ALMANACCO OPERISTICO - 3 dicembre 2020 - RICCIARDO E ZORAIDE di G. Rossini
RICCIARDO E ZORAIDE
Dramma per musica
in due atti di Francesco Berio di Salsa, dal poema eroicomico Ricciardetto
di Niccolò Forteguerri
Musica di Gioachino
Rossini
Prima
rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 3 dicembre 1818
Lodata come rinunzia a «quel moderno libertinaggio musicale» per il quale
Rossini aveva in precedenza abbandonato la via maestra della musica italiana
tracciata da Cimarosa, la quinta opera scritta dal compositore pesarese per
Napoli, Ricciardo e Zoraide, fu accolta dalla critica dell’epoca come
opera della conservazione. La polemica che il cronista del ‘Giornale delle Due
Sicilie’ insinuava infatti tra le righe di una stucchevole finzione organizzata
come commento all’opera – una lettera che si finge scritta dal sommo Cimarosa
dall’osservatorio privilegiato dei Campi Elisi – sembra riecheggiare la difesa
di Stendhal del Rossini ‘prima maniera’, quando ancora nelle sue opere la
melodia era tenuta a sovrana dell’armonia. Dobbiamo supporre che le stesse
caratteristiche per cui l’opera fu salutata con entusiasmo alla prima
esecuzione furono la causa della sua modesta circolazione nel corso
dell’Ottocento, fino alla definitiva scomparsa dal repertorio teatrale a circa
vent’anni dal suo apparire. A non facilitarne la diffusione fu certamente
complice la drammaturgia farraginosa del libretto, dovuto alla penna del
marchese Francesco Berio di Salsa. Questi si basò sul poema eroicomico Ricciardetto
di Niccolò Forteguerri (1674-1735), letterato pistoiese nonché segretario di
papa Clemente XII, che raccolse in trenta canti le gesta di cavalieri
cristiani, re africani e principesse asiatiche. Di fronte a una materia così
varia e complessa, Berio di Salsa cercò di operare con il necessario e
inevitabile processo di semplificazione, riducendo il poema pseudoariostesco
all’intreccio classicamente librettistico di un padre (Ircano) che si oppone al
pretendente (Agorante) della figlia (Zoraide), la quale ama un altro
(Ricciardo) e viene, per gelosia, tradita dalla moglie del pretendente
(Zomira). Tale schema, apparentemente lineare, si articola in una serie di
situazioni così complesse da risultare altrimenti incomprensibili se Berio non
fosse ricorso alla descrizione dell’antefatto.
LA TRAMA
Atto primo. All’epoca delle crociate, il principe Ircano ha
fondato un regno ai confini della Nubia; Agorante, re della regione, gli ha
mosso guerra e lo ha cacciato, avendo Ircano rifiutato di concedergli la mano
della figlia Zoraide. Nella fuga Zoraide incontra il prode paladino Ricciardo,
se ne innamora, e abbandona il padre per vivere nel campo dei crociati. Ircano,
disperato, vaga alla ricerca della figlia scomparsa, travestito da cavaliere
nero. Agorante, venuto a conoscenza del nascondiglio di Zoraide, l’ha fatta
rapire e condurre nella sua reggia, dove egli vive con la moglie Zomira. La
scena si apre su una piazza fuori del recinto della città di Duncala, capitale
della Nubia. Agorante, acclamato per la sua vittoria su Ircano, afferma di non
temere la vendetta di Ricciardo né degli eserciti dei crociati (cavatina
“Minacci pur: disprezzo”). Zoraide, che sente le grida di trionfo, si dispera
con la confidente Fatima per il proprio destino; teme infatti la doppia
vendetta del padre Ircano e della moglie di Agorante, Zomira, oltre a essere
affranta per la separazione da Ricciardo. Giunge Zomira, che cerca di farle
confessare il suo amore per il paladino: amore che Zoraide dissimula per non
irritare Agorante, il quale arriva dichiarando di voler sposare la prigioniera.
Zoraide rifiuta l’offerta, ma nonostante questo Agorante promette di unire la
sua anima a quella di lei, mentre Zomira giura vendetta (terzetto “Cruda
sorte”). Nella pianura nei pressi di Duncala. Ricciardo approda con Ernesto,
ambasciatore del campo cristiano, sulla riva del fiume Nubio. Travestito da
guida africana, è giunto per liberare Zoraide, per il cui amore è disposto a
sacrificare la sua vita (cavatina “S’ella mi è ognor fedele”). Intanto, nella
reggia di Agorante, Zomira invita la confidente Elmira a spiare ogni mossa
della rivale Zoraide. Giunge Ernesto, accompagnato da Ricciardo, per chiedere
ad Agorante spiegazione del rapimento di Zoraide e di alcuni guerrieri franchi.
Egli è disposto a liberare i guerrieri, ma non Zoraide; e quando Ernesto lo
avverte che questo potrebbe provocare una ripresa delle ostilità, Agorante
dichiara a Zoraide il suo amore davanti a tutti. Ella si schermisce, chiamando
in causa il suo dolore per la lontananza del padre; ma Agorante, determinato
nel suo intento, chiama le proprie truppe a raccolta, affermando
orgogliosamente di essere in grado di difendere la patria.
Atto secondo. Zamorre, dignitario di corte, riferisce ad Agorante
che la guida dell’ambasciatore franco – in realtà Ricciardo sotto mentite
spoglie – desidera parlargli. La finta guida simula di odiare Ricciardo e tutti
i paladini, affermando che proprio Ricciardo gli avrebbe rapito la moglie e che
lo stesso Ricciardo attenderebbe il ritorno di Zoraide per vendicarsi,
ritenendola l’amante di Agorante. Il re non vede di meglio che invitare la
finta guida a svelare a Zoraide il tradimento dell’amato, sperando che questo
la induca ad accettare il suo amore. Ricciardo può così incontrare Zoraide,
alla quale promette una pronta liberazione. Ma Elmira ha spiato non vista
l’incontro, e corre a riferirne a Zomira. Agorante, frattanto, ha deciso di
mostrarsi generoso e risolve di liberare Zoraide, salvo poi cambiare idea al
pensiero di restituirla al suo nemico Ircano. Le sorti di Zoraide saranno
decise dallo scontro di un paladino con un campione africano. Si fa avanti un
cavaliere misterioso, Ircano, con indosso un’armatura nera, e si proclama
difensore di Zoraide. Agorante sceglie come proprio campione la finta guida,
mentre Zoraide è condotta al carcere. Zomira, alla quale Elmira ha rivelato la
vera identità della finta guida, va intanto a trovare Zoraide in carcere,
avvertendola che la guida ha vinto il duello e affermando di conoscerne
l’identità. Fingendosi complice, indica a Zoraide una via attraverso la quale
fuggire con Ricciardo; ma si tratta di una trappola, e i due amanti vengono
catturati dalle guardie della regina. Agorante ha intanto scoperto che il
cavaliere misterioso è Ircano e promette di fare giustizia. Nella piazza di
Duncala Ricciardo e Zoraide, condannati a morte, avanzano tra la folla, quando
giunge Ircano, anch’egli condannato, e ferito durante il duello. Ircano ripudia
Zoraide, accusandola di averlo abbandonato per un amore foriero di
interminabili disgrazie. Zoraide, in preda al rimorso, chiede ad Agorante di
salvare almeno il padre: di fronte a questa richiesta il re chiede un’ultima
volta a Zoraide di sposarlo. Divisa tra l’amore per il padre e quello per
Ricciardo, Zoraide cede pur di salvare Ircano. Ma improvvisamente entra
Ernesto, che dichiara di aver sconfitto gli eserciti della Nubia. Ricciardo,
con magnanimità, risparmia la vita ad Agorante e Zomira mentre Ircano, commosso
per il sacrificio della figlia, la perdona acconsentendo alla sua unione con
Ricciardo.
A dispetto della complicazione della vicenda, bisogna riconoscere che la
profusione di tante e tali situazioni fornisce una intelaiatura adattissima
alla costruzione di un’opera: vi sono spunti lirici, eroici, contrasti e
riconciliazioni, come si deve in un libretto che si rispetti, e Rossini non si
fa sfuggire nessuna occasione. Egli privilegia nettamente gli insiemi rispetto
alle arie solistiche – quattro in tutta l’opera – situate in punti strategici e
divise attentamente tra i personaggi: nel primo atto la cavatina di Agorante
dopo l’Introduzione e quella di Ricciardo verso la fine dell’atto. La
circostanza che solo i due tenori abbiano un’aria è funzionale alla
delineazione dei personaggi da loro incarnati e dalla definizione della
tipologia vocale di ciascuno dei due: un ‘baritenore’ Agorante, cui è affidata
un’aria di grande piglio eroico basata su un incipit ascendente con
ritmo puntato, cui si contrappone un rapido disegno scalare discendente; e un
tenore di grazia, Ricciardo, la cui sortita è delineata con grande
magnificenza. Va ricordato che alla prima esecuzione i due tenori erano i
grandissimi Andrea Nozzari (Agorante) e Giovanni David (Ricciardo). Gli altri
due momenti solistici sono nel secondo atto, affidati ai due primi ruoli
femminili: Zomira ha l’aria “Più non sente quest’alma dolente”, che è in realtà
un brano di piccolo peso, un’aria ‘di sorbetto’, mentre a Zoraide, interpretata
alla ‘prima’ dal celebre soprano Isabella Colbran, è riservata una grande scena
all’interno del finale secondo (“Salvami il padre almeno”). Nettamente
superiore è il peso dei pezzi d’assieme in Ricciardo e Zoraide, sia
quantitativamente sia dal punto di vista dell’interesse musicale. Pagine di
grande bellezza sono il terzetto del primo atto e ancor più il finale primo, in
particolare il sestetto a cappella in corrispondenza della quartina «Confusa,
smarrita,/ delira quest’alma,/ più tregua, più calma/ trovare non sa»,
impostato in una sospesa tonalità di la bemolle, sulla quale l’incedere ritmico
e armonico sembra temporaneamente bloccato. Nel secondo atto il brano
certamente più significativo è il quartetto di Ircano, Agorante, Ricciardo e
Zoraide (“Contro cento e cento prodi”), che Rossini riutilizzerà nella Cantata
in onore del Sommo Pontefice Pio IX. Se riguardo all’impianto dei vari
brani, in particolare alla loro regolarità formale, il Ricciardo non
rivela certo la forte spinta innovatrice di opere successive dello stesso
periodo napoletano, quali ad esempio Ermione o Maometto II, va
notato come elemento di novità la presenza della banda e di strumenti sul
palco, impiegati qui per la prima volta, e di cui molti altri compositori del
secolo faranno uso e abuso. Questo espediente provoca in Ricciardo un
interessante effetto di decontestualizzazione timbrica, specie nella sinfonia,
un brano dall’affascinante scrittura polifonica nella tonalità di do minore, al
cui clima oscuro, notturno, si oppone una marcia in do maggiore suonata in
lontananza dalla banda, che ritorna più vicina dopo una sezione lirica, per
agganciarsi direttamente all’Introduzione nella quale il coro saluta Agorante
vittorioso (“Cinto di nuovi allori”). Un sonetto encomiastico uscito dalla
penna del marchese Berio, stampato all’epoca della prima esecuzione di Ricciardo
e Zoraide, si apriva con questa quartina: «Quel foco eccitator che un’alma
acchiude/ A freno ed a precetti ognor rubello/ Che nuovi fonti di piacer
dischiude,/ Mal definibil sempre, il Genio è quello»: una volta di più, come
non sottoscriverlo?
Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi
LA MIA PROPOSTA
Di quest’opera si contano solo cinque edizioni, di cui tre si riferiscono
a registrazioni di recite eseguite nel corso degli anni al Rossini Opera
Festival di Pesaro. Io mi sento di ricordare tre edizioni:
- Edizione video diretta da Riccardo Chailly nel 1990 a Pesaro (W.
Matteuzzi, J. Anderson, B. Ford);
- Edizione audio diretta da David Perry nel 1995 a Londra (W. Matteuzzi,
N. Miricioiu, B. Ford);
- Edizione video diretta da Giacomo Sagripanti nel 2018 a Pesaro (J.D.
Florez, P. Yende, S. Romanovsky).
L’edizione del 1990 si riferisce in sostanza alla prima esecuzione dell’edizione
critica dell’opera. La direzione di Chailly, a capo dei complessi del Teatro
Comunale di Bologna, è sicuramente interessante anche se in alcuni tratti io
personalmente la trovo un po’ pesante e metronomicamente lenta. William
Matteuzzi è un ottimo Ricciardo così come è una ottima Zoraide June Anderson.
Molto buono anche l’Agorante di Bruce Ford. Qui voglio ricordare anche la messa
in scena particolare di Luca Ronconi.
L’edizione registrata in studio nel 1995 si avvale della buonissima
direzione di David Parry, che io trovo migliore di quella di Chailly.
Sostanzialmente le prestazioni di Matteuzzi e Ford ricalcano i risultati
ottenuti a Pesaro cinque anni prima. Fuori ruolo a mio modesto parere la Zoraide
di Nelly Miricioiu.
L’edizione che mi sento di consigliare è la recente registrazione effettuata
al ROF del 2018. Giacomo Sagripanti dirige con piglio e giusti colori l’ottima
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI oltre ad avere a disposizione cantanti
superlativi. Juan Diego Florez è un ottimo Ricciardo che affronta la parte
soprattutto affidandosi al fraseggio e alla straordinaria linea di canto.
Pretty Yende è, a mio parere, la migliore Zoraide tra quelle ascoltate: vocalità
che sprizza eleganza unita alle ottime agilità. Sergey Romanovsky viene bene a
capo della difficilissima parte di Agorante. Da ricordare anche l’ottimo Xabier
Anduaga nel ruolo non facile di Ernesto. Dimenticabile l’espetto visivo… ma con
tanta qualità musicale la regia passa in secondo piano.
Di seguito il link per vedere l’opera con Juan Diego Florez e Pretty
Yende (da Raiplay):
https://www.raiplay.it/video/2018/08/OPERA---RICCIARDO-E-ZORAIDE-06886429-0038-4e2e-ba80-da0fc5b5feaa.html
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