ALMANACCO OPERISTICO - 20 novembre 2020 - FIDELIO di L. van Beethoven
FIDELIO
(Leonore)
Opera in due atti
di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke, da Léonore di
Jean-Nicolas Bouilly
Musica di Ludwig
van Beethoven
Prima
rappresentazione: Vienna, Theater an der Wien, 20 novembre
1805 (seconda versione: Theater an der Wien, 29 marzo 1806)
L’unica opera di Beethoven ebbe come fonte un dramma di Jean-Nicolas
Boully rappresentato nel 1798 con musica di Pierre Gaveaux, un testo cui negli
stessi anni attinsero Ferdinando Paër (?Leonora) e Giovanni Simone Mayr
(L’amor coniugale, Padova 1805). Apparteneva a un genere assai diffuso
nella Francia degli anni della rivoluzione e nel decennio seguente, la pièce
à sauvetage in cui gli eroi positivi, i rappresentanti delle forze del
bene, trionfano dopo aver subito ingiuste persecuzioni e dopo romanzesche
peripezie, trovando alla fine salvezza in una situazione di grave pericolo
grazie a un provvidenziale colpo di scena, da intendersi non come semplice
effetto teatrale, ma come affermazione ottimistica di una fiducia nei valori
della giustizia e della ragione. Inoltre la vittoria delle forze del bene vede
uniti personaggi di classi sociale diverse, di estrazione nobile e plebea. Fra
i musicisti che scrissero opere legate a questa drammaturgia Luigi Cherubini
(di cui fra l’altro a Vienna nel 1802 furono rappresentate Lodoïska e Les
deux journées) fu uno dei più stimati da Beethoven. Dopo un tentativo di
collaborazione con Schikaneder, lasciato cadere, Beethoven trovò
significativamente nell’ambito di questo gusto teatrale francese le premesse
per la propria unica opera. La prima versione, su un libretto di Joseph
Sonnleithner che si attenne abbastanza fedelmente a Bouilly, fu composta nel
1804-5 in tre atti e andò in scena il 20 novembre 1805 nella Vienna occupata
dalle truppe francesi, in assenza dei maggiori sostenitori di Beethoven: fu
rappresentata solo tre volte. Con difficoltà Beethoven si lasciò persuadere a
compiere alcuni tagli e a ripresentare l’opera in due atti, il 29 marzo 1806;
questa volta fu un dissenso con il direttore del teatro che indusse Beethoven a
ritirare quasi subito la partitura. Quando nel 1814 tre cantanti (fra i quali
J.M. Vogl, che sarebbe divenuto amico e interprete di Schubert, e che cantò la
parte di Pizarro) proposero a Beethoven una ripresa, egli sentì la necessità di
una rielaborazione, per il cui libretto ebbe l’aiuto di Georg Friedrich
Treitschke. Nacque così la versione definitiva, la cui ouverture fu la quarta
composta da Beethoven per il Fidelio. Nel 1805 era stata eseguita
l’ouverture nota con il nome di Leonora n. 2, nel 1806 la Leonora n.
3: l’una e l’altra sono una sintesi del percorso dell’opera
dall’oppressione del carcere di Florestano ai provvidenziali squilli di tromba
all’impeto liberatorio conclusivo, ed ebbero grande fortuna come pagine
orchestrali a sé stanti (furono fra quelle di Beethoven in cui si vide una
anticipazione del poema sinfonico); ma proprio per la loro grandezza furono
forse giudicate da Beethoven inadatte a iniziare un’opera le cui prime scene
presentano un carattere di commedia borghese e fungono da premessa e quasi
piedistallo al nucleo drammaturgico centrale.
LA TRAMA
Atto primo. In una prigione Marcellina, la figlia del carceriere
Rocco, è corteggiata da Jaquino, che non vuol capacitarsi dell’improvviso
mutamento dei sentimenti della fanciulla. Marcellina infatti non lo prende più
in considerazione da quando ha cominciato a lavorare nel carcere Fidelio.
Questi è in realtà Leonora, moglie di Florestano, che per ritrovare il marito
misteriosamente scomparso va a cercarlo nel carcere governato dal suo peggior
nemico, Pizarro, e per penetrarvi ha dovuto travestirsi e conquistarsi la
fiducia del carceriere Rocco. Rimasta sola, Marcellina canta in un’aria il suo
amore per Fidelio e il desiderio di rapide nozze con lui (“O wär ich schon mit
dir vereint”). Entrano Rocco e Leonora/Fidelio, il cui zelo viene inteso dal
padre di Marcellina come un segno d’amore per la figlia. In un mirabile
quartetto a canone (“Mir ist so wunderbar”) Marcellina, Leonora, Jaquino e
Rocco esprimono i loro diversi sentimenti, accomunati dalla musica in un clima
di sospesa stupefazione. Rocco raccomanda a Marcellina e Fidelio, che considera
promessi sposi, di badare anche al denaro, sempre necessario, e accoglie con
fiducia e favore la proposta di Fidelio di aiutarlo nei lavori più pesanti del
carcere, anche nei sotterranei (dove Leonora ha il sospetto che possa trovarsi
il marito Florestano). Al suono di una marcia entra Pizarro, che riceve una
lettera in cui viene avvertito dell’imminenza di una ispezione. Pizarro decide
di uccidere il prigioniero nascosto nei sotterranei e pregusta la vendetta e
l’assassinio nella sua aria con coro (“Ha, welch ein Augenblick”). Chiede a
Rocco di fargli da sicario e, allo sdegnato rifiuto del vecchio carceriere, gli
ordina di preparare la tomba per il misterioso prigioniero del sotterraneo, che
egli stesso ucciderà. Leonora, che ha ascoltato di nascosto il loro dialogo,
inorridisce per i propositi di Pizarro; ma si sente rasserenata dalla speranza
(recitativo accompagnato e aria “Abscheulicher, wo eilst du hin?... Komm,
Hoffnung”). Convince poi Rocco a concedere ai prigionieri di uscire dal
carcere: il finale del primo atto (“O welche Lust, in freier Luft”) comincia
con il coro dei prigionieri, felici di respirare finalmente l’aria libera.
Pizarro è furioso per l’iniziativa di Rocco, e fa di nuovo chiudere i
prigionieri, che si congedano mestamente dalla luce del sole.
Atto secondo. Florestano, poiché osò «dire audacemente la verità»,
è incatenato in un oscuro carcere sotterraneo dai «giorni della primavera della
vita» (introduzione e aria “Gott, welch Dunkel hier/ In des Lebens
Frühlingstagen”); ma è serenamente consapevole di aver fatto il proprio dovere.
Nella seconda sezione dell’aria (completamente rifatta nel 1814) descrive una
visione: Leonora come un angelo lo conduce alla libertà. Esausto, sviene.
Sopraggiungono Rocco e Leonora/Fidelio per preparare la tomba come ha ordinato
Pizarro (melologo e duetto). Florestano si riprende, interroga Rocco, e viene
riconosciuto da Fidelio, che ancora non può rivelarsi; ma ottiene di dargli il
conforto di un po’ di pane e di vino. Florestano può solo promettere una
ricompensa in un mondo migliore, in una pagina di intensità quasi religiosa
(terzetto “Euch werde Lohn”). Giunge Pizarro per compiere l’assassinio, e nel
quartetto (“Er sterbe”) si rivela a Florestano prima di colpirlo. Ma Leonora si
interpone e a sua volta si fa riconoscere. Superata la sorpresa, Pizarro
vorrebbe uccidere lei insieme con Florestano; ma è fermato da Leonora che lo
minaccia con una pistola. Si odono intanto gli squilli di tromba che annunciano
l’arrivo del ministro. Pizarro, seguito da Rocco, deve andare a riceverlo;
erompe la gioia di Leonora e Florestano (duetto “O namenlose Freude”). Nel
finale, nel cortile del carcere, Don Fernando, il ministro, annuncia un
messaggio di libertà e fratellanza. Rocco richiama la sua attenzione sulla
sorte di Florestano, che Fernando riconosce con stupore. Pizarro è arrestato, e
a Leonora stessa tocca il compito di togliere le catene al marito. Coro e
solisti partecipano alla gioiosa celebrazione finale.
La tormentata genesi del Fidelio rivela il percorso con cui nella
sua unica esperienza operistica Beethoven giunse a impadronirsi del genere,
piegandolo alle esigenze della propria concezione sotto il segno di una
incandescente tensione etica e inventiva. La versione del 1805 era più vicina
al testo di Bouilly e presentava un respiro formale più dilatato (come si
conveniva al musicista che nello stesso periodo aveva composto l’Eroica),
mentre è più evidente, nella versione 1814, un’aspra tensione drammatica che
non tollera indugi. Tra i mutamenti più rilevanti vi sono quelli che riguardano
il rapporto tra il nucleo ideale, alto e tragico, della vicenda, il conflitto
tra la coppia Leonora-Florestano e Pizarro, e la dimensione patetica,
commovente di commedia borghese che con esso si intreccia (con gli equivoci
sentimentali di Marcellina, Jaquino e Fidelio). Nella versione definitiva
Marcellina e Jaquino scompaiono quasi del tutto dopo le prime scene, e
l’entrata di Pizarro segna una svolta netta, come se la commedia borghese delle
prime scene servisse da premessa alla tragedia (che conserva comunque,
attraverso il personaggio di Rocco, il collegamento con l’altra sfera e
l’unione di classi sociali diverse). Per la prima volta nell’aria di Pizarro,
dal carattere non convenzionale, l’orchestra si scatena con selvaggia violenza,
mentre la declamazione vocale rivela una incisiva intensità. Seguono il cupo
duetto in cui Pizarro cerca di coinvolgere Rocco nell’assassinio di Florestano
e subito dopo l’aria di Leonora, preceduta da un efficacissimo recitativo
accompagnato che fu aggiunto nel 1814 e che comincia con parole di orrore
rivolte idealmente a Pizarro. Questo recitativo non sarebbe stato pensabile nel
1805, perché nella prima versione fra i propositi omicidi che Pizarro confida a
Rocco e l’aria di Leonora si inseriva (come in Bouilly/Gaveaux) un amoroso
duetto tra Marcellina e il falso Fidelio, in cui si parla di gioie coniugali
coronate da tanti bambini. Nel 1806 Beethoven non ne aveva ancora deciso la
soppressione; ma lo aveva spostato in modo da accostare il duetto Pizarro-Rocco
e l’aria di Leonora. Nel 1814 tagliò il duetto Marcellina-Fidelio, valorizzando
l’aria di Leonora con l’inserimento del nuovo recitativo accompagnato. Carl
Dahlhaus ebbe a osservare che si conciliano nel Fidelio generi teatrali
diversi, e che la felicità privata e l’idillio borghese sognato da Marcellino
non creano contraddizione con la tensione etico-utopica della vicenda di
Leonora e Florestano. Tuttavia giovano alla definizione del personaggio di
Leonora la maggior linearità ottenuta cancellando il bamboleggiamento e il
gioco dell’ambiguità sessuale nel duetto con Marcellina, e inoltre la
contrapposizione diretta tra i feroci disegni di Pizarro e l’invocazione alla
speranza, con l’energia, aliena da ogni tenero abbandono sensuale, della
seconda parte dell’aria (“Ich folg’ dem innern Triebe”): Berlioz aveva
affermato che nuoceva alla fortuna del Fidelio in Francia «la castità
della sua melodia».
Fra gli interventi di maggior rilievo nella revisione del 1814 occorre
citare ancora, almeno, la trasformazione della parte conclusiva del finale
primo (con l’eliminazione di un’aria di Pizarro e l’inserimento del secondo
coro dei prigionieri, il mesto congedo dalla luce del sole), l’aggiunta della
visionaria, febbrile sezione conclusiva all’aria di Florestano, la radicale
rielaborazione del finale secondo, i tagli e i mutamenti della situazione
drammatica nel duetto che lo precede. Solo nel 1814 la gioia del duetto
Leonora-Florestano (robustamente scorciato e privato del recitativo precedente,
così da esplodere con intensità folgorante) si accompagnava alla certezza della
salvezza; nella versione 1805 (come in Bouilly) la soluzione della vicenda
restava poco chiara e sospesa, e si definiva compiutamente solo nel finale
(senza alcun cambiamento di scena); mentre nella versione 1814 il finale, non
più necessario allo scioglimento della vicenda, ne celebra il significato in un
grandioso rito che ha luogo all’aperto. Le parole di Don Fernando sulla libertà
e sulla fratellanza si leggono solo nella terza versione, in cui i materiali
del finale secondo sono rielaborati.
Formalmente il Fidelio ha l’andamento del Singspiel,
alterna cioè numeri chiusi a parti recitate, come accadeva nella Léonore
di Bouilly e Gaveaux e nel Flauto magico di Mozart, antecedente
fondamentale (e a Beethoven carissimo) nella storia dell’opera tedesca. Accanto
alle voci, l’orchestra è fra i protagonisti della partitura del Fidelio:
a partire dall’aria di Pizarro ci si lascia alle spalle la dimensione
stilistica sostanzialmente tardo-settecentesca delle cordiali pagine ‘leggere’
dell’inizio, per dare spazio a un respiro sinfonico inaudito (anche se ha un
precedente nell’intenso impegno sinfonico che Beethoven ammirava nel teatro di
Cherubini), mentre l’ardua scrittura vocale pone spesso a dura prova gli
interpreti, in situazioni al limite per l’urgenza della tensione espressiva e
per il severo rifiuto di ogni edonismo. Rimproverare a Beethoven questi
caratteri della scrittura vocale è assurdo, quanto sottolineare come un limite
l’univocità della psicologia dei personaggi: anche in questi aspetti si rivelano
la singolarità del rapporto del compositore con il teatro musicale e i
caratteri che fanno della tensione etico-utopica del Fidelio un fatto
unico nella storia dell’opera, sebbene appartenga a un contesto storico ben
definito, di cui si sono ricordate come componenti essenziali il teatro di
Mozart e quello francese della fine del Settecento. È anche significativo che
in esso siano potute confluire musiche da Beethoven composte in precedenza: il
duetto di Leonora e Florestano proviene da un terzetto scritto per il progetto
del Vestas Feuer (Il fuoco di Vesta, 1803) su testo di Schikaneder, e il
momento culminante del finale secondo, quello sublime in cui Leonora toglie le
catene a Florestano (“O Gott, welch ein Augenblick!”) riprende un’aria della Cantata
per la morte di Giuseppe II (1790), il cui testo cominciava con le parole:
«Salirono gli uomini alla luce». Beethoven riprese a distanza di quindici anni
questa idea musicale in un momento chiave della conclusione del percorso
dall’oscurità alla luce, dalla più cupa oppressione alla libertà, che si compie
nel secondo atto. L’intensità sinfonica e il respiro grandioso di ognuno dei
pezzi che definiscono le stazioni di questo percorso determinano una coerenza
interna e una continuità ideale che non ammettono chiaroscuri né attenuazioni
di tensione.
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi
LA MIA PROPOSTA
Il catalogo dell’opera beethoveniana è molto corposo (solo le edizioni
ufficiali sono circa 140) alle quali si deve aggiungere, soprattutto negli
ultimi anni, alcune registrazioni della prima versione dell’opera. Io comunque
di sento di menzionare queste:
- Edizione audio diretta da Arturo Toscanini nel 1944 a New York (R.
Bampton, J. Peerce, H. Janssen, S. Belarsky);
- Edizione audio diretta da Otto Klemperer nel 1962 a Londra (C. Ludwig,
J. Vickers, W. Berry, G. Frick);
- Edizione audio diretta da Herbert von Karajan nel 1970 a Berlino (H.
Dernesch, J. Vickers, Z. Kéléman, K. Ridderbusch);
- Edizione video diretta da Leonard Bernstein nel 1978 a Vienna (G.
Janowitz, R. Kollo, H. Sotin, M. Jungwirth);
- Edizione audio diretta da Claudio Abbado nel 2011 a Lucerna (N. Stemme,
J. Kaufmann, F. Struckmann, C. Fischesser).
La datata edizione diretta da Arturo Toscanini è sicuramente un bel
reperto storico e ci riporta ad un modo tutto suo (quello toscaniniano) di
concepire e dirigere Beethoven. Gli interpreti sono sicuramente buoni anche se
non entusiasmano particolarmente.
Molto interessante è l’edizione diretta nel 1970 (in studio) da Herbert
von Karajan con gli splendidi Berliner Philharmoniker. La direzione orchestrale
è sicuramente di prim’ordine e si avvale inoltre di un cast molto interessante
e sicuramente assortito. Helga Dernesch è forse il vero anello debole
dell’intero cast vocale: sicuramente canta bene ma il peso specifico di questa
parte non sembra essere calzato a pennello dal soprano. Jon Vickers è un ottimo
Florestan, anche se a mio avviso un po’ al di sotto della sua prestazione
diretta da Klemperer. Zoltan Kéléman è un Pizzarro forse anche troppo veemente
per i miei gusti (ma la parte lo prevede) così come è un ottimo Rocco il basso
Karl Ridderbusch.
Altra edizione interessantissima è quella registrata alla Staatsoper di
Vienna nel 1978 con la splendida direzione di Leonard Bernstein. Sopra tutti si
erge la concertazione del direttore statunitense che dà una lettura del
capolavoro beethoveniano impareggiabile: splendide le atmosfere che riesce ad
ottenere come, ad esempio, nel coro dei prigionieri, nel bellissimo inizio del
secondo atto e anche nella brillante e focosa ouverture Leonora n. 3 che viene
eseguita prima della scena finale. I cantanti sono al di sotto della
prestazione di Bernstein: Gundula Janowitz, nei panni di Leonora, così come
Manfred Jungwirth (come Rocco) sono sicuramente i migliori. Molto appannati sia
René Kollo come Florestano che Hans Sotin come Pizzarro.
L’edizione del 2011 ci propone l’approccio di Claudio Abbado con il
capolavoro di Beethoven (al quale il direttore milanese si è accostato in tarda
età) e l’ascolto musicale è sicuramente di grandissimo impatto: pare quasi di
ascoltare una composizione nuova! Questo è l’effetto che la concertazione di
Abbado insinua nell’ascoltatore: grandissima cosa supportata, in parte, da un
buonissimo cast. Jonas Kaufmann è sicuramente il miglior Florestano degli
ultimi 30/40 anni (e se la gioca col grande Vickers), dalla bellissima linea di
canto morbida, calda, brunita… una gioia all’ascolto. Nina Stemme, nel ruolo di
Leonora, non è da meno e ci presenta un’interpretazione che si può definire di
riferimento rispetto agli anni a cavallo tra la fine del XX° e gli inizi del
XXI° secolo. Purtroppo il resto del cast è appena sufficiente e questo fa sì
che questa edizione non sia, per me, la migliore in assoluto.
Quella che io, personalmente, ritengo una edizione di riferimento è la
registrazione del 1962 diretta da Otto Klemperer che dirige la splendida
Philharmonia Orchestra di Londra. La concertazione di Klemperer, che ad un
ascolto superficiale può sembrare d’antan, è a mio parere pari solo a quella di
Abbado. In questo caso però la “classicità” migliore noi troviamo in Klemperer
e nella Philharmonia che a ben vedere si possono considerare come un unico
strumento. Il cast è stellare e vede una Christa Ludwig eccelsa nel ruolo di
Leonora (anticipando i vari mezzosoprani che nel corso degli anni hanno
interpretato questo ruolo), un Jon Vickers ideale nel ruolo di Florestano
(inarrivabile) e uno bravissimo Walter Berry nel ruolo di Pizzarro. Gottlob
Frick ci dona un Rocco musicalissimo e dall’umanità preponderante. Da ricordare
anche i due ottimi interpreti dei ruoli di Marzelline e Jaquino, nello
specifico Ingeborg Hallstein e Gerhard Unger.
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