ALMANACCO OPERISTICO - 14 dicembre 2020 - WOZZECK di A. Berg
WOZZECK
Opera in tre atti,
dal dramma Woyzeck di Georg Büchner
Libretto e musica
di Alban Berg
Prima
rappresentazione: Berlino, Staatsoper, 14 dicembre 1925
Del Woyzeck (allora noto con il titolo Wozzeck) Berg vide
la prima rappresentazione a Vienna nel maggio 1914 (pochi mesi dopo la prima
apparizione postuma sulla scena, l’8 novembre 1913, a Monaco). Scrisse in una
lettera a Webern del 19 agosto 1918: «ne ho riportato una impressione così
straordinaria che subito (anche dopo averlo rivisto) ho preso la decisione di
porlo in musica. Non è solo il destino di quest’uomo sfruttato e perseguitato
da tutti che mi tocca tanto da vicino, ma anche l’inaudito contenuto di
atmosfere [Stimmungsgehalt] delle singole scene».
Agli incompiuti frammenti del Woyzeck Georg Büchner (1813-1837)
aveva lavorato nell’autunno-inverno 1836 fino alla morte improvvisa, per una
febbre tifoide, il 19 febbraio 1837. Riprendendo elementi del caso
medico-giudiziario di Johann Christian Woyzeck (Lipsia 1780-1824), condannato a
morte per aver ucciso, il 21 giugno 1821, la sua amante, Büchner ci mostra la
condizione alienata del protagonista, il suo gesto disperato e autodistruttivo
e i rapporti con i suoi aguzzini come la conseguenza di un sistema di relazioni
sociali. I frammenti del Woyzeck furono pubblicati soltanto nel 1879 da
Emil Franzos (con il titolo Wozzeck per una errata lettura della
difficile grafia del manoscritto). Le successive edizioni (fino al 1920) si
attennero senza controlli al testo del primo editore, proponendo soltanto nuovi
ordinamenti delle scene: possediamo frammenti manoscritti di quattro stesure,
che i primi editori tentarono di integrare in una versione unica, senza rendere
nota la complessa situazione degli originali, che documentano diverse fasi di
un processo di lavoro. Molte differenze tra il Woyzeck di Büchner e il Wozzeck
di Berg (che ne usò direttamente il testo con tagli e rielaborazioni di varia
entità, ma senza mutamenti sostanziali) dipendono non dal compositore, ma dalle
manipolazioni di Franzos, accolte senza controlli anche da Paul Landau, sulla
cui edizione (1909) Berg lavorò seguendone anche la disposizione delle scene,
ma omettendone nove. Della musica Berg stese qualche abbozzo già nel 1914
(cominciando dalla scena che sarebbe divenuta la seconda del secondo atto); ma
la fase più intensa del lavoro si ebbe dopo la fine del primo conflitto
mondiale (nel corso del quale la dolorosa esperienza dell’ottobre 1915 nel
campo di addestramento di Bruck an der Leitha lo spinse a identificarsi quasi
autobiograficamente con Wozzeck). La composizione fu portata a termine nel
1921, mentre strumentazione e revisione impegnarono Berg fino al maggio 1922.
Intanto, nel 1920, Witkowski aveva pubblicato la prima edizione delle opere di
Büchner basata sui manoscritti e aveva così svelato gli arbitrî di Franzos.
Secondo la persuasiva ipotesi di Peter Petersen, soltanto nel 1921, quando era
già avanzata la composizione del secondo atto, Berg prese visione dell’edizione
Witkowski: per seguirla avrebbe dovuto cambiare troppo del lavoro già compiuto.
Ad esempio alla conclusione della quarta scena del primo atto, quando il
dottore chiede a Wozzeck di mostrare la lingua, le sue parole, aggiunte da
Franzos, avevano suggerito una soluzione musicale impensabile senza quel testo.
Conservando il titolo ‘sbagliato’ Wozzeck Berg volle probabilmente
lasciare una indicazione sulla fonte di cui si era servito, e, evitando
rifacimenti nella composizione, corresse soltanto qualche dettaglio. Le
manipolazioni e gli errori di lettura di Franzos tradiscono sempre
l’essenzialità originalissima e la lucida tensione di Büchner; ma furono un
tramite determinante per la ricezione di Büchner fino al 1920. E determinante
fu anche, più a lungo, la scelta di Franzos di far finire il dramma con la
morte del protagonista, cui Büchner quasi certamente non avrebbe risparmiato il
calvario del processo e della condanna. Questa conclusione, nel contesto della
lettura in chiave espressionistica che caratterizzò allora la fortuna di Büchner,
ebbe rilievo nello spingere Berg a sottolineare le dimensioni
nichilistico-esistenziali del dramma. Dopo la prima rappresentazione, voluta e
diretta da Erich Kleiber a Berlino, l’opera trionfò in molti teatri tedeschi,
soprattutto tra il 1929 e il ’32; ma fu rappresentata anche a Praga (1926),
Leningrado (1927), Zurigo e Filadelphia (1931), Bruxelles (1932), finché la
musica di Berg, Schönberg e Webern fu messa al bando dai nazisti. In Italia Wozzeck
fu rappresentato per la prima volta a Roma nel 1942 (direttore Tullio Serafin,
protagonista Tito Gobbi); in seguito alla Scala, diretto da Mitropoulos (1951)
e, nel 1971, ’77 e ’79, da Claudio Abbado. Sacrificando alcune scene essenziali
di Büchner, Berg costruì un libretto in tre atti di cinque scene ciascuno,
organizzato nella successione ‘Esposizione-Peripezia-Catastrofe’.
LA TRAMA
Atto primo. Wozzeck sta radendo la barba al capitano, e ne subisce
passivamente il vacuo conversare, finché, dopo le esortazioni a essere meno
frettoloso e agitato e la derisoria provocazione sul vento che soffia «da
sud-nord», gli viene rinfacciato che «non ha morale», perché ha avuto un figlio
«senza la benedizione della chiesa» dalla donna con cui vive, Marie. La frase
lirica con cui inizia la risposta di Wozzeck («Wir arme Leut’», Noi povera gente)
è uno dei temi principali dell’opera. Assecondando la mobilità sconnessa e
divagante del dialogo, Berg scelse per questa scena la forma di una suite
(preludio, pavana, gavotta, aria, preludio retrogrado). Nella seconda scena
(rapsodia) Wozzeck è in aperta campagna a raccogliere legna con il commilitone
Andres, cui parla delle sue visioni e delle misteriose minacce che avverte
nella natura. La scena culmina in una esplosione di visionario terrore. Una
marcia militare conduce alla terza scena. Marie guarda con compiacimento
sfilare la banda e con particolare attenzione il tamburmaggiore: di qui un
battibecco con la vicina Margret. Chiusa la finestra, Marie canta al figlio una
ninna-nanna. Sopraggiunge Wozzeck, ancora sconvolto, ma corre subito via. La
quarta scena lo mostra vittima degli esperimenti del dottore (per
caratterizzarne le fissazioni Berg compone una passacaglia costruita su un tema
di dodici note). Il dottore paga Wozzeck perché si nutra esclusivamente di
piselli, e si sente tradito avendolo visto tossire (in Büchner «pisciare») per
la strada. Wozzeck tenta di narrargli le sue visioni e viene invitato a
coltivare la bellissima idea fissa che lo ossessiona. Il dottore sogna
l’immortalità scientifica. Nella quinta scena (rondò) il tamburmaggiore seduce
Marie, che prima lo respinge, poi gli si abbandona.
Atto secondo. Marie è sorpresa da Wozzeck mentre si prova gli
orecchini donati dal tamburmaggiore: dice di averli trovati e Wozzeck, poco
persuaso, lascia cadere il discorso ed esce, dopo aver contemplato affettuosamente
il bambino. Per questa scena Berg adottò la forma sonata: il primo tempo della
‘sinfonia’ del secondo atto. Nella scena seguente (fantasia e fuga) il
capitano, incontrando per la strada il dottore, cerca di convincerlo a non aver
fretta; l’altro alla fine si ferma e si vendica diagnosticandogli una malattia
mortale. Ma incontrando Wozzeck, i due sono subito alleati nel tormentarlo con
insinuazioni su Marie e il tamburmaggiore (tripla fuga sui temi del capitano,
del dottore e di Wozzeck). Wozzeck corre via sconvolto e nella terza scena
(Largo della sinfonia) rinfaccia a Marie il tradimento. La fiera risposta di
lei a un gesto aggressivo («Meglio un coltello in corpo, che una mano su di
me») fa balenare in lui la prima idea dell’omicidio («L’uomo è un abisso.
Vengono le vertigini a guardarci dentro»). La quarta scena (scherzo con due
trii) si svolge nel giardino dell’osteria dove Marie e il tamburmaggiore
ballano. Wozzeck sta per avventarsi su di loro; ma la danza finisce e si
succedono un coro di cacciatori, una canzone di Andres, un cupo dialogo tra
Wozzeck e Andres, la predica di un garzone ubriaco, l’entrata di un ‘pazzo’,
che dice di sentire odore di sangue. La parola «sangue» ha un effetto
violentissimo su Wozzeck, che fugge. Nel dormitorio della caserma (quinta
scena, introduzione e rondò marziale) Wozzeck non riesce a prendere sonno e
tenta di confidarsi con l’assonnato Andres. Entra il tamburmaggiore ubriaco, si
vanta delle sue imprese amorose con Marie, lotta con Wozzeck e lo lascia
sanguinante a terra.
Atto terzo. Le forme delle scene del terzo atto furono da Berg
chiamate «invenzioni». La prima, ‘invenzione sopra un tema’ (un tema, sette
variazioni e fuga) ha come sola protagonista Marie, immersa nella lettura della
Bibbia e nelle proprie riflessioni: nel rimorso prova conforto pensando alla
vicenda della Maddalena. Ma nella seconda scena, sul sentiero presso un stagno,
Wozzeck, ormai ossessionato dall’idea dell’inevitabilità dell’omicidio, uccide
Marie (‘invenzione sopra una nota’). Fuori di sé, si precipita in una locanda (Scena
terza, invenzione sopra un ritmo) e ne fugge quando i presenti scorgono su di
lui le macchie di sangue. Torna allo stagno, per gettare più lontano nell’acqua
il coltello e affoga (scena quarta, invenzione su un accordo di sei note).
L’ultimo interludio (‘invenzione sopra una tonalità’, re minore) è un epicedio;
nella scena finale (‘invenzione su unperpetuum mobile’ il figlio di Marie e di
Wozzeck continua inconsapevole a giocare, anche quando gli dicono che la madre
è morta.
Lo stupore e l’iniziale disapprovazione con cui Schönberg accolse il
progetto del Wozzeck sono una conferma dell’originalità della scelta di
un simile testo, con una vicenda ambientata in una squallida quotidianità, in
una condizione oppressa e soffocata, che però non poteva essere intesa in
chiave semplicisticamente naturalistica: non assistiamo alla storia di un
omicidio passionale, ma a qualcosa di assai più profondo e inquietante, al
disgregarsi di una coscienza, a una radicale crisi di identità. Nella
opprimente alienazione che caratterizza la vita di Wozzeck tra la caserma e i
folli esperimenti pseudoscientifici del dottore, Marie è per lui l’unico
possibile punto di riferimento, è l’unico aspetto di umana autenticità
consentito forse alla sua esistenza, è la casa e la sicurezza: il suo
tradimento sottrae alla coscienza sconvolta di Wozzeck qualunque equilibrio e
lo porta all’annientamento di sé e dell’amata. Nella citata lettera a Webern,
Berg si dichiarava profondamente colpito dallo Stimmungsgehalt, dal
contenuto di atmosfere, dal clima espressivo e dall’intensità delle singole
scene: coglieva così un aspetto essenziale dell’originalità del frammento
büchneriano, dove l’azione si frantuma in atomi drammatici di incisiva
rapidità, in improvvise folgorazioni affioranti dal buio, in nuclei
intensissimi, superando una naturalistica continuità narrativa. Dalla
comprensione di questi caratteri del testo nasce la specificità della soluzione
formale ideata da Berg, che si distaccò dalla tradizione post-wagneriana (e
dagli illustri precedenti di opere basate direttamente su un testo teatrale in
prosa, Pelléas et Mélisande e Salome) conferendo a ogni scena una
propria autonomia formale in sé conchiusa, che non gli impedisse tuttavia una
adesione al testo momento per momento. Berg fa esplodere le potenzialità
espressive, la forza visionaria e allucinata del linguaggio di Büchner. La
intensità di questa adesione alla parola büchneriana in ogni frammento
drammatico e insieme la preoccupazione di una serrata continuità (assicurata
dagli interludi e da una fitta rete di temi e motivi) coesistono nel Wozzeck
in modo peculiare. La perfetta coincidenza tra ragioni drammatiche e musicali
assume una evidenza immediata in alcune delle ‘invenzioni’ del terzo atto,
quelle basate su un ‘ostinato’ (come la seconda e la terza). Così ad esempio la
‘invenzione sopra una nota’ nella scena dell’uccisione di Marie comporta
l’ossessiva presenza di un pedale (il suono si) in diversi registri, in modo
che il maggiore o minor rilievo con cui si percepisce questo pedale è legato al
diverso grado dell’ossessione dell’idea omicida nella mente sconvolta di
Wozzeck: quando il pensiero dell’uccisione gli si presenta del tutto
irrevocabile si ascolta agli archi un si esteso su cinque ottave. È un momento,
l’ultimo, di rituale, solenne sospensione: poi il timpano scandisce
ininterrottamente il si fino alla ‘risoluzione’ sul do quando Wozzeck esclama
«Tot»: morta). Proprio questa scena con la sua allucinata tensione, con le
sonorità livide, gelide, percorse da brividi sinistri, è un esempio eloquente
dell’impostazione antinaturalistica del Wozzeck: non siamo di fronte,
del resto, a un semplice omicidio per gelosia, ma a una sorta di gesto rituale,
che Wozzeck sconvolto compie come una fatalità inevitabile, che non ha ai suoi
occhi il significato di una vendetta personale. In altre scene il rapporto tra
scelte drammaturgiche e formali è meno immediato; sempre però la complessità
del linguaggio berghiano rivela una profonda adesione a Büchner (come poteva
essere visto negli anni della sua riscoperta in una prospettiva
espressionistica). Si pensi alla incisiva caratterizzazione vocale dei
protagonisti, alla instabilità fatta di scatti e sussulti della vocalità del
capitano, ritratto con tagliente sarcasmo, e anche con una vena di umorismo macabro
e di comicità caricaturale; oppure ai modi talvolta frenetici, talvolta inclini
alla forzata regolarità di un canto spiegato del dottore. Davvero büchneriano è
il rilievo che assumono nella partitura del Wozzeck le allusioni al
canto popolare, per le quali Berg accoglie reminiscenze stravolgendole in modo
da creare immagini di una innocenza perduta, testimonianze di una condizione
umana oppressa e infelice. È naturale che Wozzeck intoni alcune delle idee più
intensamente liriche dell’opera, voce di una umanità conculcata, ma autentica,
nel cui canto, anche attraverso i momenti più tesi, stravolti o allucinati, si
coglie il doloroso anelito a una compiuta effusione melodica. Soprattutto a
Marie, l’altra vittima della tragedia, guardata da Berg con infinita tenerezza,
sono riservati gli accenti di più sofferto e meditativo lirismo. Al personaggio
di Marie appartengono anche altri aspetti, dalla selvaggia voglia di vivere
alla disillusa disperazione che caratterizzano il suo comportamento con il
tamburmaggiore, dai gesti di ribellione ai ripiegamenti di straziata
interiorità nella sua solitaria meditazione del terzo atto.
Tra gli strumenti di più intensa forza espressiva, accanto alla timbrica
visionaria, alla infinita varietà e complessità di una scrittura che fa
dell’orchestra un sensibilissimo sismografo del dramma, vi è la libertà
‘atonale’. Vi sono zone che sembrano suggerire un’interpretazione tonale e la
smentiscono: non persuadono i tentativi di analisi in senso tonale dell’opera;
ma nel suo essere ‘atonale’ si riconoscono diversi gradi di ambiguità,
dall’allusione subito smentita alla vertigine della totale dissoluzione, sempre
con esiti di straordinaria efficacia espressiva. Questa ambiguità non è che un
aspetto della vocazione berghiana a far coesistere soluzioni e piani stilistici
diversi, con un sincretismo sempre legato a una precisa esigenza di
individuazione drammatica e alieno da ogni concessione all’eclettismo. Da
questo punto di vista è evidentissima nel Wozzeck l’eredità delle
lacerazioni del mondo di Mahler: si pensi alla presenza di marce, danze, musica
di consumo, stravolte allusioni al canto popolare. Massimo esempio della
complessità stilistica del Wozzeck è la scena dell’osteria nel secondo
atto. Nella fitta rete di collegamenti, associazioni e sviluppi cui danno vita
temi e motivi tra intrecci ed elaborazioni, che all’analisi si rivelano densi
di significato quanto capaci di immediata evidenza espressiva, si possono
trovare, fra l’altro, precise conferme della partecipe adesione di Berg alla
polemica politico-sociale di Büchner, e insieme agli aspetti, particolarmente
sottolineati, di nichilistico pessimismo che pure sono presenti nella visione
büchneriana. Berg prospetta una condizione senza via di uscita concludendo il Wozzeck
con l’indifferente regolarità di un uniforme andamento in ottavi, con sonorità
aeree, gelide e diafane: nella conferenza sull’opera il musicista parlò di un
circolo chiuso, che dalla mortale sospensione dell’ultima scena potrebbe
rimandare nuovamente all’inizio della prima. Anche per questo, e non soltanto
per l’effetto di anticlimax dell’ultima scena, il Wozzeck non
finisce con la morte del protagonista, né con la perorazione sinfonica con cui
Berg (forzando in senso espressionista lo spirito di Büchner) senti il bisogno
di prendere posizione, commentando il destino dell’infelice soldato.
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi
LA MIA PROPOSTA
Opera tra le più complesse di tutto il ‘900 musicale ha una interessante
discografia. Io mi permetto di suggerire queste edizioni, che sono quelle che
io posseggo:
- Edizione audio diretta da Pierre Boulez nel 1966 a Parigi (W. Berry, I.
Strauss, F. Uhl);
- Edizione audio/video diretta da Claudio Abbado nel 1987 a Vienna (F.
Grundheber, H. Behrens, W. Raffeiner);
- Edizione audio diretta da Ingo Metzmacher nel 2008 ad Amburgo (B.
Skovus, A. Denoke, J. Blinkhof).
L’edizione del 1966 vede una direzione molto asciutta (come era nel suo
stile) ma nello stesso tempo abbastanza caratterizzata di Pierre Boulez e si
avvale di un buonissimo Walter Berry come Wozzeck e di una brava Marie
interpretata da Isabel Strauss.
L’edizione diretta da Ingo Metzmacher è molto interessante. A mio avviso
il direttore d’orchestra tedesco è attualmente il miglior interprete di questo
repertorio e si sente. Bo Skovus è un ottimo Wozzeck così come è bravissima
Angela Denoke come Marie.
L’edizione che mi sento però di suggerire è quella viennese con la
splendida direzione di Claudio Abbado (a capo degli straordinari Wiener
Philharmoniker) e un cast di primissimo ordine: Franz Grundheber è un grande Wozzech,
cantato e interiorizzato, mentre Hildegard Behrens ci porta una Marie
struggente, forse non impeccabile nel canto ma straordinaria interprete. Ottimi
anche i ruoli comprimari tra cui il Tamburmaggiore di Walter Raffeiner e l’Andres
di Philip Langridge.
Di seguito il link per ascoltare l’opera diretta da Claudio Abbado:
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