DELLA GLORIA D'OTELLO... NON E' QUESTO IL FIN

Ansioso per vedere, anche in tempi di pandemia e di severe restrizioni, un'opera messa in scena "completamente"... ho dovuto purtroppo constatare che gran parte delle aspettative stavano scemando nel giro di pochi minuti. Questo è quello che mi è successo ieri sera davanti allo schermo televisivo per la visione dell'Otello verdiano messo in scena dal Teatro del Maggio Fiorentino.

Sia la parte musicale che quella visiva hanno avuto, a mio modo di veder, parecchie carenze... alle quali si deve la non riuscita complessiva dell'intero spettacolo.

Voglio partire dalla parte musicale affidata a quel monumento della direzione che è, non solo per il Maggio, Zubin Mehta. Non era questo il suo primo Otello... anzi. Eppure la sua concertazione è stata inficiata fin dall'inizio da una scelta dei tempi stralunata: metronomo al rilento, con rallentamenti eccessivi che quasi rischiavano di mettere in serissima difficoltà musicisti e cantanti, pochissima rifinitura nel colore orchestrale. Dispiace e anzi fa preoccupare una prestazione di questo tipo da parte di un direttore solidissimo come Mehta (che ricordo in straordinarie interpretazioni e incisioni verdiane e non solo... un esempio su tutti: è suo a mio parere il miglior Trovatore di sempre). L'orchestra lo segue impeccabilmente ma tutta la resa diventa disomogenea. Si capisce, in alcuni momenti, come l'idea di fondo del direttore indiano sia quella di non ricercare il clangore e la robustezza... ma Otello anche di questo ha bisogno, perché questo Verdi ha scritto. Forse il momento migliore di tutto lo spettacolo sia musicalmente che visivamente è il quarto atto: qui i tempi sono abbastanza giusti, il peso dell'orchestra è ben misurato. Ma è poco alla fine...

I primi a risentire delle scelte inerenti la concertazione di Mehta sono inevitabilmente i cantanti, che fanno quello che possono per superare, oltre alle complessità della scrittura vocale, anche le insidie dovute ai tempi dilatatissimi.

Fabio Sartori debutta nel ruolo d'Otello e lo fa in maniera buona. Le note ci sono tutte ma purtroppo è nel registro grave della tessitura che ci sono i problemi maggiori. Tanto sono squillanti gli acuti quanto morbidi e impalpabili sono le note gravi, importantissime però nel ruolo del moro. In alcuni momenti cerca palesemente di aumentare il ritmo, quasi magari esortando il direttore ad aumentare il metronomo, ma niente... le difficoltà sono sempre in agguato. La sua prestazione è quindi, nel complesso, buona anche se le cose migliori si sentono nel quarto atto. Purtroppo però Otello, oltre alle note, è molto altro... e questo Sartori, ad oggi, non ha il peso specifico adatto.

Luca Salsi propone uno Jago a tutto tondo, sibillino al momento giusto, ma non sempre congruo. Più volte, durante la recita, ho avuto la sensazione da parte sua di voler "strafare" aprendo la voce anche troppo (certe smorfie poi sono inguardabili). Attorialmente una spanna sopra ai suoi colleghi maschi e vocalmente alcune bellissime cose come, per esempio, lo splendido racconto del sogno di Cassio, nel secondo atto. Qui si è visto e sentito il vero Jago: subdolo, malvagio.

Marina Rebeka (vestita e truccata in maniera indecente) ci porta una Desdemona molto consapevole dei suoi mezzi e questo forse anche grazie alla scelta registica che la fa vedere non come una fanciulla pura che si fa trascinare dagli eventi. La sua voce è splendida quando arriva in zona acuta mentre tende a sbiancarsi, forse troppo, nel registro grave. Due assolute perle sono la "Canzone del salice" e, ancora di più, la successiva "Ave Maria".

Buoni gli interpreti comprimari tra i quali voglio ricordare Riccardo Della Sciucca (Cassio) e Francesco Pittari (Roderigo). Menzione speciale per la splendida Emilia di Caterina Piva, a mio parere la più "in palla" di tutto il cast.

Buono il coro, preparato da Lorenzo Fratini, costretto a cantare con le mascherine e le dovute distanze.

Lo spettacolo ha visto la regia di Valerio Binasco coadiuvato da Guido Fiorato per le scene, Gianluca Falaschi per i costumi e Pasquale Mari per le luci. 

La scena ci trasporta in una "modernità senza tempo", di cui però si fa fatica a capire dove effettivamente il regista , tramite la narrazione, ci voglia portare. Il coro sostanzialmente è statico mentre i vari protagonisti si muovo abbastanza bene tranne Otello, il più delle volte immobile e seduto. Desdemona è forse il personaggio che viene "curato" da Binasco che sceglie di farci vedere una donna tutta d'un pezzo, consapevole delle sue potenzialità, che addirittura affronta Otello con uno schiaffo in viso. Nel complesso però non c'è una grande coerenza... per non parlare poi di alcuni scivoloni (vedi lo Jago "direttore d'orchestra" nel secondo atto). 

Come considerazione finale non posso che ammettere una cosa: le aspettative... il più delle volte sono disattese. Speriamo, nel futuro, in qualcosa di migliore da una grande istituzione come è il Maggio Fiorentino.

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