ALMANACCO MUSICALE - 16 novembre 2020 - STIFFELIO di G. Verdi

STIFFELIO

Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave, dal dramma Le Pasteur, ou L’Evangile et le Foyer di Émile Souvestre ed Émile Bourgeois

Musica di Giuseppe Verdi

 

Prima rappresentazione: Trieste, Teatro Grande, 16 novembre 1850

 

Piave sottopose a Verdi il soggetto dell’opera nell’aprile del 1850 e nel giugno si trasferì dal compositore, presso il quale ultimò il libretto. Allo stesso periodo risale anche gran parte della composizione della musica, la cui orchestrazione fu invece ultimata, come di consueto per Verdi, nel corso delle prove in teatro. Il soggetto si presentava singolare, per la tendenza al realismo (messa ancor più in risalto da un’ambientazione ottocentesca, al tempo non frequente nel melodramma) e per la mancanza di un normale intreccio amoroso, qui sostituito da una vicenda dominata dalla gelosia e soprattutto dal conflitto tra il senso evangelico del perdono e il desiderio di vendetta. Di qui le difficoltà con la censura, alle quali Verdi si piegò malvolentieri. L’esito della ‘prima’ fu contrastato: parte della critica si schierò con il musicista ironizzando sull’intervento della censura; parte, invece, condannò il soggetto trovandolo sconveniente. L’anno dopo, a Firenze, l’opera giunse sulle scene con il titolo Guglielmo Wellingrode e con un protagonista trasformato addirittura in un primo ministro tedesco. A questo punto Verdi, mal sopportando tali imposizioni, pensò di rifare il soggetto di sana pianta. Tuttavia il progetto fu preso in considerazione solo nella primavera del 1856 quando il musicista iniziò a lavorare ad Aroldo.


LA TRAMA

Atto primo. In Germania al principio del secolo XIX, sulle rive dello Salzbach, presso il castello del conte di Stankar. Stiffelio, alias Rodolfo Müller, capo di una non meglio definita setta assasveriana, già a suo tempo fuggito per le persecuzioni religiose, ha fatto ritorno, dopo la pace, nel castello del suocero Stankar, che ha organizzato una festa di benvenuto. Accolto da famigliari e amici, l’uomo narra un episodio che gli è stato riferito da un barcaiolo: questi percorreva all’alba il fiume quando, da una finestra del castello, scorgeva un giovane che, al culmine di un agitato colloquio con una donna, si gettava nelle acque, perdendo un portafogli (“Di qua varcando sul primo albore”). Stiffelio mostra l’oggetto ai presenti ma, immaginando che l’episodio nasconda qualche tresca amorosa e non volendo accusare nessuno, lo dà alle fiamme. Mentre i presenti commentano l’accaduto, Lina e Raffaele, riconosciutisi nei due amanti, manifestano il loro sgomento. Rimasto solo con Lina, Stiffelio è turbato dal suo comportamento, tanto più quando si accorge che la moglie non porta al dito l’anello nuziale. Stankar, anch’egli insospettito dal comportamento della figlia, la sorprende mentre scrive una lettera di confessione indirizzata a Stiffelio (“Ed io pure in faccia agli uomini”). Per evitare un tale dolore al genero, impone a Lina di distruggerla. Frattanto Jorg ha scorto Raffaele riporre una lettera in un libro, ma poiché esso passa successivamente nelle mani di Federico, cugino di Lina, il sospetto cade su quest’ultimo. Stiffelio, avvertito del fatto, si impadronisce della lettera: ma prima che possa leggerla, Stankar la distrugge. Mentre Stiffelio dà sfogo al suo furore e al suo atroce sospetto, Stankar affronta segretamente Raffaele e lo sfida a duello presso il cimitero.

Atto secondo. È notte. Lina, in preda alla più viva agitazione, si aggira per il cimitero dove, scorta la tomba della madre, si getta in ginocchio implorando il perdono divino (“Ah, dagli scanni eterei”). Sopraggiunge Raffaele, che le dichiara ancora una volta il suo amore. Mentre la donna, pentita, chiede che le venga restituito l’anello nuziale, Stankar li sorprende e inizia a battersi con Raffaele. Stiffelio, richiamato dal clamore, si getta tra i due contendenti per dividerli e, disarmato Raffaele, gli stringe la mano in segno di amicizia. Il gesto suscita lo sdegno di Stankar che, incautamente, rinfaccia a Raffaele la propria improntitudine nello stringere la mano all’uomo che ha tradito. A questo punto Stiffelio vorrebbe vendicarsi; ma Jorg, giunto nel frattempo, gli ricorda la sua missione evangelica e il suo dovere di perdonare. Sopraffatto dall’emozione, Stiffelio perde i sensi.


Atto terzo. Raffaele è fuggito: Stankar, consapevole dell’impossibilità di vendicarsi e sopraffatto dalla vergogna, medita il suicidio. Ma quando Jorg gli rivela che ha convinto l’uomo a ritornare e ad affrontare Stiffelio, esulta al pensiero della futura vendetta. Durante il colloquio con il rivale, Stiffelio gli chiede come si comporterebbe se a Lina fosse restituita la sua libertà. Raffaele rimane perplesso; allora Stiffelio lo fa assistere di nascosto a un colloquio con la moglie, durante il quale le propone il divorzio. Disperata, Lina accetta ma, senza poter nascondere il suo intimo strazio, rivela a Stiffelio il suo amore per lui e la sua debolezza di donna abbandonata, della quale Raffaele ha approfittato (“Non allo sposo volgomi”). Sconcertato, Stiffelio vorrebbe vendicarsi del rivale: ma apprende che Stankar lo ha già ucciso. Sconvolto, e desideroso di fuggire da una casa dove si sono consumati il tradimento e il delitto, Stiffelio si reca a celebrare il servizio liturgico. Nella chiesa, con il cuore straziato e come in delirio, il ministro passa tra i fedeli. Tra questi riconosce anche Lina. Poi, aperto il Vangelo di Giovanni e leggendo il passo dell’adultera e le parole di perdono del Cristo, perdona a sua volta la donna che, tra la commozione dei presenti, cade ai suoi piedi.

 

Insieme a Luisa Miller, l’opera è uno dei primi esempi di dramma costruito attorno a un solo personaggio, del quale sono tratteggiate passioni e debolezze. Verdi era interessato al soggetto, di cui avvertiva la novità, ma dovette scontrarsi con la censura che gli impose numerose modifiche, che finirono per snaturare la bellezza e l’efficacia drammatica del soggetto originario. Da pastore, Stiffelio fu tramutato assai più genericamente in un ‘settario’. Perciò le inquietanti parole «Ministro confessatemi», che Lina indirizza non più al marito ma all’uomo di fede nel duetto del terzo atto, si tramutarono nell’innocua e illogica richiesta: «Rodolfo ascoltatemi». Anche il finale dell’opera assunse un tono generico e perse in incisività. A dispetto di queste gravi limitazioni drammaturgiche, l’opera possedeva varie caratteristiche originali: tra queste, il registro scelto per la parte del protagonista, il cui ruolo di tenore esorbita dalle consuetudini della drammaturgia del primo Ottocento (la sua condizione di marito tradito e di sacerdote lo avrebbe portato a essere piuttosto un baritono o un basso) e anche dal contesto della vocalità verdiana, inaugurando quel registro robusto, dalla tessitura drammatica quasi baritonale, che prefigura già Otello. Dal punto di vista musicale l’opera presenta soluzioni nuove, prima fra tutte il recitativo affidato a Jorg all’inizio dell’opera in luogo del consueto episodio corale, scelta che configura uno dei più radicali tentativi di Verdi di allontanarsi dalle convenzioni melodrammatiche del tempo. Numerose sono le pagine che anticipano esiti espressivi di opere successive, soprattutto quelle appartenenti alla cosiddetta ‘trilogia popolare’: “Ed io pure innanzi agli uomini” prefigura la vocalità di Gilda e certi passaggi del quartetto del terzo atto di Rigoletto; il duetto tra Lina e Stiffelio nel terzo atto lascia già presagire il sofferto e nobile lirismo di Violetta. Non mancano poi pagine strumentali alle quali Verdi riservò una grande cura, come il breve preludio in apertura del secondo atto e l’aria successiva di Lina “Ah, degli scanni eterei”, nella quale è prevista un’orchestrazione per soli archi particolarmente curata che ottiene, nelle parole di Julian Budden, «un effetto complessivo di morbido fulgore».


Dopo l’avvento sulle scene di Aroldo, Stiffelio fu ritirata dall’autore che, consapevole della difficoltà di imporre il vecchio soggetto, aveva lavorato sul preesistente autografo, tagliando e sostituendo a mano a mano che progrediva nel rifacimento. Per l’edizione di Parma (29 dicembre 1968), che segna il definitivo ritorno sulle scene dell’opera, si è quindi dovuto ricorrere a due manoscritti non autografi: una partitura del Guglielmo Wellingrode e una di Stiffelio, entrambe conservate nell’archivio del Conservatorio di Napoli. Nel 1985 il Teatro La Fenice ha proposto l’opera insieme ad Aroldo, in un ideale e suggestivo confronto; e nel ‘93, dopo la pubblicazione dell’edizione critica curata da Kathleen Kuzmick Hansell per conto della University of Chicago Press e di casa Ricordi, il Covent Garden l’ha per la prima volta presentata in Inghilterra. Nel 1995 Stiffelio è giunto infine alla Scala, dove non era mai stato rappresentato, diretto da Gianandrea Gavazzeni e con José Carreras nel ruolo del protagonista.

Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi

 

LA MIA PROPOSTA

Il catalogo delle edizioni di quest’opera risente inevitabilmente della scarsa circolazione della stessa anche se, a mio parere, al suo interno ha dei bellissimi momenti. Io ricordo queste edizioni:

- Edizione audio diretta da Lamberto Gardelli nel 1979 a Vienna (J. Carreras, S. Sass, M. Manuguerra);

- Edizione audio/video diretta da James Levine nel 1993 a New York (P. Domingo, S. Sweet, W. Chernov);

- Edizione audio diretta da Gianandrea Gavazzeni nel 1995 a Milano (J. Carreras, K. Esperian, V. Chernov).


L’edizione registrata al Metropolitan di New York vede una splendida direzione orchestrale di James Levine, sempre attentissimo al dettame verdiano. Placido Domingo è un buon Stiffelio ma sicuramente questo è uno dei suoi ruoli meno riusciti. Sharon Sweet è una buona Lina che però non entusiasma. Molto buono lo Stankar di Vladimir Chernov.


L’edizione scaligera del 1995 è un ricordo a me molto caro perché è stato il mio primo approccio con quest’opera (ascoltata alla radio la sera della prima rappresentazione). Gavazzeni dirige con amore e passione la partitura di Verdi così come sono generosi i cantanti: Josè Carreras è impegnato in uno dei ruoli che anche per suo merito sono ritornati alla ribalta… ma la voce non è più quella degli anni d’oro. Molto interessante la Lina di Kallen Esperian così come buono, ancora una volta, è lo Stankar di Vladimir Chernov.


L’edizione che però mi sento di consigliare è quella del 1979 che vede una buona direzione di Lamberto Gardelli (forse un po’ al di sopra della sua media normale) e un Josè Carreras nel suo massimo splendore che canta con generosità e passione. Sylvia Sass è una buonissima Lina (non entusiasmante ma… averne di cantanti così al giorno d’oggi) così come è molto interessante lo Stankar di Matteo Manuguerra.

 

Di seguito il link per ascoltare l’opera con protagonista Josè Carreras: 

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