DOPO L'APERTURA SCALIGERA... CHISSA' SE RIVEDREMO VERAMENTE LE STELLE

 Un Sant'Ambrogio particolarissimo quello di quest'anno... causa Covid19.

Non potendo allestire un'opera completa (tanti i problemi sorti, tra i quali più della metà del coro che si è infettato) il Teatro alla Scala ha pensato di allestire uno spettacolo televisivo, dedicato ad opera e balletto, coinvolgendo alcuni tra i cantanti più titolati e scritturati in giro per il mondo. Ecco allora che si passa dalla Lucia di Lammermoor inizialmente prevista per l'apertura di stagione ad un lungo concerto, allestito da Davide Livermore assieme ai suoi abituali collaboratori, che cerca di esaltare la bellezza dell'arte inserendo poi, attraverso alcuni intermezzi recitati (tra l'altro anche da bravi attori tra cui Massimo Popolizio) che ci riportano all'attualità del messaggio che ancora oggi l'opera ci trasmette.

Sarò un melomane d'antan... ma tutto il dipanarsi dello spettacolo l'ho trovato abbastanza pesante. Per carità bello da vedere alla tv e forse piacevole per chi non è avvezzo all'opera lirica... ma alla fine sempre di un concerto si trattava e forse si poteva pensare anche diversamente. Comunque dobbiamo ricordare che la cosa è stata allestita in pochissimo tempo e poi, cosa da non dimenticare, doveva andare sulla rete ammiraglia della RAI che ha un certo tipo di pubblico da accontentare.

Nel complesso quindi ho trovato lo spettacolo guardabile, con alcune forzature visive soprattutto nella prima parte mentre verso la fine dello spettacolo si è lasciato più spazio alla musica con solamente un fondale che faceva da scenografia.

Per quanto riguarda i testi recitati c'è stato un po' di tutto... e si è passati da Victor Hugo a Pavese, passando per Racine e Verdi. L'intermezzo che più mi è piaciuto è stato quello che ha preceduto il brano finale, proposto dallo stesso regista Davide Livermore nel quale si è ripercorso (a mezzo di una grandissima foto d'epoca) la riapertura della Scala con Toscanini nel 1946, dopo la distruzione del teatro a seguito dei bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale e dopo la dittatura fascista. In questo... il simbolo della rinascita e della ripartenza verso una nuova vita ha centrato in pieno.

Lo spettacolo è spettacolo... ma pur sempre di lirica si parla e quindi ci tengo a dire la mia sui protagonisti che hanno animato la lunga e complessa serata.

Lo spettacolo inizia sulle note del preludio (con il tema imperante della maledizione) dal Rigoletto, nel quale il maestro Chailly ci fa ben capire quale sarà il suo stile per tutta la serata: limpido e corposo.

Il primo artista ad esibirsi è il baritono Luca Salsi, reduce dal recentissimo Otello fiorentino, che canta "Cortigiani, vil razza dannata": la sua interpretazione è abbastanza centrata anche manca una vera immedesimazione nel ruolo. E qui non importa di essere in concerto... sembra una pura esecuzione di routine. Da lui, che io personalmente apprezzo molto, mi sarei aspettato di più.

La trattazione del Rigoletto è poi proseguita con "La donna è mobile" cantata da Vittorio Grigolo: esecuzione che non ha entusiasmato, giocata più sulla recitazione (con le classiche donnette di contorno) ma poco espressiva.

L'incursione nel mondo verdiana è proseguita con tre brani tratti dal Don Carlo. Il primo è stato la grande aria di Filippo II "Ella giammai m'amò" interpretata dal basso Ildar Abdrazakov che canta come lui sa: pregnante, voce ben calibrata, presenza scenica forte.

Prosegue poi Ludovic Tezier che canta "Per me giunto è il dì supremo... Io morrò": il suo Rodrigo di Posa è regale, ben appoggiato dal punto di vista vocale, la sua linea di canto è ben equilibrata e ci lascia veramente un'ottima interpretazione.

Chiude il trittico di brani tratti dal Don Carlo la bellissima Elina Garanca (forse non esaltata bene dal vestito che indossa) nella difficilissima aria di Eboli "O don fatale". La sua interpretazione non eguaglia purtroppo la prestazione eccelsa di qualche giorno fa a Napoli nella Cavalleria mascagnana: se è ottima la linea grave della voce così non è per quella acuta, che stasera manca di spessore e, anzi, mette ij difficoltà il mezzosoprano lettone.

Si passa poi a Donizetti e, nello specifico, alla sua Lucia di Lammermoor: qui sentiamo Lisette Oropesa che ci porta una veramente bella interpretazione di "Regnava nel silenzio". La sua voce è calibratissima, facile agli acuti e alle agilità; se una cosa le si può imputare è un po' di mancanza di calore, il che rende la sua interpretazione ottima tecnicamente ma tende a non scaldare i cuori.

Da una donna (Lucia) che si trova costretta a subire le scelte della sua famiglia ad un'altra donna che subisce, in parte, le stesse oppressioni: Butterfly. Kristine Opolais interpreta "Tu! Tu! Piccolo Iddio!" ma purtroppo la sua interpretazione è carente in tutte le sfaccettature: dizione molto imperfetta, voce grossa, acuti poco centrati. Come si diceva una volta... rimandata a settembre.

Si ritorna di nuovo a Donizetti con due brani tratti da due suoi capolavori assoluti. Si inizia con Don Pasquale e, nello specifico, con l'aria di Norina "Quel guardo il cavaliere... So anch'io la virtù magica" interpretata veramente bene da Rosa Feola. Questo è un personaggio molto eseguito dalla Feola, che conosce a menadito, e si sente. Ottima!

Un fuoriclasse assoluto è poi Juan Diego Florez che ci lascia una interpretazione da manuale di "Una furtiva lagrima" da L'elisir d'amore. Sul tenore peruviano non c'è molto da dire, tranne: chapeau!

Dopo l'intermezzo del Pas de deux tratto dallo Schiaccianoci di Cajkovskij (da ricordare l'orchestra diretta, nei brani da balletto, dal maestro Michele Gamba) si torna a Giacomo Puccini con l'aria di Liù "Signore, ascolta" tratta dal primo atto di Turandot. Aleksandra Kurzak canta sicuramente bene ma a mio parere la voce tende ad essere un po' troppo grossa e forzata nel registro centrale, pur rimanendo in una interpretazione di buonissima fattura.

Si prosegue poi con la prima incursione nell'opera francese e, nello specifico, con la Carmen di Bizet. Inizia l'orchestra (qui molto focosa tanto che Chailly quasi non la dirige) nel famosissimo preludio che poi lascia spazio alla giovane Marianne Crebassa per "L'amour est un oiseau rebelle (Habanera)". La cantante francese canta sicuramente bene ma manca di quel fuoco e di quel calore che il ruolo di Carmen esige. Il tempo davanti è dalla sua... migliorerà sicuramente in un repertorio come questo.

Chiude la carrellata dedicata a Carmen il tenore Piotr Beczala che canta "Le fleur que tu m'avais jetée": il suo Don José è interessante ma non entusiasma.

Si ritorna a Giuseppe Verdi con tre brani tratti da uno dei suoi massimi capolavori: Un ballo in maschera. Inizia il soprano Eleonora Buratto che interpreta "Morrò, ma prima in grazia" con un'ottima linea di canto e con un filato sicuramente importante. Io personalmente la preferisco in altri ruoli verdiani (e anche in ruoli che hanno bisogno di una voce "meno pesante") ma qui canta bene.

George Petean interpreta poi l'aria di Renato "Eri tu" e cerca di sfoggiare le sue caratteristiche principali. Questo cantante mi era piaciuto tantissimi in alcune sue interpretazioni verdiane (per esempio nell'Attila scaligero di due anni fa) ma qui manca un po' di regalità.

Francesco Meli chiude il trittico dal Ballo cantando "Forse la soglia attinse... Ma se m'è forza perderti". L'inizio dell'aria è promettente ma poi la sua linea di canto tende un po' a perdersi e, addirittura, pare di arrivare alla fine molto stanco.

Prima di lasciare spazio a due interventi dedicati al balletto (un solo di Roberto Bolle e una nuova creazione su musiche di Verdi) ecco una delle più belle sorprese della serata: il tenore Benjamin Bernheim interpreta un'intensissima "Porquoi me réveiller" dal Werther di Jules Massenet. Io personalmente avevo ascoltato questo cantante tramite alcuni video postati in rete ma qui sono rimasto incollato allo schermo: note pregnanti, calibratissime, acuti belli e limpidi. Insomma... bravissimo.

Da una rivelazione assoluta ad una straordinaria conferma: Carlos Alvarez ci lascia un'ottima interpretazione del "Credo" dall'Otello verdiano. Il suo è uno Jago subdolo e infimo, risolto in un canto ben calibrato e caldo. Certo il timbro non è più quello di vent'anni fa ma... è un vero signore del palcoscenico.

Chi non ha nulla da imparare in quanto ad esperienza di palcoscenico è Placido Domingo che canta "Nemico della patria" dall'Andrea Chenier di Umberto Giordano. Il tenore che è in lui viene sempre fuori... ma non si può assolutamente dire che abbia cantato male. Se poi pensiamo che è alla soglia delle 80 candeline...

Sonya Yoncheva interpreta Maddalena di Coigny ne "La mamma morta" sempre dall'opera di Giordano. A me sinceramente non ha entusiasmato perché ha cercato più l'effetto che non l'interpretazione autentica. Peccato perché è una cantante di tutto rispetto.

I brani che hanno preceduto il finale sono tutti dedicati a Giacomo Puccini, grande amore del maestro Chailly (e si sente... l'orchestra sembra quasi rinascere).

Si inizia con Tosca e con Roberto Alagna che canta "E lucevan le stelle": fin dalle prime note si sente che la voce è calante e poco centrata. Una interpretazione purtroppo di livello veramente scarso rispetto a ciò che ci si aspettava.

Marina Rebeka affronta Madama Butterfly e la sua famosissima "Un bel dì vedremo". La cantante (reduce anch'essa come Salsi dall'Otello verdiano al Maggio Fiorentino) sfoggia come sempre un bel timbro, abbastanza corposo ma qui, pur essendoci le note, manca l'interprete vera che dovrebbe far venire la pelle d'oca in chi l'ascolta. A me purtroppo non è capitato...

Piotr Beczala è ritornato sul palco del Piermarini per "Nessun dorma" dalla Turandot. L'aria è talmente famosa e la sua melodia appassiona sempre che quasi passa in secondo piano come il tenore l'abbia cantata: per carità le note ci sono tutte... ma emozioni zero.

Emozioni che arrivano alla fine con il concertato finale dal Guglielmo Tell di Rossini "Tutto cangia, il ciel si abbella" che vede finalmente anche la partecipazione del coro. Qui è veramente l'apoteosi della serata: merito in primis della straordinaria musica scritta dal cigno di Pesaro e da una bella interpretazione dei cantanti (Buratto, Feola, Crebassa, Salsi, Florez, Alvarez e Palazzi) supportati dall'ottima concertazione di Chailly.

Per chiudere queste mie "lunghe" considerazioni due parole su Riccardo Chailly, che ha accettato (credo suo malgrado - così come la scelta di omettere il brano wagneriano) di mettere insieme questo spettacolo con brani poco coerenti uno con l'altro. Dalla sua comunque c'è, come sempre, un'ottima tenuta delle masse artistiche nonché una straordinaria propensione ad accompagnare (nel senso musicalmente migliore del termine) gli artisti. Credo che per lui arriveranno nuove "inaugurazioni" scaligere nei prossimi anni, sicuramente più stimolanti di questa ma sono convinto che se lo spettacolo è stato qualitativamente interessante... gran parte del merito è suo.

Chiudo veramente facendo un paragone con le altre inaugurazioni "italiane" di questi giorni: a Firenze Otello allestito completamente (così così), a Napoli Cavalleria rusticana in forma di concerto (spettacolare), a Roma Il barbiere di Siviglia allestito per la tv (spettacolo veramente bello). Con tutti gli alti e i bassi di questo infausto periodo possiamo dire che ancora... un po' di vivacità culturale c'è. Speriamo che, finita la pandemia, ci sia una vera e propria rinascita... come ci induce a pensare il finale dello spettacolo di stasera.  

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