ALMANACCO OPERISTICO - 6 novembre 2020 - ADRIANA LECOUVREUR di F. Cilea

ADRIANA LECOUVREUR

Opera in quattro atti di Arturo Colautti, dalla commedia di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé

Musica di Francesco Cilea

 

Prima rappresentazione: Milano, Teatro Lirico, 6 novembre 1902

 

Adriana Lecouvreur nacque grazie all’intraprendenza di Edoardo Sonzogno, l’instancabile editore della ‘Giovane Scuola’. Affidando a Cilea la storia della celebre attrice ammirata da Voltaire, amata dal conte Maurizio di Sassonia e morta prematuramente (avvelenata, si disse, da una rivale), Sonzogno sperava di ripetere il successo dell’Arlesiana (1897). Per il libretto si ricorse ad Arturo Colautti, che aveva appena dato a Giordano il personaggio di Fedora (1898), e per la vicenda ci si ispirò a una commedia di Scribe e Legouvé, dove i protagonisti non sono che una pallida eco delle figure reali e l’intrigante e privo di scrupoli Maurice diventa un romantico uomo d’onore. Colautti fu abile nel costruire un testo adatto alle caratteristiche di Cilea, offrendo spunti sia alla sua vena lirico-elegiaca sia al suo gusto per il divertissement settecentesco. Alla prima rappresentazione, con un cast che comprendeva Enrico Caruso (Maurizio), Angelica Pandolfini (Adriana) e Giuseppe De Luca (Michonnet), l’opera ebbe l’accoglienza che l’editore si aspettava. Ultimo lavoro importante del compositore calabrese – che di lì a pochi anni abbandonò il melodramma a causa del temperamento schivo, del perfezionismo maniacale e della riluttanza a esperire nuove strade musicali di cui pure sentiva la necessità – Adriana Lecouvreur è entrata a far parte del repertorio internazionale e oggi compare spesso nei cartelloni teatrali.


LA TRAMA

Atto primo. Parigi, 1730. Nel foyer della Comédie Française gli attori si preparano ad andare in scena. La Jouvenot, in vesti orientali, dà gli ultimi tocchi all’acconciatura mentre la Dangeville, adagiata su un canapé, è già diventata la civettuola Lisetta diFollie d’amore. Vicino a un caminetto, sormontato dal busto di Molière, Quinault sta indossando un sontuoso turbante; a un tavolo da gioco, in costume da Crispino, Poisson controlla il trucco in uno specchio. Confuso tra comparse, macchinisti e servi di scena, Michonnet si sposta trafelato dall’uno all’altro attore, esaudendo ogni capriccio. Nel trambusto non passa però inosservato l’ingresso del principe di Bouillon, «il mecenate della Duclos», accompagnato dall’abate Chazeuil, «il ninnolo della moglie», generosi di galanterie. Intanto, da una porta laterale, con il copione tra le mani, appare la Lecouvreur negli abiti orientali della Rossana delBajazet: «splendida, portentosa, musa, diva, sirena» esclamano gli uomini. Le donne voltano dispettosamente le spalle. Lei, con sprezzatura da primadonna, si schermisce (“Io son l’umile ancella”) e si apparta con Michonnet, che tenta invano di rivelarle il suo amore. Adriana è distratta da ben altri pensieri: la recita che l’aspetta e un «semplice alfiere», appena ritornato dalla guerra, sotto cui si cela il conte Maurizio di Sassonia. Inaspettatamente il giovane raggiunge Adriana nel foyer e con una dichiarazione appassionata (“La dolcissima effigie”) ottiene un appuntamento al termine della rappresentazione. In pegno l’attrice gli dona le violette che ha appuntato sul seno. Ma dietro le quinte si tessono trame diverse. Intercettato un biglietto della Duclos con un invito a Maurizio per la serata, il principe decide di smascherare l’amante organizzando una festa nel villino di sua proprietà scelto per il convegno. Ignora che non la sua protetta ma sua moglie ha scritto al conte di Sassonia, sempre pronto a rispondere ai richiami della principessa per nobili ragioni di Stato. Così dopo lo spettacolo, dove Adriana trionfa nonostante il dolore per l’improvviso diniego di Maurizio, tutti si dirigono al ricevimento, ciascuno seguendo i propri percorsi.


Atto secondo. Il ‘nido’ della Duclos alla Grange Batelière. Seduta a un tavolino, nel chiarore lunare che dalla Senna attraversa il giardino e si diffonde nel salotto, la principessa di Bouillon aspetta trepidante il conte Maurizio (“Acerba voluttà”), che si presenta in ritardo e con violette profumate tra i bottoni. Soltanto l’offerta del mazzetto convince la scomoda amante a mettere da parte i sospetti per concentrarsi sulle questioni importanti. Le notizie sono negative: nemici potenti contrastano l’ascesa del conte al trono di Polonia e vogliono l’arresto del pretendente. Maurizio progetta di fuggire, la donna, gelosa, lo trattiene. Il giovane implora comprensione (“L’anima ho stanca”) ma, a rendere più difficile il distacco, arriva inaspettato il principe, convinto di avere colto in flagrante la Duclos. Fortunatamente la principessa riesce a nascondersi e l’imbarazzo si spegne in una complice stretta di mano tra i due uomini. Intanto, mentre Chazeuil dispone per la cena, Adriana incontra, felicemente sorpresa, il suo alfiere, che le si mostra nella vera identità. I due si scambiano nuove promesse d’amore, di brevissima durata. Il maligno abate rivela alla Lecouvreur l’esistenza di un’altra donna, lasciandole intendere che si tratta della rivale Duclos. Maurizio non ha bisogno di fare appello ad arti seduttorie per convincere Adriana della propria buonafede: la donna desidera a tal punto credergli che si offre di aiutarlo. E sarà lei, in incognito, a liberare dal nascondiglio l’«amante per politico disegno», favorendone la fuga attraverso il giardino. L’incauta principessa perde però un braccialetto, che finisce fatalmente nelle mani di Adriana.

Atto terzo. La galleria dei ricevimenti al palazzo di Bouillon. Alle pareti specchiere e grandi ritratti, nel centro un palcoscenico con il sipario abbassato. Mentre i valletti completano i preparativi per una nuova festa, la principessa di Bouillon, in abito da gran gala, si aggira per la sala inquieta. La sua ignota salvatrice si è trasformata nel suo tormento: chi sarà? Maurizio l’amerà come lei dice? Nemmeno le facezie dell’abate riescono a placare la sua ansia e quando la Lecouvreur, ospite d’onore della serata, fa il suo ingresso in sala, la principessa ha un cattivo presentimento. Senza esitare, gli occhi fissi su Adriana, racconta di un duello in cui Maurizio sarebbe stato ferito e le sue illazioni trovano conferma. L’attrice scolora, perde le forze, ma poco dopo, vedendo l’ignaro e sorridente Maurizio, è a sua volta assalita dai dubbi: la principessa è forse la fuggitiva? Su richiesta dei presenti, il conte è costretto a esibire le sue prodezze militari (“Il russo Mencikoff”) prima che il principe annunci il balletto: un ‘Giudizio di Paride’ corredato di dee e di amorini, di ninfe e di pastori frigi con consegna rituale della mela alla padrona di casa. Alle squisitezze mitologiche gli invitati sembrano però preferire i segreti dell’alcova: a chi erano destinate le violette? Di chi è il bracciale trovato in giardino? Ingenuamente, Adriana e la principessa alimentano i pettegolezzi, la prima declamando un monologo di Fedra in cui si accusano «le audacissime impure, cui gioia è tradir», la seconda raccogliendo la provocazione e giurando, in cuor suo, vendetta.


Atto quarto. Un salottino di casa Lecouvreur al tramonto di un giorno di marzo. Michonnet, amico fedele, è venuto a trovare Adriana. Incapace di reggere agli intrighi e ai tradimenti, delusa e sfiduciata, l’attrice ha deciso di abbandonare le scene e passa il tempo a letto, avvolta da una cupezza che nessuno riesce a rischiarare. Una sola medicina potrebbe guarirla: Maurizio. Per questo Michonnet, vincendo le proprie resistenze, lo manda a chiamare. Anche i soci della Comédie non si rassegnano a perdere la loro primadonna e irrompono in casa sua festosi e carichi di doni. A poco a poco Adriana si lascia contagiare dall’allegria dei colleghi e promette che tornerà a recitare. All’esultanza degli amici si unisce anche la cameriera, che porta alla Lecouvreur un cofanetto di velluto cremisi appena recapitato. Il biglietto che lo accompagna è del conte di Sassonia. Nascondendo l’emozione, l’attrice distrae gli amici e si precipita verso il regalo: lo scruta, lo apre e d’improvviso, colta da malore, vacilla. Michonnet, che le è rimasto vicino, la soccorre e crede di capire: nella scatola, restituite al mittente, ci sono le violette. Adriana si dispera (“Poveri fiori”), ne annusa a lungo il profumo, poi le getta con rabbia nel caminetto. Intanto Maurizio, che non ha inviato alcun cofanetto ma ha subito risposto all’appello di Michonnet, entra nella stanza. È evidente che Adriana soffre. Lui le chiede perdono, la prega di sposarlo, si abbracciano. Ma la fine che li aspetta è diversa da quella che per un attimo hanno sognato. Il volto terreo, le pupille sbarrate, il corpo percorso da tremori, Adriana comincia a vaneggiare e poco dopo muore tra le braccia di Maurizio, vinta da quelle violette che qualcuno, forse la principessa di Bouillon, aveva avvelenato.


La macchinosità del libretto, retaggio dell’aggrovigliato intreccio di Scribe e Legouvé, e le incongruenze della trama (dovute a tagli incauti, quali, dalla prima versione, l’utile accenno a una polvere letale nota alla principessa e, dalla seconda, riferimenti chiarificatori ai gioielli della regina menzionati nel quarto atto), non hanno impedito a Cilea di fare di Adriana Lecouvreur un’opera compiuta, apprezzabile per finezza di invenzione melodica e per eleganza di scrittura orchestrale. Distinguendosi dalle consuetudini del verismo, nel cui alveo è stata spesso ricondotta, la partitura si astiene dall’enfasi anche nei momenti più drammatici della vicenda, ad esempio nella lunga sequenza finale, stilisticamente accostabile alle ‘scene di pazzia’ della tradizione operistica italiana. Meno convincente risulta invece la ripetizione dei temi (tra i più ricorrenti quelli ‘di Adriana’, ‘della Duclos’, ‘di Michonnet’, ‘delle violette’ e ‘dell’amore’), efficaci al loro apparire ma non adeguatamente elaborati per sostenere le numerose riprese cui vengono sottoposti. La figura della protagonista e il pathos delicato che Cilea le ha donato hanno sempre attratto numerose primedonne della lirica, da Mafalda Favero a Maria Caniglia, da Magda Olivero a Renata Tebaldi, da Renata Scotto a Raina Kabaivanska.

Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini&Castoldi

 

LA MIA PROPOSTA

Il catalogo delle edizioni audio/video di quest’opera è abbastanza corposo (una settantina le edizioni uscite tra i vari supporti tecnologici) e in primis mi sento di ricordare queste:

- Edizione audio diretta da Mario Rossi nel 1959 a Napoli (M. Olivero, F. Corelli, G. Simionato, E. Bastianini);

- Edizione audio diretta da James Levine nel 1977 a Londra (R. Scotto, P. Domingo, E. Obraztsova, S. Milnes);

- Edizione audio diretta da Richard Bonynge nel 1988 a Cardiff (J. Sutherland, C. Bergonzi, C. Ciurca, L. Nucci);

- Edizione video diretta da Gianandrea Gavazzeni nel 1989 a Milano (M. Freni, P. Dvorsky, F. Cossotto, A. Cassis).

 

L’edizione diretta da James Levine trova in Renata Scotto una buonissima Adriana, cantata bene ma per non entusiasmante rispetto ad altri ruoli che il soprano ligure ha esaltato sia in registrazione che in video. Domingo è un buon Maurizio (qui nel fiore della sua carriera) così come sono molto interessanti la Obraztsova e Milnes. Nel complesso però trovo che ci siano sul mercato edizioni migliori.


Quella diretta da Richard Bonynge, per esempio, la trovo eccezionale dal punto di vista della concertazione (sinceramente non l’avrei mai detto… ma dopo averla ascoltata ho dovuto ricredermi). La Sutherland personalmente non mi entusiasma perché la trovo troppo “dura” vocalmente per il personaggio mentre Bergonzi riesce a fraseggiare molto bene nel ruolo del conte di Sassonia. Molto interessante il Michonnet di Nucci e scarsa (mio parere personalissimo) la Principessa della Ciurca.


Dal punto di vista direttoriale l’unico che può scalzare dal primato Bonynge è senza dubbio Gianandrea Gavazzeni che in questa registrazione live alla Scala dirige in maniera straripante. È un repertorio questo che gli era particolarmente congeniale e, seguito da un’orchestra in stato di grazia, ci dimostra ancora una volta la sua straordinaria personalità. Mirella Freni è un’ottima Adriana che gioca tutto sulla bellezza della sua linea di canto. Sanguigna e veemente la Principessa di Bouillon di Fiorenza Cossotto, sicuramente in declino vocale ma capace sulla scena di portare un personaggio a tutto tondo. Buoni Dvorsky e Cassis.


Un’opera come Adriana Lecouvreur si basa quasi tutta sulle voci… e allora io non posso che preferire, tra le edizioni che ho citato, quella diretta da Mario Rossi (ottima direzione di routine… ce ne fosse oggi così!) a Napoli con quattro protagonisti che definire stratosferici sarebbe già poco. Magda Olivero è per me Adriana: ogni nota cantata e anche le pause sono un continuo cesello di bravura (prestazione ottima dall’inizio alla fine). Franco Corelli è un Maurizio ideale, per la bellezza e il portamento della voce. Giulietta Simionato è una Principessa di Bouillon impareggiabile e Ettore Bastianini rende il personaggio di Michonnet un protagonista al pari degli altri. Insomma… per me questa è la migliore edizione in circolazione.

Ho tralasciato alcune grandi interpreti di Adriana come, per esempio, Raina Kabaivanska, Renata Tebaldi e Daniela Dessì… non me ne vogliano ma la Olivero batte tutte!!!

 

Di seguito il link per ascoltare l’opera nell’edizione registrata a Napoli nel 1959:


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