sgargianti e sensuali.
Il tutto sicuramente perché il quartetto vocale a disposizione di Karajan è
composto da voci forti, ricche e sgargianti. Leontyne Price dona la sua voce
sopranile (come faranno tantissime cantanti) e ricca di armonici ad una Carmen
per nulla scontata. Così possiamo dire anche di Franco Corelli che firma uno
dei migliori Don José della storia del disco. E che dire della giovanissima e
già straordinaria Mirella Freni. Personalmente è la migliore Micaela mai ascoltata.
L’anno successivo Georges Pretre dirige a Parigi la “divina” Maria Callas
che lascia in disco (cosa che non aveva mai fatto in teatro) l’interpretazione
più sensuale (forse assieme alla Berganza) della bella sigaraia di Siviglia. La
sua interpretazione è tutta da ascoltare e gustare, dalla prima all’ultima
nota. Purtroppo non si può dire che sia parimenti sfavillante anche il resto
del cast, con un Gedda al di sotto della sua interpretazione citata sopra e un
Pretre che dirige bene, ma non mette guizzi particolari alla sua concertazione.
Negli anni più vicini a noi anche un altro soprano di chiara fama si è
cimentata nella parte di Carmen. Sto parlando di Angela Gheorghiu, che nel 2004
lascia su disco una buona interpretazione, anche se molto al di sotto delle sue
colleghe che ho appena menzionato. Buono il Don José di Roberto Alagna e molto
interessante la Micaela di Inva Mula. Buona la direzione di Michel Plasson.
L’edizione scaligera del 2009 ci ha portato alla conoscenza di quella che
negli ultimi dieci anni è stata, musicalmente, la Carmen di riferimento: Anita
Rachvelishvili. Splendida la sua interpretazione, aiutata senza dubbio dalla
direzione molto pregnante di Daniel Barenboim. Al suo fianco un altro “asso da
novanta” come Jonas Kaufmann che porta in scena la sua migliore interpretazione
del ruolo di Don Josè (intensissima la sua “La fleur que tu m’avais jetée”).
Non esaltanti gli altri protagonisti, soprattutto la poco incisiva Micaela di
Adriana Damato e l’energico attorialmente ma non vocalmente Escamillo di Erwin
Schrott. Particolarissima poi la regia di Emma Dante.
La registrazione che io preferisco, rispetto a tutte quelle appena
rammentate, è quella registrata al Festival di Edimburgo nel 1977 che vede la
direzione sgargiante e sensualissima di Claudio Abbado (la trovo ancora
migliore di quella scaligera del 1984). Qui la protagonista ha la voce giusta,
e cioè mezzosopranile, per questo ruolo… e si sente. Se poi questa cantante si
chiama Teresa Berganza il connubio è fatto ed ogni nota cantata diventa poesia.
Placido Domingo è senza dubbio il miglior Don Josè degli ultimi trent’anni del ‘900
e qui è nel suo massimo splendore vocale. Ileana Cotrubas è un’ottima Micaela
così come Sherill Millnes è un Escamillo eccezionale.
Ecco il link dove potete
ascoltare la registrazione diretta da Claudio Abbado:
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