ALMANACCO OPERISTICO - 24 dicembre 2020 - AIDA di G. Verdi

AIDA

Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni

Musica di Giuseppe Verdi

 

Prima rappresentazione: Il Cairo, Teatro dell’Opera, 24 dicembre 1871

 

Verdi incontrò Aida nel maggio del 1870, quando Camille Du Locle, autore del libretto del Don Carlos (1867) e neodirettore della parigina Opéra-Comique, gli spedì un soggetto egiziano ricevuto da Auguste Mariette. L’egittologo francese, al Cairo per una missione archeologica voluta da Napoleone III, aveva stretto relazioni diplomatiche e insieme amichevoli con Ismail pascià, Khedive d’Egitto, che nel novembre del 1869 aveva potuto realizzare due grandi sogni: aprire il Canale di Suez e inaugurare un teatro d’opera degno delle più importanti città europee. Per la ‘prima’ aveva scelto un’opera e un direttore italiani, Rigoletto ed Emanuele Muzio, ma ora desiderava dare al suo pubblico ‘un’opera nazionale’. Al Cairo era però impossibile un connubio tra l’eredità etnica locale e la tradizione musicale colta, così come avveniva a Budapest o a Praga, e il Khedive ripiegò su una favola che affondasse le radici nell’Egitto antico. Le sue ambizioni erano elevate e si occupò personalmente della stesura di un ‘programma’ da sottoporre in primo luogo a Verdi e poi, in caso di rifiuto, a Gounod oppure a Wagner. Da tempo Verdi cercava un soggetto cui appassionarsi, e quello inviatogli da Du Locle gli sembrò subito attraente: «È ben fatto – rispose il 26 maggio – è splendido dimise en scene, e vi sono due o tre situazioni, se non nuovissime, certamente molto belle. Ma chi l’ha fatto? Vi è là dentro una mano esperta, abituata a fare, e che conosce molto bene il teatro». Chi ne sia l’autore rimarrà forse per sempre un mistero, nonostante Du Locle (non estraneo al progetto) si fosse affrettato a precisare che era «opera del viceré e di Mariette Bey» e che nessun altro vi aveva messo mano. Definite le «condizioni pecuniarie» (150.000 franchi da versare alla banca Rothschild di Parigi) Verdi si mise al lavoro e in breve tempo trasformò un soggetto non privo di suggestioni, ma inerte, in un testo ricco di verità drammatica e di intensità emotiva. Su suggerimento di Giulio Ricordi chiamò quindi Antonio Ghislanzoni, con cui l’anno precedente aveva riveduto La forza del destino, a elaborare il libretto, sotto la sua diretta sorveglianza. L’apporto del musicista fu, come sempre, sostanziale e proprio nel carteggio relativo ad Aida, in una lettera all’editore, si trova la prima riflessione su quella «parola scenica» destinata a diventare un punto centrale nella riflessione su Verdi. L’esordio, programmato per il gennaio 1871, dovette essere rimandato: la guerra franco-prussiana isolò Parigi dal resto del mondo e impedì che le scene e i costumi, realizzati nella capitale, raggiungessero Il Cairo in tempo utile. Verdi ebbe così a disposizione un altro anno per limare libretto e partitura e per approfondire questioni storico-filologiche prima di andare in scena trionfalmente la vigilia di Natale del 1871, con Antonietta Anastasi-Pozzoni (Aida), Eleonora Grassi (Amneris), Pietro Mongini (Radamès), Francesco Steller (Amonasro) diretti da Giovanni Bottesini. Il battesimo italiano avvenne alla Scala l’8 febbraio del 1872, con la direzione di Franco Faccio e, tra i cantanti, Teresa Stolz (Aida), Maria Waldmann (Amneris), Giuseppe Francelli (Radamès), Francesco Pandolfini (Amonasro): dal pubblico 32 chiamate in palcoscenico per l’autore, dalla critica consensi con qualche riserva. Rappresentato a Buenos Aires e a New York nel 1873, a Vienna e a Berlino nel 1874, a Londra nel 1876, a Parigi nel 1880 (con l’ampliamento delle danze), questo singolare grand-opéra italiano è una delle opere più eseguite nei teatri del mondo.


 

LA TRAMA

Atto primo. Scena prima. Grande sala del palazzo del re a Menfi. Ai lati, statue monumentali e arbusti in fiore; sullo sfondo, palazzi, templi e piramidi. Ramfis, capo dei sacerdoti, condivide con Radamès, valoroso capitano dell’esercito faraonico, i timori di una nuova invasione degli Etiopi. Già Iside ha nominato il condottiero delle truppe reali, e presto il re ne rivelerà il nome. Radamès sogna di essere il prescelto, per ritornare dall’impresa cinto di allori e per ridare trono e patria alla donna che, riamato, ama: Aida, figlia del re d’Etiopia, caduta in mani egiziane (“Se quel guerrier io fossi!... Celeste Aida”). Ma di Radamès è invaghita anche la figlia del re d’Egitto, Amneris, che sospetta nella schiava una umiliante rivale e cerca di scoprire, attraverso abili sondaggi, la temuta verità: ad Aida rivolge subdole parole di affetto (“Vieni, o diletta”), a Radamès sguardi insieme innamorati e indagatori. Un messaggero porta intanto la notizia che orde etiopi, guidate dal loro monarca Amonasro, hanno varcato i confini e marciano su Tebe. È la guerra. Al cospetto delle guardie, dei capitani, dei ministri e dei sacerdoti, il re annuncia il nome dell’eroe designato: Radamès. Esultano i presenti, ma non Aida che, combattuta tra l’amore per il padre e la passione insana per il più temibile dei nemici, chiede aiuto ai numi (“Ritorna vincitor... Numi, pietà del mio soffrir”), osservata a distanza dall’accorta Amneris. Scena seconda. Interno del tempio di Vulcano. Fra danze mistiche e invocazioni agli dèi (“Possente Fthà”), in una fuga di colonne che si perde nelle tenebre, Radamès, il capo velato d’argento, riceve da Ramfis la spada che lo consacra capo dell’esercito egiziano.


Atto secondo. Scena prima. Una stanza dell’appartamento di Amneris. Assistita dalle ancelle, mentre piccoli schiavi mori danzano per lei, la principessa si prepara a festeggiare la vittoria degli Egiziani. E quando entra Aida, non resiste alla tentazione di un duello con la rivale. Mostra rispetto per il suo dolore (“Fu la sorte dell’armi”); poi, con l’astuta finzione della morte di Radamès sul campo di battaglia, la induce a mettere a nudo il suo cuore e glielo trafigge. Immediate minacce seguono l’ingenua confessione di Aida, e la schiava è costretta a implorare perdono. Scena seconda. Le trombe della vittoria richiamano la popolazione alla cerimonia del trionfo. La folla si accalca alle porte di Tebe. Il re, con il suo seguito di ministri, sacerdoti, capitani, flabelliferi e portainsegne, siede sul trono con la figlia Amneris (“Gloria all’Egitto”). Sfilano i carri di guerra, i vasi sacri, le statue degli dèi; un gruppo di danzatrici porta i tesori dei vinti. Tra le ovazioni del popolo, fa il suo ingresso Radamès. Amneris lo incorona con il serto dei vincitori, il re promette solennemente di soddisfare ogni suo desiderio. Con la generosità degli eroi il condottiero chiede che siano radunati i prigionieri e domanda per loro vita e libertà, non sapendo che tra di essi si nasconde Amonasro. Unendosi in coro alle parole di Radamès, tutti implorano clemenza. Anche l’implacabile Ramfis (“Son nemici e prodi sono”) è costretto a mutare giudizio; a garanzia della pace convince però il sovrano a trattenere in ostaggio Aida e un guerriero, in realtà Amonasro, che giura di avere sepolto il re degli Etiopi. Si compie, anche se solo in parte, la volontà di Radamès, e i prigionieri vengono liberati. Ma un altro premio, indesiderato quanto irrinunciabile, attende l’eroe egiziano: la mano di Amneris, che gioisce della vittoria amorosa, mentre Aida piange il proprio destino e Amonasro giura vendetta.


Atto terzo. Le acque quiete del Nilo, rocce di granito tra palmizi frondosi, il tempio di Iside che si staglia contro il cielo stellato. Una barca approda silenziosa sulle rive sacre. Guidata dal gran sacerdote, Amneris leva preghiere alla dea perché protegga le sue nozze imminenti. Ma quella notte, sulle stesse sponde, Aida attende Radamès, rimpiangendo la patria perduta (“O patria mia... O cieli azzurri”). Amonasro però precede il nemico e, prima con sollecitazioni, poi con minacce, convince la figlia a tradire l’amante per salvare il suo popolo (“A te grave cagion m’adduce... Rivedrai le foreste imbalsamate”). Una nuova guerra si profila all’orizzonte, gli Etiopi sono pronti ad attaccare gli Egiziani, con ogni mezzo, anche con l’inganno. Per questo Aida dovrà farsi rivelare dall’ignaro Radamès i piani di battaglia dell’esercito faraonico. Oppressa dall’angoscia, la schiava incontra l’innamorato simulando serenità, sogna con lui una fuga d’amore (“Pur ti riveggo mia dolce Aida... Là, tra foreste vergini”) e ottiene le informazioni richieste dal padre. Non pago, Amonasro esce dal nascondiglio dove ha ascoltato ogni parola, si presenta a Radamès come il re degli Etiopi e cerca di conquistare il disperato condottiero alla causa etiope. Ma Amneris, spia infaticabile, denuncia il complotto ai sacerdoti e alle guardie. Grazie all’aiuto di Radamès, Amonasro e Aida riescono a fuggire, mentre il giovane si consegna a Ramfis, rassegnato a pagare la propria colpa.

Atto quarto. Scena prima. Una sala maestosa nel palazzo del re d’Egitto, sulla sinistra la porta che conduce ai sotterranei delle sentenze. Combattuta tra il risentimento e l’amore (“L’aborrita rivale a me sfuggia”), Amneris ordina che le sia condotto il prigioniero. Vuole salvare, con la vita dell’uomo che ama, la sua stessa felicità, il matrimonio a lungo sospirato. Ma Radamès è ormai deciso a non opporsi al destino, né intende più nascondere i sentimenti che lo legano ad Aida (“Già i sacerdoti adunansi”). Al centro dei suoi pensieri ora non c’è che lei, la schiava liberata, sopravvissuta alla battaglia dove è morto suo padre e prossima a ricongiungersi con il suo popolo. I sacerdoti, «bianche larve», sono già pronti a giustiziare il traditore; Amneris maledice se stessa e la gelosia che non ha saputo reprimere (“Ohimè! morir mi sento”): si dispera, urla, implora pietà per l’innocente Radamès. Ma il condottiero non si discolpa e la sentenza capitale viene pronunciata. Scena seconda. Al piano superiore, il tempio splendente d’oro e di luce di Vulcano; sotto, la cripta in cui Radamès sta per essere murato. I sacerdoti chiudono il sotterraneo, Radamès pronuncia per l’ultima volta il nome di Aida (“La fatal pietra sovra me si chiuse”) e, come in sogno, la donna gli appare. Non è una visione, Aida è venuta a morire con lui (“Morir! sì pura e bella”). Gli innamorati si abbracciano e si congedano, uniti e senza rimpianti, dal mondo crudele che li ha condannati (“O terra, addio”). Sopra di loro Amneris, vestita a lutto, prega sulla tomba dell’amato, invocando la pace.


«Non si può andare avanti così. O i compositori devono andare indietro, o tutti gli altri devono camminare avanti», scriveva Verdi nel 1869 pensando, come ormai da molti anni, a un rinnovamento radicale dell’opera lirica. Il pubblico sembrava entusiasmarsi soprattutto per le arie e le romanze, gli impresari continuavano a gradire la magniloquenza del grand-opéra, i giovani e gli intellettuali erano sempre più affascinati dal genio di Wagner, il «matto» lipsiense. Ma «camminare avanti» significava per Verdi liberare il melodramma dagli schemi in cui si era imprigionato e a poco a poco impoverito, per trasformarlo in un dramma musicale vivido e incisivo. L’inconsueto «soggetto egiziano», la solennità dei protagonisti, la religiosità arcaica dell’atmosfera gli offrirono l’occasione di fondere tradizione e rinnovamento e di mettere a frutto le acuite facoltà riflessive esercitate in Don Carlos. L’irrobustimento dello strumentale, l’uso di cromatismi nella coloritura esotica di alcuni passi, il ricorso a motivi tematici per l’individuazione di alcuni personaggi hanno convinto una parte della critica a sentire in Aida persino un’influenza wagneriana. Oggi si preferisce però attribuire questo spessore ‘sinfonico’ a un autonomo sviluppo verdiano. Un preludio breve ma ricco di spunti drammaturgici introduce il conflitto che permea l’opera. Esso è costruito sull’alternanza e sul contrasto di due temi: il primo, dalle linee morbide, si collega con l’amore invincibile di Aida per Radamès; il secondo, più energico, con il giudizio inappellabile di Ramfis e dei sacerdoti. Poli opposti di una vicenda comune – da un lato una donna nobile preda del nemico e della passione, dall’altro un malvagio uomo politico impegnato nell’esercizio della propria forza – la schiava e il gran sacerdote si sfiorano ma non si incontrano mai. Sopra di loro, ‘motore’ invisibile del libretto e della partitura, domina il «Nume», la sacra Iside, evocata fin dall’inizio. In Aida tutti coloro che si oppongono alle ragioni del potere per affermare la propria individualità soccombono: la protagonista, che sogna di eluderle in una fuga impossibile; Radamès, che involontariamente le tradisce e ne riceve la morte; Amneris, che crede di servirsene per le sue trame e ne viene travolta. Verdi dipana questo groviglio di passioni e di conflitti con estrema lucidità, scoprendo inattesi punti di contatto tra slanci collettivi e tumulti individuali, colpi di scena della storia e svolte tragiche del destino di una donna. Tra i personaggi soltanto Radamès presenta qualche zona inesplorata, mentre è perfetta l’introspezione psicologica di Aida, Ramfis, Amonasro e soprattutto di Amneris, insieme diabolica e disarmata, imperiosa e fragile.


Alla popolarità di Aida hanno certamente contribuito pagine fastose come la ‘Marcia trionfale’ o romanze tradizionali come “Celeste Aida”; ma il suo successo non risiede nella ‘facilità’ del linguaggio musicale, quanto nell’elevata tensione drammatica. Lo stesso Verdi, spinto da Ferdinand Hiller a un confronto fra Don Carlos del 1884 e Aida, rispose: «Nel Don Carlos vi è forse qualche frase, qualche pezzo di maggior valore che nell’Aida; ma nell’Aida vi è più mordente e più (perdonate la parola) teatralità». I quattro atti dell’opera sono scanditi (a eccezione del terzo) in due scene ed equilibratamente divisi tra momenti di luce e di ombra. Quando l’azione lo esige, la musica ricorre alle forme chiuse tradizionali, ma tende a evitare le ‘arie doppie’ (articolate nelle due sezioni del ‘cantabile’ e della ‘cabaletta’) per lasciare spazio ai numeri d’insieme (duetti e terzetti) in cui dare voce al conflitto. Nella sua costruzione solida e ampia la partitura può includere anche le danze, i cori e il ‘colore locale’ cari al grand-opéra senza compromettere il discorso musicale complessivo. In Aida Verdi riesce a fondere stili eterogenei, talvolta contrastanti, con mirabile abilità e leggerezza; e, negli argini di una scrittura più consapevole e meditata, ritrova la felicità di abbandonarsi alle avventure dell’invenzione e alla sua fecondità melodica. Tra i cantanti, memorabili interpretazioni ci hanno donato Maria Callas e Mario Del Monaco, Renata Tebaldi e Carlo Bergonzi, Montserrat Caballé e Placido Domingo; tra i direttori, Arturo Toscanini, Herbert von Karajan e Riccardo Muti.

Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini & Castoldi

 

LA MIA PROPOSTA

Straordinario capolavoro verdiano quest’opera è, nella mia personale discoteca, il melodramma con più edizioni presente. Per me è stato amore fin dalla prima volta che l’ho ascoltata e ammetto di non poter farne a meno almeno 4/5 volte all’anno. Dello sterminato catalogo delle edizioni (quasi 300 sono quelle attualmente in commercio) mi sento di proporvi queste:

- Edizione audio diretta da Arturo Toscanini nel 1949 a New York (H. Nelli, R. Tucker, E. Gustavson, G. Valdengo, N. Scott);

- Edizione audio diretta da Alberto Erede nel 1952 a Roma (R. Tebaldi, M. Del Monaco, E. Stignani, A. Protti, D. Caselli);

- Edizione audio diretta da Tullio Serafin nel 1955 a Milano (M. Callas, R. Tucker, F. Barbieri, T. Gobbi, G. Modesti);

- Edizione audio diretta da Riccardo Muti nel 1974 a Londra (M. Caballé, P. Domingo, F. Cossotto, P. Cappuccilli, N. Ghiaurov);

- Edizione audio diretta da Herbert von Karajan nel 1979 a Vienna (M. Freni, J. Carreras, A. Baltsa, P. Cappuccilli, R. Raimondi);

- Edizione audio diretta da Lorin Maazel nel 1986 a Milano (M. Chiara, L. Pavarotti, G. Dimitrova, L. Nucci, P. Burchuladze).


L’edizione del 1949 è diretta in maniera magistrale da Arturo Toscanini, alla guida degli straordinari complessi della NBC, e ne è un emblema e sintesi di quello che è stato il grande direttore d’orchestra per la storia mondiale della musica. Il cast è abbastanza assortito anche se, per esempio nella Nelli, non mi soddisfa appieno.


L’edizione del 1952 vede la buona direzione di Alberto Erede (avercene al giorno d’oggi di direzioni così) che guida i complessi romani di Santa Cecilia. Renata Tebaldi e Mario Del Monaco risplendono di luce argentea e sono un’Aida e un Radames sfolgoranti. Pur tuttavia non sono, per me, i migliori.


Tullio Serafin dirige i complessi della Scala nel 1955 con un trio di protagonisti, anche qui, stellari: Maria Callas è una buonissima Aida pur non essendo questo a mio parere il ruolo più adatto alla cantante greca, Richard Tucker non eguaglia la prestazione della registrazione con Toscanini mentre a ma piace l’Amneris della Barbieri.


L’edizione diretta da Karajan nel 1979 vede una concertazione del maestro austriaco poco coinvolgente (tempi abbastanza larghi e eccessiva pesantezza) mentre trova, come giusto contraltare, la purezza della voce di Mirella Freni che cesella un’Aida molto particolare, tutta da ascoltare, proprio per l’eccezionalità. Buono il Radames di José Carreras (qui all’apice della sua voce) mentre non mi esalta l’Amneris della Baltsa. Molto buoni Cappuccilli, come Amonasro, e Raimondi, come Ramfis.


L’edizione scaligera del 1986 vede la direzione molto bella di Maazel che è a capo di un’orchestra fenomenale. Anche il direttore statunitense, al pari di Karajan, sceglie tempi abbastanza larghi ma qui l’amalgama e il colore orchestrale che riesce ad ottenere sono ben migliori. Maria Chiara è stata l’Aida degli anni ’80 e qui si mostra in tutto il suo splendore; cosa che si può dire altrettanto di Luciano Pavarotti che ci presenta un Radames liricissimo che quasi non ha eguali nella storia della discografia. Parere a parte è l’Amneris di Ghena Dimitrova che mette in scena un personaggio a tutto tondo e di una potenza astrale, anche se si sente la sua propensione verso le note più acute (anche perché la Dimitrova è un soprano a cui non mancava l’agilità e l’acuto). Buoni i comprimari.


L’edizione che però mi sento di consigliare (parere come sempre del tutto personale) è quella diretta da Riccardo Muti nel 1974 e che è, assieme alla Forza del destino, la sua massima interpretazione verdiana in assoluto. L’Aida di Montserrat Caballé è (un po’ come la Freni) particolarissima ma nello stesso tempo straordinaria: ogni nota cantata dal soprano iberico è un piccolo capolavoro; durante tutta l’opera non c’è da parte sua un calo di tensione e anzi il terzo e quarto atto sono due autentici capolavori. Placido Domingo è, a mio parere, un cantante che nella sua prestazione risente molto di chi ha vicino. In questo caso avendo come compagna una fuoriclasse assoluta lui si pone sullo stesso piano e ci lascia la sua migliore interpretazione del personaggio di Radames: baldanza giovanile e vocale unite alla sapienza dei fiati, con il registro acuto sempre bello limpido (cosa che non è sempre così con lui). Fuoriclasse è anche Fiorenza Cossotto, una delle migliori Amneris di sempre. Ottimo Piero Cappuccilli nel ruolo di Amonasro e bravissimo anche Nicolai Ghiaurov nel ruolo di Ramfis.

 

Lo ammetto… mi manca ancora di ascoltare l’edizione diretta da Antonio Pappano con Jonas Kaufmann come Radames. Cercherò di rimediare… ma credo che non supererà comunque le mie attuali scelte.

 

Di seguito il link per ascoltare il capolavoro verdiano diretto da Riccardo Muti:


Commenti

  1. questa e' per me senza alcun dubbio la piu' bella registrazione di Aida in assoluto . Grande?? Unica?? Insuperabile???ß .....non lo so. Per me e' l'Aida per eccellenza. Anche se emotivamente mai dimentichero' l'Aida della Callas (purtroppo non amo la Stignani !!!)

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