IN STREAMING PER IL FALSTAFF BAVARESE... BENE E ANCHE MALE

Un po’ in tutta Europa si allestiscono spettacoli senza il pubblico in sala ma fondamentalmente pensati per coloro che lo possono guardare attraverso gli schermi. È il caso del Falstaff di Giuseppe Verdi andato in scena due giorni fa, in diretta streaming, alla Staatsoper di Monaco.

Menzione al teatro bavarese che è riuscito nell’allestire un’opera complessa, avvalendosi di uno spettacolo molto particolare che però non ha entusiasmato… anzi.

Ma voglio partire innanzitutto dalle cose positive e quindi dall’aspetto musicale.

Michele Mariotti giunge a Falstaff dopo una lunga frequentazione verdiana (anche in opere poco eseguite ma di grande valore come, per esempio, I due Foscari oppure I masnadieri) e il suo approccia all’ultimo capolavoro del maestro di Busseto è, da parte del direttore pesarese, ottimo. Supportato da un’orchestra in stato di grazia Mariotti ci fa ascoltare un Falstaff leggero, caratterizzato da un accompagnamento musicale che supporta, aiuta e valorizza le voci. La sua concertazione è meditata così come ogni singolo elemento musicale risalta, la sua direzione è curatissima e, personalmente, mi ha fatto scoprire alcuni particolari della complessa partitura che molto spesso non vengono esaltati.

Il cast a disposizione di Mariotti è abbastanza omogeneo con alcuni punti alti ed altri bassi.

Wolfgang Koch è un discreto Falstaff anche se il suo strumento vocale non è amplissimo. Dal punto di vista visivo si destreggia bene… ma questo è poco per essere “a pieno” Falstaff.

Boris Pinkhasovich è un buon Ford, dall’accento abbastanza elegante ma dalla dizione non eccelsa. Il suo momento migliore è “E’ sogno o realtà”.

Bello il timbro di Ailyn Pérez che impersona una Alice dal carattere esuberante mentre dal punto di vista vocale si fa apprezzare per il fraseggio.

I due fidanzatini, Nannetta e Fenton, sono impersonati bene da Elena Tsallagova (tutt’altro che bambina innocente per la regia, sfoggia un bel timbro anche se potrebbe risultare migliore la sua canzone delle fate) e Galeano Salas (timbro abbastanza bello che sale facilmente in alto anche se il fraseggio non è curatissimo).

Judit Kutasi è una discreta Mrs Quickly dalla dizione molto macchinosa mentre Daria Proszek è una Meg sfuocata.

Buoni invece Timothy Oliver (Bardolfo), Callum Thorpe (Pistola) e Kevin Conners (Dr. Cajus), anche se quest’ultimo dalla dizione inascoltabile.

Buoni gli interventi corali fuori scena.

Se la parte musicale è dominata da Mariotti le cose peggiori si vedono, purtroppo, in scena.

Mateja Koleznik ambienta tutta la vicenda in un hotel di lusso (forse con annesso casinò) approssimativamente negli anni ’70: la scena è sostanzialmente uguale durante tutto il corso dello spettacolo ed è basata su una serie di pareti mobili (con porte, passaggi e armadi) che scorrono e che danno un po’ di movimento. Falstaff è sostanzialmente un povero diavolo (sicuramente durante i suoi anni peggiori dopo essersi arricchito e poi aver perso tutto) che cerca di far fortuna al casinò; le comari sono “donnone imbellettate”; Ford sembra uno dei proprietari dell’hotel. Insomma… un gran casino, anche perché sono tanti i momenti in cui non c’è nessuna congruenza tra libretto e azione: un esempio su tutti la “canzone delle fate” in cui Nannetta e le figuranti sono vestite come in uno spettacolo di musical a Brodway (paillettes, lustrini, grandi ventagli di piume di struzzo) mentre dovrebbero evocare tutt’altro. Personalmente ho apprezzato poco anche il finale dove, sulla base registrata di “Tutto nel mondo è burla” sono entrati in scena, a fianco di una grande schermo che mostrava la registrazione del concertato con cantanti separati e orchestra in prova, tecnici del teatro, figuranti, cantanti e direttore. Quanto più bello e significativo sarebbe stato chiudere l’opera e poi, come si è visto in tanti teatri in queste settimane, tutti i protagonisti in palcoscenico davanti ad una sala vuota e ad un silenzio surreale… che deve continuare a far riflettere.

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